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giovedì 13 dicembre 2018

Churchill o Bolsonaro (per tacer di Cottarelli)? Ovvero del tuttosubitismo acuto.

Quando da incendiari, invecchiando, si diventa pompieri, per non dire monaci zen, si impara ad riconoscere ed apprezzare la regola che le cose migliori non arrivano subito appena le desideriamo e qualcuno ce ne prospetta la realizzazione, ma occorre attenderle per un tempo che pare non passare mai e quasi sempre è il tempo necessario, direi fisiologico, affiché si realizzino. Ciò vale sia per gli eventi positivi che per quelli negativi, per le conquiste personali della propria esistenza e per quelle che riguardano la collettività e, ho fatto notare giorni fa che, a maggior ragione, i cambiamenti storici epocali non sono mai avvenuti nel giro di pochi giorni o mesi e che anche gli eventi più apparentemente improvvisi furono il risultato di una lunga preparazione, di un sapiente lavorìo più di cesello che di clava, condotto possibilmente nel back office e al riparo dalla luce accecante dei riflettori.  

Purtroppo, nella società delle meteore e dei meteorismi, il pensiero magico sul quale si fonda la sua propaganda, somministrato continuamente per anni per infusione lenta, ha infine creato una platea di infanti che strepitano se non li si gratifica subito con il premio, e che pretenderebbe l'uscita dall'incantesimo malvagio con la semplice roteazione in aria della bacchetta e il pronunciamento della formula magica. 
Agli infanti che non ottengono subito il bubbolino sale la delusione, il rammarico, il senso di tradimento, che poi è solo un sospetto non una certezza, il che la dice lunga sul loro concetto di fedeltà e fiducia, e si riversano in massa a piangere e a dichiarare il loro pentimento per essere stati costretti ad attendere ben sette mesi prima di poter finalmente gettare la spugna.

Mi riferisco, nello specifico, all'epidemia di tuttosubitismo acuto che ha colpito molti tra coloro che parevano i più sinceri sostenitori non del governo ma dell'idea che sottende all'operazione gialloverde, vero e proprio governo di emergenza messo in piedi mentre fischiavano le bombe provenienti da ogni parte; matrimonio che ricorda quello celebrato nei primi due minuti de "Il matrimonio di Maria Braun" 
Nozze abbastanza imprevedibili e sicuramente di convenienza che però non s'avevano da fare, sulle quali un canuto Don Rodrigo si affrettava a porre il veto per conto dei tanti Innominati suoi mentori e vari bravacci erano già pronti a proporsi al miglior offerente come esecutori finali del saccheggio dell'Italia. 
Paiono aver dimenticato, Idelusi, l'atmosfera di quei giorni, i veti incrociati sulle persone, i piedini pestati per terra da chi si sentì imperatore per un giorno e infine la resa, l'offerta che evidentemente non si poteva rifiutare e il via libera a qualcosa che era e continua ad essere, che vi piaccia o no, l'unica alternativa alla CATASTROFE. 
Perché, se vi fossero stati quegli altri, per non parlare di una Clinton alla Casa Bianca, oggi non solo vi avrebbero firmato contro il Global Compact, o per meglio dire Compost, visto che il punto d'arrivo è il Soylent Green fatto di persone; avrebbero spinto lo ius soli a forza in parlamento, stretto ancora la garrota attorno al collo dell'economia e compiuto altre operazioni di pulizia tecnica senza alcuna remora, ma avrebbero ceduto anche qualche altro braccio di mare alle prime sei telefonate dall'Estonia, oltre a fottervi per sempre e con gusto perché, è ufficiale, vi odiano e vi vogliono morti.

Nonostante questa prospettiva, ahimé, l'idea che eravamo in guerra e lo siamo ancora, lo siamo da una ventina d'anni almeno, non attecchisce in chi è disposto a capire che c'è la guerra solo se vede le divise, i fucili, i carri armati e i crateri delle bombe. I settant'anni di pace che ci ha dato l'Europa sono stati nient'altro che una lenta disabituazione alla capacità di combattere e difendersi. Un lungo decadimento nella pavida ed emasculata illusione che la guerra fosse stata esorcizzata per sempre. Un mondo di signorine che ora invece si stanno svegliando in prima linea e non non hanno niente da mettersi.

Vai a spiegar loro che in sette mesi abbiamo avuto qualcosa che pare nulla ma è tanto, che quando sei paralizzato e riesci infine a muovere un dito è un'enorme conquista, se c'è chi ti vuole ancora più impotente,  ma a Idelusi non basta perché loro volevano la magia, il prestigio, il "ma come hanno fatto, dov'è il trucco?" Quando i seguaci fanno "oh". 
Tutto questo festival della disillusione sta accadendo su quello strano palcoscenico che sono i social, luogo ove ormai pare abbiano riaperto quei manicomi che furono chiusi in nome della negazione della follia e dove invece questa volta si dispiega in tutta la sua devastante potenza, la nevrosi.

In fondo capisco chi è depresso e vuole lasciarsi andare giù nell'acqua gelida, Quando ti affezioni alla tua depressione - e loro sono bravissimi ad indurla su popolazioni intere, come abbiamo visto, con quelli che ripetono il mantra del "è tutto finito" a dimostrarlo - diventa angosciante pensare di uscirne. D'altro canto, più è forte la resistenza alla guarigione, più essa diviene possibile, come sa chi ha affrontato lunghi anni di analisi dove i passi avanti avvenivano non prima che il conflitto fosse stato individuato, visualizzato, combattuto e infine metabolizzato.

Non sto dicendo che l'operazione gialloverde sia perfetta, insindacabile e messa in pratica da entità soprannaturali infallibili. Lascio volentieri "il partito ha sempre ragione" a coloro ai quali purtroppo appartenni da incendiaria. In politica la delusione è una probabilità come lo è la soddisfazione. Entrambe sono variabili in gioco con la medesima valenza.
Mi pare tuttavia paradossale che, come ha detto Luigi Pecchioli nell'intervista ad Antonello Zedda, "ci si lamenti della partigianeria dei media e poi si creda alla loro versione dei fatti riguardo agli atti governativi". Con ciò intendendo anche le "voci" che nascono sui social, le interviste malignette, le calunnie che da venticelli diventano uragani.
La vicenda del 2,04 che pare aver scatenato la disiscrizione in massa dal movimento sovranista (per andare dove e con chi non si sa, questo è il bello) è talmente freudiana e chiaramente una sorta di effetto collettivo "sole roteante di Fatima" che meriterebbe un post monografico a parte.

Sui media, certo, si poteva tentare di interrrompere il monoscopio a reti unificate e imporre un minimo di informazione non ostile all'operato del governo. Personalmente avrei cercato di mettere la cosa tra le assolute priorità, perché il morale delle truppe passa anche dalla sua messa in sicurezza rispetto all'esposizione alla propaganda nemica, ma se ciò non è stato fatto vuol dire che si sono preferite altre strade o si è stati costretti a non intraprendere quella via specifica. Temo anche che si sottovaluti il significato di un'egemonia culturale costruita pietra su pietra per un secolo e di cosa significhi smantellarla pretendendo di farlo per giunta in quattro e quattr'otto. Non tutte le costruzioni crollano in caduta libera in pochi secondi.
Grave non aver rimandato l'odiosa fattura elettronica voluta dai fattucchieri di prima, così come altri provvedimenti che avevamo supplicato fossero presi in considerazione riguardo alla loro abolizione.
Anche la vicenda, ancora più grave, della gestione della questione libertà di scelta sui trattamenti sanitari obbligatori, è fonte di irritazione e delusione, non lo si può negare. 
Ciò non significa però che si debba mollare adesso quando si ha coscienza di chi si deve combattere e in quante forme diverse ci stia attaccando. Lo ripeto: non ci sono le divise ma i soldati, si. Le bombe scoppiano,  ci sono i morti e le distruzioni. Loro, nel qui ed ora, sono l'unica chance che abbiamo.

A chi oggi si dice deluso, dice che non voterà più, che, in sostanza, fascisticamente, se ne fregherà, chiedo cosa prevede in prospettiva e in alternativa a questa opzione. A parte il solito tecnico sociopatico, chi potrebbe arrivare, dopo Salvini e Di Maio, in caso di loro fallimento? 
Detto che nella vita reale, non sui social dove siamo troppo impegnati a fare la ceretta brasiliana alle formiche, la gente ha chiaro in mente chi fino ad oggi l'ha vessata ed oppressa ed ha aperto gli occhi in modo forse irreversibile sulla sinistra, la mia paura è che, approfittando delle difficoltà incontrate da questo governo, qualcuno tra i simpatizzanti colga il pretesto per rifugiarsi nella sindrome di Stoccolma dalla quale era parso voler fuggire. Insomma, non riuscendo a fare a meno della droga che rappresenta la sinistra, la pera che ti fa sentire buono e giusto, restare umano e soprattutto non fascista, e non sopportando più di sentirsi un traditore per essersi "buttato a destra", si metta in testa di salvarla per l'ennesima volta. Sarebbe un errore fatale, che ci riporterebbe alla casella di partenza per un nuovo giro, stavolta l'ultimo.

In secondo luogo, esauritesi le pile di fratel coniglietto Berlusconi, non escluderei l'ipotesi simil-Bolsonaro, ovvero il tanto peggio tanto meglio. Diciamo la chemio quella tosta, quella che quasi ti ammazza prima del cancro. Con i colonnelli o senza.

Io preferirei un Churchill come quello del famoso discorso: 
"Siamo nella fase preliminare di una delle più grandi battaglie della storia.[...] Che ci troviamo in azione in molti punti – in Norvegia e in Olanda – , che dobbiamo essere preparati nel Mediterraneo. Che la battaglia aerea è continua, e che molte preparazioni devono essere fatte qui in patria.
Dirò alla Camera quello che ho detto a coloro che hanno aderito a questo governo: Non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore. Abbiamo davanti a noi un calvario del tipo più grave. Abbiamo davanti a noi molti, molti lunghi mesi di lotta e di sofferenza.
Voi domandate, qual è il nostro obiettivo? Posso rispondere con una sola parola: la vittoria. La vittoria a tutti i costi – La vittoria nonostante tutto il terrore – La vittoria, per quanto lunga e difficile la strada possa essere, perché senza la vittoria non c'è sopravvivenza.
(Trascrizione del testo come originariamente letto da Churchill.)
I nostri devono soltanto entrare in questa mentalità. Una mentalità (purtroppo) da guerra. Qualcuno lo fa e continua a farlo da anni. Forse ci vorrebbe qualche "capannello" in più, per spiegare cosa si sta facendo. A volte possono essere l'assenza e il silenzio a creare sgomento. 
Noi dobbiamo supportarli, stringendo i denti, pensando a Monti e Cottarelli e ai piddini in agguato. Come l'orologio rotto, due volte al giorno anche la Tina ha ragione: non vi è alternativa.

Odiatemi ma un giorno direte: "Quella stronza aveva ragione".

venerdì 7 dicembre 2018

Paura e disgusto a Eurolandia




"Eravamo dalle parti di Ravenna, ai confini della Piddinia, quando le droghe cominciarono a fare effetto." (semicit.)


I cambiamenti climatici, ah! Al plurale come i mercati, così il popolo se li sente tutti attorno a sé, come i cerchi magici bancari. Le povere cimici, insetti tutto sommato assai discreti che causano fastidio solo quando emanano quel forte odore caratteristico nel momento in cui le termini, ma che si lasciano catturare molto facilmente e quindi puoi liberare in via amichevole, divenute "insetti alieni" in questo poster involontariamente comico. Perché alieni, parola resa minacciosa da quintali di B-movie di fantascienza su insettoni, baccelloni e rettili giganti? Non vengono da Urano o da Proxima Centauri ma molto probabilmente da quei container pieni di carabattole cinesi che girano il mondo in nome della globalizzazione. Le cimici non sono quindi una normale conseguenza della libera circolazione delle merci, le piattole della licenziosa promiscuità del mercato, ma sono conseguenza dei cambiamenti climatici.

Il climate change è la parola magica, il nuovo passepartout per l'apertura di tutti gli scenari catastrofici possibili, naturalmente al servizio della bulimia degli economisti dei disastri. Giustificazione maxima, ad esempio, per migrazioni alluvionali da continenti grandi cento volte il nostro paese, nei quali però, su 30 milioni di chilometri quadrati, non vi sarebbe un posticino per spostare anche temporaneamente qualche milionata di individui, allo stesso modo in cui invece li si sposta tranquillamente da un continente all'altro. E guai a chiamarli alieni! 
Quando qualcosa non ha senso vuol dire che un senso ce l'ha per qualcun altro, come dice Il Pedante.

I cambiamenti climatici hanno anch'essi quel carattere di innominabilità e inevitabilità che condividono con tutti gli altri spauracchi generati dalla shock economy. Sono un castigo divino in un mondo ateo e materialista e sono tanto cari al progressismo regressivo. Anche i cambiamenti climatici, come La Crisi, sono una scusa per infliggere il penitenziagite e, anche in questo caso, la colpa per la quale si viene divinamente puniti è più proteiforme che chiaramente identificata nello specifico. O meglio, la colpa consiste meramente nell'esistere, nel respirare, nell'insubordinazione del rifiuto alla volontaria e rapida estinzione dell'uomo bianco, il cui sviluppo e benessere raggiunto nell'ultimo secolo sarebbe la conseguenza non già della sua abilità ma di un peccato aquisito la cui espiazione non è più rimandabile. Il presunto peccato di vivere alle spalle, in modo parassitario, di altre popolazioni che, per evolversi, sembra abbiano prima bisogno che noi spariamo. 
Nonostante i cinesi, ad esempio, con il loro capitalcomunismo sfrenato inquinino in maniera assai maggiore di noi, siamo noi che consumiamo troppo, mangiamo troppo, ci laviamo troppo, usiamo troppo la macchina. L'invito alla penitenza a volte si spinge fino alla presunta necessità di cibarsi in futuro di insetti (ma non di cimici, forse), in nome di un pianeta divenuto improvvisamente delicatuccio di palato e cagionevole di salute, in un certo senso emasculatosi anch'esso, e delle troppe bocche da sfamare al mondo, per le quali la limitazione delle nascite non è evidentemente una soluzione come lo è stata negli ultimi decenni per noi. 
La condanna a questa ennesima forma di austerità e compressione dei consumi è comminata dal tribunale dell'Inquisizione ecologista, braccio verde del progetto genocidario che vorrebbe un mondo ridotto ad un piccolo ghetto elitario circondato da una subumanità sub-bestiale il cui inevitabile sterminio fino all'ultimo individuo non causerebbe ai pochi eletti più senso di colpa di quello ai danni di una immonda colonia di scarafaggi in cantina. 

Carlo Rubbia l'ha spiegato in una interrogazione parlamentare che i cambiamenti climatici spontanei, naturali, esistono da sempre nel quadro della ciclicità delle ere terrestri, nell'alternanza tra ere glaciali ed ere a temperature simili o superiori a quelle attuali, e che l'inquinamento antropogenico, rappresentato soprattutto dall'aumento esponenziale di CO2 nell'atmosfera è un'emergenza che può essere contenuta con lo sviluppo della tecnologia basata, a suo parere, sul gas naturale. 
Non è quindi necessario far regredire l'umanità all'età del bronzo e gettare il mondo nelle tenebre oscurando il sole, come delirano oggi gli ineffabili giornali fotoromanzati, nell'ennesimo articolo sul figlio scemo dei cambiamenti climatici, il riscandamento globale, per gli amici Globbaluormin. 

Siccome il pianeta si riscalda (e questa è una fake news perchè il pianeta si riscalda e si raffredda ciclicamente, e la temperatura è negli ultimi anni addirittura in diminuzione) Gliscienziati dicono: spariamo del carbonato di calcio nella stratosfera così da creare un tendone parasole, naturalmente illudendoci che ciò non abbia alcuna conseguenza sugli equilibri dell'organismo terrestre. Vacciniamo la Terra, insomma, tanto è per il suo bene, che male vuoi che le faccia? Ma figurati, nulla. Aridatece il progetto Manhattan. 
La vera notizia, la polpetta nascosta nel supersize mac è che allora è vero che si possono irrorare sostanze chimiche nell'atmosfera per scopi geoingegneristici, come del resto è noto al Congresso Americano fin dal 1978 e a chiunque abbia un ricordo anche vago dei cieli com'erano, cioè non a strisce.

Qui subentra un interessante fenomeno psicologico che ha a che fare con il concetto di tabu. Si esce di casa e si nota quasi ogni giorno, tipicamente dopo un paio di giorni di cielo limpido, quello si ormai quasi anomalo, qualcosa di strano: un gigantesco quaderno a quadretti oppure una strana nuvolaglia increspata come le dune del deserto che ci sovrastano, di cui però non bisogna parlare, come non puoi dire cosa pensi realmente di certi gruppi di persone, ad esempio. Si sa ma non si dice perchè se no ti prendono in giro. E' un addestramento in piena regola alla negazione psicotica della realtà. Se neghi il cielo a quadretti, un giorno sarà normale dire che i prati sono fucsia e che esistono i settant'anni di pace portati dalla UE. La psichedelia senza allucinogeni. Veramente notevole.

Il gioco funziona perché il tabu ha una radice profonda nell'inconscio. Esso in questo caso consiste nell'incapacità di attribuire all'Uomo la responsabilità di ciò che si vede nei cieli, perché ciò che si vede lassù può averlo fatto solo la Divinità e non puoi attribuirlo all'Uomo, soprattutto se è una cosa potenzialmente dannosa, per il quale si innesta anche il "non possono farlo davvero" che rappresenta l'incredulità di fronte alla criminalità del Potere. 
Ecco quindi che non potendo essere stato l'Uomo e, in questo caso, non essendo chiamata in causa la Divinità, perché siamo moderni e non crediamo più a queste superstizioni da antichi, non è stato Nessuno. Lo stesso Nessuno che accecò Polifemo, sempre lui. Chi traccia i quadrettoni in cielo? Nessuno.

martedì 4 dicembre 2018

I Macronfagi e la reazione immunitaria della Francia


La rivolta dei "gilet gialli" in Francia prosegue ormai pressoché ininterrotta dal 17 novembre, dal primo blocco stradale di protesta contro il caro carburante fino agli scontri di piazza degli ultimi giorni sugli Champs Elysées, ma la nostra pudibonda stampa legiondonoraria continua bellamente ad ignorarne non solo le ragioni ma perfino l'esistenza. Immersi in un isolazionismo ideologico che richiama quello dell'Albania di Enver Hoxha e nell'assoluta cecità percettiva alla prima rivoluzione fluo, ciò che resta dei tamburini di latta del giornalismo di regime evita in tutti i modi di anche solo nominare un fenomeno che mette in discussione la bontà assoluta di uno dei suoi fantocci di riferimento: il nostro Lolitò, il Manu che aveva detto agli amici, il Napoleoncino con un piede già sul predellino della carrozza per Varennes.

Se le notizie sui gilets jaunes vengono quasi sempre relegate ad uno spazietto stretto tra le paturnie di Asia Argento e il resto dell'inutile pluriball giornalistico, le solite non notizie da far scoppiare una ad una per noia solo per sentire il rumore vuoto che fanno, ogni tanto si decide di portarle in primo piano ma per destrutturarne il senso e tentare di dirigerlo sul binario morto della vacuità o della delegittimazione.
Il procedimento, dal nome un po' lungo, si chiama: "C'è un nostro amichetto in difficoltà con quei brutti ceffi dei suoi connazionali. Come possiamo parlarne senza parlarne? Come possiamo raccontare la storia in maniera che questi altri brutti ceffi nostrani non capiscano i veri motivi della protesta?"
A volte viene anche chiamato "trasformare la merda in Nutella e far dire al popolaccio che è una bontà".

Un esempio di articolo di questo tipo, da falsa prima pagina, è questo. Io consiglierei di salvarlo, perché se i libri di storia dovessero un giorno diventare seri, nella ricostruzione di questo fottuto inizio di millennio, sezione studi sulla propaganda della dittatura globalista, esso non potrà mancare. 
Per evitare di dire che i gilets jaunes hanno ragione da vendere e potrebbero essere quel famoso popolo che, essendosi destato, rischia di avere Dio alla sua testa, i legionari del disonore la buttano sull'ecologia, che si porta sempre su tutto. Perdindirindina, se il primo blocage è stato contro l'aumento del carburante, facciamo finta che questi ausiliari del traffico esagitati siano degli ecologisti un po' su di giri e cristallizziamo il movimento e le sue ragioni lì, immobili, come Han Solo nella grafite.
Un articolo, quello di Repubblica, psichedelico a dir poco. Roba da paura e delirio sulla Cristoforo Colombo. Psilocibina e via andare.
"Capisco le proteste ma non cedo alla violenza. Abbiamo fatto troppo poco sul clima, dobbiamo andare avanti", ha detto il presidente francese presentando il piano per l'energia. Che prevede la chiusura di tutte le centrali a carbone entro il 2022 e di 14 reattori nucleari entro il 2035." 
Un cazzocentra cosmico perché, peccato per Essi, questi francesi ai quali Manu & i suoi Isterismi hanno rotto i coglioni, hanno riempito il loro cahier de doléances con ben altre rivendicazioni. 
Gilberto Trombetta, che ringrazio, ha tradotto su Twitter il manifesto messo in rete dai Gilets Jaunes (qui il documento originale) che le contiene. E' difficile non dichiararsi d'accordo con tante se non tutte queste richieste ed è assai arduo considerarle rivendicazioni vacue, mondane o bagattelle da borghesi piccoli piccoli. Se hanno fame che si dedichino all'ecologia non è risposta credibile, ammettetelo, e suona assai più strafottente del presunto consiglio di Marie Antoinette sulle briosche.



traduzione di Gilberto Trombetta
L'aumento del carburante è stato solo il loro tè di Boston. La goccia di benzina che, caduta sul braciere, ha fatto incendiare la protesta. 

Il gran tamburo maggiore scalfariano che picchia sulla pelle di somaro per sviare l'attenzione da les enfants de la patrie è solo l'espressione del livore della sinistra di fronte alla caduta dell'ennesima tegola dal tetto di quella costruzione abusiva in attesa di ordinanza di demolizione che è la UE. Stamattina ho ascoltato questo video e ne ho colto alcuni spunti per descrivere il fastidio fisico che l'intellighenzia o wannabe tale di sinistra prova nel vedere il popolo sfuggirle e che bene si intona con il discorso sui gilet gialli e il neglect percettivo che, nonostante il giubbetto ad alta visibilità, ha colpito tanto clamorosamente una certa parte di osservatori italiani. La solita parte, per altro.

Nel video, Lorenzo Vitelli de "L'Intellettuale dissidente" proclama un curioso assunto, ossia quello che "il populismo ha consenso ma non è legittimo perché non si è ancora dotato di un intellighenzia culturale, di  intellettuali, giornali, case editrici." Ohibò, sarà mica quell'egemonia culturale dalla quale stiamo appunto cercando disperatamente di liberarci e che è espressione dell'invasività dell'ultima nefasta ideologia novecentesca che si aggira per l'Europa trascinando le catene da rimettere ai lavoratori che le sono sfuggiti?
Certo, dice Vitelli girando la chiavetta dell'accensione, le categorie della Vecchiapolitica, la destra e la sinistra, sono superate (uno dei più triti e nefasti luogocomunismi). Però... vrum, vrum, il populismo è pericolosamente inclinato a destra (te pareva). Infatti esprime un voto di protesta, di vendetta. Gode nel vedere i traditori messi alla berlina (e lui inconsciamente soffre del dover assistere a tale sanguinario snuff movie perché i protagonisti li conosce bene). 
Il populismo (sempre pronunciato con una punta di sgomento) non è altro che l'ennesima élite che vuole arraffare il potere, il popolo non c'entra (il popolo non può preferire quel buzzurro volgare al meraviglioso Lintellettuale). Esso non è legittimo perché non è riuscito a fondare un sistema ideologico, a creare un progetto" (e chi lo ha detto? Cercare di salvare il mondo dalla furia genocida globalista ti pare poco?) 

Traduco per i bambini piccoli: se non ha marchiato in fronte il numero della bestia progressista, il popolo è fascista. L'unico progetto legittimo è il solito velleitario tentativo di distruggere il capitalismo in quanto tale (casualmente lo stesso identico scopo dei banchieri non di Dio ma di Essi stessi, che fa tanto affinità elettiva)  per sostituirlo con Ilprogetto dell'egualitarismo petaloso immaginario. La destra e la sinistra sono concetti superati, si, ma noi vogliamo rimanere di sinistra. La democrazia è democrazia solo se la gestiamo noi. (NdA: quanto avete rotto i coglioni...)

Non manca la nota negazionista sul prato che non è verde. Vitelli non crede, anzi, rifiuta di credere, che il successo del populismo nel caso italiano abbia a che fare con la questione migratoria. "A nessuno importano le percentuali bassissime di immigrati nel paese dell'accoglienza per eccellenza". Permettetemi un accenno di stupore pre-estatico. Il distacco dal reale è un problema sul quale evitano accuratamente di lavorare da sempre. 
Dopodiché Vitelli, ormai sul rettilineo, sgomma.
"Il populismo non è un modello politico, per diventarlo deve dotarsi di una struttura. (Ricordate il discorso iniziale sulla Vecchiapolitica che è morta?) "L'élite populista è illegittima perché "il basso", il popolo ha una sua creatività folkoloristica che però non è culturale."
"Il populismo è la vittoria del trash sulla sofisticazione intellettuale (chissà perché penso subito al metanolo). Il popolo vuole essere volgare. Le vittorie populista sono un rigurgito popolare (meglio quello antifascista, immagino). Bisogna elevare il dibattito". (Qui di solito sguaino sempre la katana).
Poi l'apoteosi: "Non possiamo reputarli legittimi [Salvini e Di Maio] perché non sono un'élite."
Ovvero, dopo il giro di pista ritorniamo ai box. I populisti non ci piacciono perché non sono piddini, non infestano ogni ganglio della società, non okkupano. Non sono l'Egemonia Kulturista che è la nostra spezia, l'elisir che ci rende immortali come certe cellule che richiedono una pronta risposta immunitaria altrimenti ti ammazzano.
Non è un problema del Vitelli, lui è solo un esempio preso a caso calando le reti per la pesca. Se ne prendi un altro ugualmente a caso ti farà gli stessi ragionamenti. L'egemonia culturale è soprattutto monopensiero stereotipato. La zeppa nell'ingranaggio.

A proposito di popolacci e ribellioni. Avendo nominato prima il té di Boston inevitabilmente ritornano in mente le parole della Dichiarazione di Indipendenza americana. Se un governo agisce contro il suo popolo, il popolo ha il diritto di rovesciare questo governo e darsene un altro che sia portatore delle sue istanze e sia degno di rappresentarlo. Non si rovesciano governi tanto per fare, come ultimamente si è fatto in Europa per forzare il regime unico, limitare la democrazia locale, assassinare le sovranità, depredare le ricchezze ed imporre l'agenda novordineglobalista per mano dei volonterosi progressisti elitari tanto pieni di sé da doversi ancorare per non volare via. 
Le motivazioni delle proteste di popolo, di quel popolo che considerano merda puzzolente se non si fa da loro docilmente manipolare, sono sempre drammaticamente concrete e serie. Tra i cartelli visti a Parigi ve ne sono alcuni sul diritto alla libera scelta terapeutica e contro i TSO sponsorizzati dai lupi farmaceutici travestiti da pecore benefattrici che in Italia conosciamo altrettanto bene.
Chi da lacchè sminuisce le lotte di popolo rischia di fungere da lubrificante alle lame delle ghigliottine prima che vi si appoggino i colli dei membri delle élite che ha servito. Le ghigliottine metaforiche degli elettori, che entrano in funzione nelle cabine elettorali e, in alcuni casi estremi, quelle vere nelle piazze.