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martedì 31 ottobre 2006

Nessuno tocchi la zucca


Vediamo se, dopo aver visto questo corto vincitore del Best Short Film and Best Concept al Chicago Horror Film Festival del 2006 avrete ancora il coraggio di impugnare un coltellaccio da cucina ed intagliare la zucca che i vostri figli vi hanno obbligato a comperare al supermercato.
Non vi eravate mai chiesti cosa può provare la cucurbitacea all'approssimarsi della notte di Halloween, eh?

Chiedetevi se, a causa di questa ennesima stressante moda importata dagli States, sia giusto ogni anno sacrificare sull'altare del consumismo la povera Zucca marina di Chioggia, la lunga invernale, la quintale, la Lagenaria, la Maxima, la Moschata, la Buternut e la Banana pink?

giovedì 26 ottobre 2006

Cult Fiction

Marx diceva che la religione era l’oppio dei popoli e martedì sera i pusher istituzionali di Raiuno ne hanno somministrato una dose massiccia ai circa 9 milioni di persone (tra i quali anch’io) che hanno seguito l’ultima puntata della fiction su Papa Giovanni Paolo I, il Papa del sorriso.

Attenti a quando va in onda in tv la Storia fatta fiction perché non è mai proprio la Storia Storia, ma un succedaneo come le uova di lompo, un qualcosa che è sempre in bilico tra realtà vera e realtà romanzesca, che sembra caviale ma non lo è.
La Storia vera potrebbe dare fastidio o essere troppo dolorosa, così è meglio darci dentro con l’anestetico. Con il rischio però di rendere gli spettatori talmente inscimuniti da non capire neanche cosa stanno guardando.

Il brevissimo pontificato di Albino Luciani si sarebbe prestato a ben altre analisi artistico-storiche dell’interessantissimo personaggio. Invece si è scelta la strada del santino oleografico e sdolcinato da Edizioni Paoline accompagnato dalla solita insopportabile colonna sonora melensa e invadente.
Una menzione di incoraggiamento va al bravo Neri Marcorè, che però è risultato prigioniero di un personaggio troppo ingombrante ed autorevole per le sue corde. Non credo poi di essere stata l’unica iconoclasta a pensare, durante la visione, che da un momento all’altro sarebbe saltato fuori Mr. Bean-Zapatero o l’imitazione di Dino Zoff che "da giovane andava a suonare i campanelli con Cuccureddu". Nelle mani di un grande regista questo imbarazzante effetto borderline tra comico e tragico non si sarebbe mai avvertito.

Inoltre Luciani sembra non fosse affatto il personaggio sempliciotto che risulta dal lavoro televisivo ma pare anzi che in quei soli trentatrè giorni avesse dato parecchio filo da torcere alle gerarchie vaticane.
Non era affatto contento dell’andazzo che aveva preso lo IOR (la banca vaticana), voleva sostituirne i vertici e fare le scarpe a Marcinkus, era favorevole ad un’apertura nei confronti della contraccezione e pare volesse istituire una sorta di 8xmille al contrario, la devoluzione di una quota pari all'1% degli introiti del clero in favore delle chiese dei paesi disagiati e poveri.

Chi sperava di sapere qualcosa di più sulla improvvisa morte del Papa del sorriso è rimasto deluso.
Non solo la morte per infarto ma la sparizione dei suoi effetti personali dalla camera da letto dove morì, il dubbio sull’ora del decesso, il misterioso foglio d’appunti con le rimozioni eccellenti che sarebbero state annunciate il giorno dopo, il rifiuto delle gerarchie vaticane all’effettuazione dell’autopsia hanno alimentato fin dal 1978 ogni tipo di ipotesi, compresa quella del delitto.

Nel celebre libro dello scrittore inglese David Yallop, “In nome di Dio” la paternità dell’omicidio era attribuita, senza mezzi termini, ad un losco intreccio di interessi massonico-economici sui quali si allungava l’ombra della P2 e degli scandali religioso-finanziari dello IOR e di Roberto Calvi. Ipotesi cospirazionista, si direbbe oggi, roba da mobilitare gli attivissimi di turno.

Niente di tutto ciò ovviamente traspare nella fiction, e neppure le ipotesi meno hardcore.
Una bella pera di novocaina ed ecco scoperto cosa stava dietro alle ambasce e ai brutti presentimenti del povero Luciani: il solito Terzo segreto di Fatima che si porta con tutto in ogni stagione. Non c'è niente di meglio che soffocare col soprannaturale tutti i dubbi e le questioni ancora aperti della ricerca storiografica.

Signori, decidetevi. Non s’era detto che il terzo menagramissimo segreto di Fatima si riferiva all’attentato a Giovanni Paolo II dove il vescovo vestito di bianco cadeva sotto ai colpi di pistola?
O dobbiamo pensare che quella benedetta Suor Lucia amasse spaventare a morte tutti i futuri Papi per passatempo sadico?
Se proprio vogliamo sottilizzare, c’è stato veramente un vescovo caduto sotto i colpi di pistola, quel Monsignor Romero in El Salvador, assassinato dallo squadrone della morte del maggiore D'Aubuisson sull’altare mentre diceva messa ma quello – me ne rendo conto - non è un santo subito, è un santo "vedremo-può darsi-ripassi tra tre mesi”.

Tornando a Luciani, apprendiamo dalla cult-fiction di Raiuno che la suora mattacchiona predisse al giovane prete montanaro una breve gloria sul trono di Pietro e un precoce martirio. Impariamo che Luciani divenne Papa con riluttanza e che era appunto ossessionato da quella profezia che tanto ci spaventava da piccoli quando periodicamente sui rotocalchi tiravano fuori la storia della fine del mondo nascosta in quelle poche righe chiuse nella busta numero tre.

Un’altra assurdità della fiction su Luciani è come viene dipinto il cardinale Wojtyla: come il vero predestinato, colui che quando appare in scena si muove già con il sottofondo musicale di Giovanni Paolo II “Il Grande” e al quale tutti si rivolgono, compreso il povero Luciani, come avessero la precognizione di ciò che diventerà di lì a pochi giorni il cardinale polacco.

Alla fine Luciani ringrazia, si scusa per aver causato tanto incomodo e si ritira in camera dove si addormenta per sempre. Quasi un suicidio, insomma. Un cronista sullo sfondo di San Pietro commenta: “La storia dirà se sono vere le ipotesi inquietanti sulla sua morte”. Musica commovente, titoli di coda.
A quel punto ho sentito il dottore schiaffeggiarmi e dire: “Su, si svegli ora, abbiamo finito”.


martedì 24 ottobre 2006

Non di Marte ma di Venere

Quando ho visto l’originale di questa foto, un promo della serie televisiva spagnola “Mujeres”, prodotta da Pedro Almodovar, mi è venuto uno strano pensiero che si è poi concretizzato nella presente vignetta.
Mi è tornata in mente l’affermazione del neo-con Robert Kagan, che una volta disse che l’Europa era superata, che viveva su Venere in contrapposizione all’America “che veniva da Marte”. Un modo pseudo-elegante per darci delle femminucce a livello continentale.
Difatti oggi abbiamo proprio un’America aggressiva e machista governata dai marziani che vuole militarizzare tutto, e vuole tutto dominare, anche lo spazio (sperando che non sia quello vitale, il Lebensraum di hitleriana memoria) . Un’America che va in giro per il mondo a dare mazzate e che comincia a far paura anche ai suoi cittadini.

Ma è proprio così brutto essere governati da Venere? Ho quindi voluto immaginare, per reazione, un’Europa femmina, mite, pantofolaia, rilassata, con le qualità più rassicuranti della zia alla quale vogliamo tanto bene.
Ecco quindi riunite davanti alla tv per seguire una puntata di “Mujeres” dopo aver trascorso il pomeriggio a preparare le bottiglie di pomodoro: Frau Angela, che per l’occasione ha portato uno dei suoi strudel leggendari, Madame Chirac con le pantofolone di peluche, Nonna Prodi e la nipotina Zapatera, che forse si annoia un po’ ma in fondo è contenta di non aver dato retta ai marziani, di averli lasciati alle loro guerre e di essere tornata a guardare la TV dalle zie. Vi piace? L'incubo è servito.

giovedì 19 ottobre 2006

L'incubo del generale


Questa combinazione di un immenso establishment militare e di una vasta industria degli armamenti, sono un fatto nuovo. La sua influenza totale, economica, politica, e perfino spirituale si avverte in ogni città, in ogni parlamento statale ed in ogni ufficio federale. Noi riconosciamo l'esigenza imperativa di tale sviluppo ma non possiamo non comprendere le gravi implicazioni dato che riguardano il nostro lavoro, le nostre risorse, la nostra sopravvivenza e la struttura stessa della nostra società. Dobbiamo guardarci, nei consigli di governo, dalla ingiustificata influenza volontaria o involontaria del complesso militar-industriale. Non dovremo mai permettere che il peso di questa coalizione metta in pericolo la nostra libertà e la nostra democrazia."

Il 17 gennaio 1961, nel suo discorso di addio al popolo americano prima di lasciare la presidenza a John Fitzgerald Kennedy, il repubblicano Dwight D. Eisenhower nominò per la prima volta il “complesso militare-industriale” ovvero l’intreccio di interessi tra produttori di armi, potere militare e potere politico e ne denunciò il pericolo intrinseco di condurre il paese ad una dittatura (qui potete leggere la traduzione integrale in italiano del discorso) .

Eisenhower, 34° presidente americano, era un militare egli stesso, anzi era stato Comandante in capo delle Forze Alleate in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale col grado di generale di corpo d'armata.
Non era una mammoletta, durante il suo mandato la CIA utilizzò spesso e volentieri le black-ops, le operazioni sotto copertura per rovesciare i governi non graditi agli Stati Uniti.
Tuttavia, conoscendo bene l’ambiente, si sentì in diritto di lanciare un avvertimento che, in questi primi anni del nuovo millennio, molti americani stanno riscoprendo nella sua lucida attualità.

Non è un mistero infatti che dagli anni '60 il complesso militare-industriale abbia visto il suo potere accrescersi in maniera strabiliante. La novità è che le sue componenti industriali e politiche tendono sempre più a compenetrarsi. I grandi CEO delle multinazionali non si servono più della classe politica per gestire i propri interessi ma si candidano essi stessi e il braccio armato del loro potere, la componente militare della quale hanno sempre più bisogno, assorbe sempre maggiori risorse.

Nel 1953 il bilancio militare degli Stati Uniti ammontava a 42 miliardi di dollari. Nel 2002 aveva raggiunto la cifra di 335,7 miliardi di dollari . Pur tenendo conto dell’inflazione si tratta di un incremento enorme. Nel solo anno 2003 la presidenza Bush richiese al Congresso un aumento di 45 miliardi di dollari, vale a dire il 13% in più rispetto all’anno precedente e l’aumento più consistente dall’inizio dell’era Reagan. Giusto per non dimenticarlo, si tratta di soldi pubblici che finanziano guerre pagate dal contribuente americano con il denaro e il sangue dei propri figli.

Questo riarmo esponenziale viene giustificato attualmente dalla necessità di combattere la “guerra al terrorismo” innescata da quella che fu definita dalla stampa mondiale "l'altra Pearl Harbor", l'attacco all'America dell’11 settembre 2001.

Come sappiamo, la paternità dell'attentato fu attribuita dall'amministrazione Bush ad un gruppo di terroristi di Al-Qaeda di nazionalità saudita, capeggiato da Osama Bin Laden.
Tuttavia, appena poche ore dopo la tragedia che causò 3000 morti americani il ministro della Difesa Donald Rumsfeld chiese piani di guerra contro Bagdad che, come gli eventi successivi hanno dimostrato, non c’entrava nulla con gli attentati. Colin Powell, allora segretario di Stato, prese tempo ma sarà proprio lui ad essere inviato in seguito a fare la nota figura barbina all’ONU agitando le fialette delle inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam come pretesto per schiacciare il dittatore iracheno.

Rumsfeld non faceva che perorare la causa del PNAC (Progetto per un nuovo secolo americano) un think-tank ultra-repubblicano fondato nel 1997 che propugna da allora l'assunzione del ruolo di unica superpotenza mondiale da parte dell’America. Molti componenti di questo gruppo di potere neocon fanno parte dell'amministrazione Bush.

Nel gennaio del 1998 l’équipe del progetto, tra i quali si leggono, oltre a quello di Rumsfeld, i nomi di John Bolton (attuale ambasciatore all'ONU) e Paul Wolfowitz (presidente della Banca Mondiale), scrisse al presidente Clinton una lettera, chiedendo un cambiamento radicale nei rapporti con le Nazioni Unite e la rimozione dal potere di Saddam.

Nel 2000, nel noto documento “Rebuilding American Defense” (versione originale inglese in pdf), il PNAC affermava che gli Stati Uniti, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, avevano un’opportunità strategica senza precedenti, quella di rimanere unica superpotenza e imporre la “pax americana” al mondo. Quello stesso tipo di “pax americana” che JFK aveva pubblicamente rifiutato nel celebre discorso “La strategia della pace”, del giugno 1963:
«Quale genere di pace stiamo ricercando? Non una pax americana, imposta al mondo dalle armi da guerra americane...».

Per rendere gli Stati Uniti unica potenza mondiale il PNAC nel suo proclama del 2000 riteneva necessario tra l’altro:
difendere il suolo americano; combattere e vincere in multipli, simultanei teatri di guerra; assolvere i compiti di «polizia» per rendere sicure le “regioni critiche”; trasformare le forze americane per sfruttare la «rivoluzione negli affari militari». Per portare a termine queste missioni, dichiaravano, dobbiamo: mantenere la superiorità nucleare; rafforzare l’esercito; riposizionare le Forze armate americane verso il Sud est europeo e il Sud est asiatico, nuove aree strategiche del ventunesimo secolo; controllare i nuovi «beni internazionali» dello spazio e del cyberspazio; aumentare le spese militari gradualmente a un livello minimo tra il 3,5 al 3,8 per cento del Pil, aggiungendo da 15 a 20 milioni di dollari al totale della spesa annuale per la difesa.
Insomma, era necessario stabilire un nuovo ordine mondiale fondato su una sorta di rivoluzione permanente, simile a quello già annunciato da Bush padre l’11 settembre del 1990 (la data è sicuramente casuale) nel discorso davanti al Congresso, dove si tuonava per la prima volta contro l’ex alleato contro l'Iran Saddam Hussein diventato nemico pubblico numero uno ed ossessione personale della famiglia Bush.


La rimozione di Saddam sarà compiuta solo nel 2003 dopo che Clinton, affossato da uno scandaletto sessuale, avrà lasciato la presidenza al figlio d’arte George W. Bush, eletto nel 2000 nella più controversa delle competizioni elettorali della storia degli Stati Uniti, con la nota faccenda dei brogli elettorali della Florida.

A pag. 51 di "Rebuilding American Defense", a proposito dei progetti di potenza degli Stati Uniti, si legge: […] il processo di trasformazione, anche se portera’ ad un cambiamento rivoluzionario, sara’ verosimilmente un processo lungo, senza un qualche evento catastrofico e catalizzatore, come una nuova Pearl Harbour. […]

Grazie a quella nuova Pearl Harbour che è capitata a fagiolo l’11 settembre, vi è stata la tanto agognata rimozione di Saddam che ha però provocato la morte presumibile di centinaia di migliaia di civili iracheni (si parla di oltre 500.000), di oltre 2.700 soldati americani e del ferimento grave di oltre 20.000 di essi.
A tre anni dal suo inizio, la guerra in Iraq si è trasformata in un pantano dove la tanto paventata guerra civile tra le fazioni locali è una realtà e non sembra esserci una facile via d’uscita per le forze di occupazione anglo-americane.
Nell’altro teatro di guerra apertosi immediatamente dopo l’11 settembre, l’Afghanistan, Bin Laden non è stato catturato e i talebani stanno rioccupando posizioni su posizioni. E, tanto per cambiare, le donne continuano a portare il burqa.

Abbiamo quindi i famosi multipli scenari di guerra ma non basta, gli americani hanno una legge incostituzionale che limita le libertà dei cittadini (Patriot Act), approvata nell'ottobre 2001 nel corso dell'emergenza antrace e rinforzata dall’ultima legge firmata da Bush il 17 ottobre che di fatto instaura la legge marziale per i “sospetti terroristi” e ne autorizza la tortura. Il presidente Bush, novello imperatore Palpatine, intende anche vietare lo spazio alle nazioni ostili e implementare ulteriori sistemi per controllare la stampa e l’informazione mondiali per individuare le posizioni ostili all’America.

Tutto come desiderato dal complesso militare-industriale, dai think-tank come il PNAC e come temeva il vecchio generale presidente, nel peggiore dei suoi incubi.


mercoledì 18 ottobre 2006

Piccolo Bondi

Caro onorevole Bondi,
rispettiamo la tua scelta di intraprendere uno sciopero della fame in difesa dei privilegi minacciati del tuo maestro, il sommo Lama Silvio, il faro che illumina la nostra oscurità. Per giunta rispettiamo le religioni e mai vorremmo mancare di rispetto al principe Siddharta, così ben descritto anche dal compagno Bertolucci nel noto film “Piccolo Buddha”.

Tuttavia, se ci permetti, vorremmo ricordarti che la via dell’ascetismo è dura, che il digiuno provoca pensieri cattivi (guarda una puntata dell’Isola dei Famosi e capirai). Tu che sei una personcina così ammodo vorresti vederti imprecare per una cucchiaiata di pasta e fagioli e assomigliare più che ad un Lama tibetano a Den Harrow?
Il proponimento è nobile ma comporta dei rischi. Oltre al digiuno forzato il raggiungimento del Nirvana potrebbe distaccarti completamente dal mondo e, una volta giunto di nuovo di fronte a Lama Silvio, scoprire con orrore che non provi più nulla per lui.

Allora, ripensaci. Abbiamo prenotato anche per te. Saremo alla trattoria “La Stradaiola” alle nove di stasera. Stai leggerino oggi perché si è ordinato un menu interessante con la tua amata ribollita.
Ti aspettiamo.
Gli ex compagni di Fivizzano


sabato 14 ottobre 2006

Forzisti su Marte


L'agenzia spaziale europea ESA ha rilasciato alcune nuove stupefacenti immagini del pianeta Marte, fotografato grazie alla High Resolution Stereo Camera. Il famoso "volto" di Cydonia che da tanto tempo faceva discutere gli ufologi si è rivelato essere un puro gioco di luci ed ombre ma altri "volti" sono stati scoperti e ben più sorprendenti del primo. Guardate questo, ad esempio, vicino al "vecchio" volto misterioso. Non assomiglia in maniera straordinaria a...?

Tutte le mie vignette

giovedì 12 ottobre 2006

Nell'Italia io m'ezzo

Dal nostro inviato nella Contea

Marco Frodo Follini lascia l'UDC (Unione della Contea) e, con lo zainetto pieno di pan di via parte per un lungo viaggio nell'Italia di mezzo.
Lo attendono epiche battaglie e soprattutto avrà il compito di formare una compagnia di hobbit coraggiosi che combatta degnamente sia Gianfranco Saruman che Silvio Sauron. L'avventura è appena cominciata...

lunedì 9 ottobre 2006

Cosa ti ricorda la parola Vajont?

Durante una delle mie ultime vacanze in Cadore, passando per Longarone visitai il cimitero delle vittime della tragedia del Vajont, accaduta il 9 ottobre del 1963.

La prima volta che eravamo passati di lì in macchina, il mio compagno mi disse: “Guarda, lassù c’è la diga del Vajont”. Non avevo fatto in tempo a vederla, la diga, ma quella parola comunque mi ricordava vagamente qualcosa che era accaduto quando ero molto piccola, troppo per ricordarmene direttamente. Quella volta non ci fermammo ma lo facemmo l’anno dopo.

Le quasi 2000 vittime dell’onda di fango che sommerse tre paesi, Erto, Casso e Longarone riposano in località Fortogna, vicino alla nuova Longarone. La cosa che più mi colpì di quella visita, che compimmo di mattina, nel cimitero deserto, fu quella data, la stessa, 9 ottobre 1963 che ti inseguiva implacabile da una croce all’altra, da un cippo ad un altro, da una fila all’altra.

Quando tornai a casa volli documentarmi e colmare la mia ignoranza sulla tragedia. Guardai lo spettacolo che Marco Paolini aveva dedicato al Vajont “Orazione civile”, lessi il libro di Tina Merlin “Sulla pelle viva”.

Non si era trattato di una fatalità, ma di un disastro assolutamente prevedibile, provocato dall’incoscienza di chi aveva voluto una diga ultramoderna “che non sarebbe mai crollata” nel luogo dove non avrebbe mai dovuto esserci. La diga non si ruppe, è vero, ma fu la montagna alla quale era stata abbarbicata a forza che cedette. Milioni di tonnellate di montagna franarono sull’invaso e l’onda risultante piombò sui paesi vicini, distruggendo cose e spezzando vite.
Nessuno aveva ascoltato i montanari, cosa vuoi che capiscano più degli ingegneri. Quella diga s’ha da fare. A tutti i costi. Nessuno aveva ascoltato, a diga ormai completata, il borbottìo sempre più inquieto del monte Toc che faceva tremare le case di Erto e Casso e le preoccupazioni delle popolazioni che erano stato raccontate solo da una coraggiosa giornalista, Tina Merlin. Turbativa delle quiete pubblica, fu la denuncia che si beccò, ma Tina continuava a scrivere e a mettere in guardia contro quel mostro che poteva risvegliarsi in qualunque momento. Subito dopo la tragedia scrisse: "Oggi tuttavia non si può soltanto piangere, è tempo di imparare qualcosa".
A quarantatre anni di distanza, abbiamo imparato la lezione?

Per chi vuole approfondire:
Il sito sul disastro del Vajont
Lo spettacolo di Marco Paolini “Vajont, orazione civile” parte I - parte II
Un articolo di Tina Merlin e un’intervista
Il documentario sul Vajont di “La storia siamo noi
Il "dopo" Vajont, un resoconto delle speculazioni sui fondi destinati ai superstiti, sulle ruberie e i soprusi che quella popolazione ebbe a subire dopo la tragedia. Un grazie di cuore a Caio per la segnalazione.

sabato 7 ottobre 2006

Fozza, Diaio



Cosa c’entrano i bambini di “fozza itaia” con Diario e il debunking? Andiamo per ordine.
Non so quanti di voi se lo ricorderanno ma nel 1993 comparvero sui muri e sulle fiancate degli autobus nelle grandi città italiane questi manifesti con dei marmocchi che smorfieggiavano in vari modi ed erano corredati dalla scritta “fozza, itaia.”
Allora ci si chiese che tipo di prodotto stessero pubblicizzando ma la nostra curiosità rimase inappagata.

Apro una breve parentesi. Esiste un tipo di campagna pubblicitaria, chiamata teaser che crea l’aspettativa nei confronti di un nuovo prodotto. Si realizza un manifesto o uno spot televisivo dove il prodotto non viene presentato lui pirsonalmente di pirsona ma in qualche modo si stimola la curiosità dello spettatore verso qualcosa che sta per arrivare. Dopo un certo tempo si presenta la versione finale dello spot o del manifesto con il prodotto bene in vista. In teoria a quel punto, orde di consumatori bramosi di possedere il prodotto dovrebbero precipitarsi ad affollare i negozi che lo vendono. Per fare un esempio, la Playstation 2, che veniva presentata con un inquietante spot dove campeggiava solo la scritta P2 fu oggetto di una campagna teaser, se vi ricordate.

Torniamo ai nostri impuberi dall’eloquio ancora incerto e al 1993. Non si seppe mai quindi che tipo di prodotto dovessero promuovere anche se, per la solita mania del cervello umano di fare libere associazioni, quando nel 1994 nacque un nuovo partito politico chiamato, per combinazione, “Forza Italia” molti si ricordarono dei manifesti e dissero “Ah, ecco cos’era!”
E poteva anche esserci un legame, visto che del lancio del nuovo partito si occupava Pubblitalia, un’agenzia pubblicitaria che poteva benissimo aver utilizzato il tipo di campagna teaser che ho poco fa descritto.

Del resto cosa ci sarebbe stato di male, a parte l’uso un po’ disinvolto di poveri innocenti per scopi politici?
Ma anche questo non era una novità, dato che la Democrazia Cristiana, per le amministrative del 1952 aveva utilizzato una immagine molto simile. Un bimbo ignudo che però pronuncia molto meglio dei suoi tartaglianti discendenti un bel “Forza Italia!”.
Fatto sta che la questione dei manifesti ignoti del '93 cadde nel dimenticatoio e nessuno più ne parlò.

Tempo fa, mettendo ordine tra vecchi appunti universitari ho ritrovato quelli di una lezione di Sociologia della Comunicazione dedicata a “fozza itaia”. Sono andata a cercare se nel frattempo in rete fosse emerso del nuovo materiale a riguardo ed ecco che trovo un articolo di “Diario” del 27 agosto 2004 dove si dice che in realtà non c’è nessun mistero attorno a quella famosa campagna che ha dato adito non si sa perchè ad una vera e propria leggenda metropolitana. Non c’è nessun legame con Berlusconi.
In pratica si accusa chi ha fatto quella famosa e banale associazione mentale tra “fozza itaia” e “forza italia” di essere paranoico.

A riprova, viene intervistato un copywriter dell’Agenzia pubblicitaria Testa che rivela che gli imprenditori delle affissioni avevano loro commissionato una campagna per incoraggiare l’utilizzo del manifesto in pubblicità. Praticamente era una sorta di “poster promuovi te stesso”.
Quando uscirono qualche mese dopo i manifesti di Forza Italia pensai, dice il copywriter, che io e i pubblicitari di Berlusconi avevamo fatto per coincidenza lo stesso ragionamento. Excusatio non petita.
L’articolo termina con una sonora bacchettata preventiva ai paranoici, con l'affermazione che nonostante queste rivelazioni di Diario ci sarà purtroppo gente che continuerà a vedere l’ombra di Berlusconi dietro ai bimbi balbettanti.

Mi meraviglia quest’opera di debunking, ovvero di smontaggio sistematico di teorie non gradite con tanto di “opinione dell’esperto” portata come prova, perché mi sfugge la necessità dell’operazione.
Intanto ben pochi si ricordano di “fozza itaia” e poi è così grave pensare che Berlusconi, tra i tanti manifesti che ha pagato nella sua vita abbia pagato anche quelli degli impuberi e che i suoi pubblicitari potrebbero essersi ispirati al manifesto democristiano degli anni ’50?

Lo so, oggi in tempi di razionalismo sfrenato non è più tanto di moda ipotizzarlo, ma se si fosse trattato di premonizione da parte del copywriter dell’Agenzia Testa?
Un pubblicitario crea una campagna per le imprese di affissioni prevedendo mesi prima la nascita di un nuovo partito politico. Pensa, ne aveva indovinato persino il nome, seppure storpiandolo. Come quello scrittore che nel 1898 aveva scritto un libro su un transatlantico chiamato Titan che affondava durante il viaggio inaugurale centrando in pieno un iceberg.

In realtà il debunking è il nuovo corso di Diario. Infatti ora sappiamo che, cassetta degli attrezzi in spalla e “Popular Mechanics” in tasca, il direttore si dedica anima e corpo allo smontaggio delle teorie malsane sull’11 settembre. E lì si che gli toccherà fare gli straordinari. Deaglio fravaglio, fattura cà nun quaglia, corne e bicorne, cap'alice e capa d'aglio.


venerdì 6 ottobre 2006

Viale del Tremonti vol. 3

Tutti i grandi autori si cimentano con una trilogia...
Sulla politica:

Il prossimo ministro delle finanze sarà Bordon – Tax Willer
Si immola per l’ex premier – Ecce Bondi
Il capolavoro del maestro Lynch – Eraserhead, la mente di Mastella
Aumentare le tasse? – L’ultima tentazione di Visco
Playboy di centrodestra – 007, da La Russa con amore
Un paparazzo perseguita la Moratti – Fotografando Letizia
Nel salotto della Santanché – Il Salò delle vanità
L’estate di D’Alema – Il tempo delle vele
Nessuno si sforza di capirlo – Nei panni di Di Pietro


Sul calcio:

Acque agitate nello spogliatoio rossonero – Milanello violenta
Zidane in piscina – Le avventure acquatiche di Zizou
Spiavano gli arbitri? - Inter ceptor, Il guerriero della scheda (telefonica)
Strani giochi nello spogliatoio del Milan – Il Gattuso a nove code
Tornato in Brasile, è disperso in Amazzonia – Fitzronaldo
La reazione di Blatter alla vittoria dei mondiali dell’Italia – Il gelo sopra Berlino
Ma gli Inter-cettori operavano anche all’estero? – Spiando Beckham
La risposta di Moratti alla richiesta d’aumento di un giocatore – Si può fare, Figo
Hanno incastrato Moggi – Colpo al gobbo all’italiana
Tavaroli parla - Milano trema: la zebra vuole giustizia
Galliani pensa ad un nuovo attaccante – Oltre il Gilardino


Miscellanea:

Sono finiti tutti all’ospedale dopo la cena – Cuoco assassino
Dopo gli ultimi errori sugli exit poll gli toccherà emigrare – Il Piepoli migratore
Opinionisti in tv – 007, una cascata di Ilvo Diamanti
La Hilton ha proprio rotto – Paris, te scass
Lui pulisce e spazza ma il resto no – L’uomo che non cera
Un film ambientato in un laboratorio chimico – Solfato blu
Deaglio e l’11 settembre – Caso Diario
Storia di un prete molto vicino ai poveri della Lanterna – Don Camallo
Riescono sempre a pagare la rata del mutuo – Gli eroi del bonifico
Hai le mani sporche! – Non toccare la gonna bianca
Il dramma di Lapo – La roba bianca
Lapo in Egitto – La roba purpurea del Cairo
La storia di Callisto Tanzi – Il cavaliere che disfece l’impresa
Il conto del becchino – La spesa cadavere
Un film noiosissimo – La caduta degli zebedei

mercoledì 4 ottobre 2006

Addio, professo'

E’ di oggi una triste notizia. E’ morto Riccardo Pazzaglia, il filosofo di “Quelli della notte”, la trasmissione di Arbore del 1985 che lanciò tanti personaggi a noi cari.
Era scrittore, regista e come autore di canzoni aveva collaborato con Modugno, per il quale aveva scritto “Io, mammeta e tu”.
Pazzaglia era l'intellettuale nel gruppone di scalmanati di Arbore e con la sua signorilità non trascendeva mai nonostante le provocazioni del sanguigno Ferrini o del pazzo Marenco e le banalità lapalissiane di Catalano.
Quando la discussione sul "brodo primordiale" si faceva difficile lui allungava una mano verso terra e la scuoteva dicendo sconsolato ma sempre con calma olimpica: “Il livello è basso”.
Indimenticabile il suo pezzo sul cavalluccio rosso per il compleanno del nipotino nel film di Luciano de Crescenzo "Così parlò Bellavista".
Caro professore, aveva proprio ragione. Guardandoci attorno e vedendo quanto si stia ancora abbassando il livello penseremo a lei e la ricorderemo sempre con affetto.

Una vespa di nome Bruno

Non si sa dove e quando sia nato Bruno Vespa, forse addirittura all’epoca del Big Bang, ma le prime tracce della sua presenza risalgono all’Era Mesozoica, dove ben presto si mette in luce come uno più stimati giornalisti della preistoria della televisione.
Molto amico dei dinosauri, specialmente del Tirannosaurus Rex, si attira molte invidie e deve lottare per difendere il suo posto di lavoro. E’ di quell’epoca il suo primo successo editoriale: “Il duello – chi vincerà nello scontro finale tra dinosauri” con prefazione del T.Rex in persona.

Miracolosamente scampato all’estinzione dei suoi primi protettori trova nei mammiferi nuove amicizie e di due in particolare, certi Adamo ed Eva, fa i primi telespettatori umani che riesce a conquistare per la sua nuova trasmissione “Melo a melo”.
E’ di quell’epoca il suo slogan più riuscito: “Chi Vespa mangia le mele”. Purtroppo l’idea si rivela nefasta e Vespa è costretto a nascondersi per molti secoli per sfuggire all’Ira di Adamo.

Lo ritroviamo in un castello medioevale dove conduce “Ponte levatoio a ponte levatoio” una piacevole trasmissione dove ogni mese il signore feudale, un certo Ser Silvio da Arcore, si rivolge ai suoi vassalli con un editto chiamato “Contratto con i servi della gleba”.
Vespa è molto popolare tra i valvassori e i valvassini, meno tra i servi e quando è costretto ahimè a scendere tra il volgo per comperare il giornale deve girare travestito da frate.

Litiga con Cristobal Colombo perché il genovese gli rifiuta l’imbarco sulla Santa Maria per una puntata speciale di “Puerta a puerta” ed ha un lungo contenzioso con il veneziano Marco Polo per i diritti d’autore del suo nuovo libro “La grande muraglia”.

Nel corso dei secoli supera nell’ordine: due pestilenze, tra cui quella manzoniana dove si distingue per una campagna particolarmente aggressiva contro i monatti; la Rivoluzione Francese, dove scampa alla ghigliottina per interessamento personale di Robespierre, i moti carbonari, la Comune di Parigi, la Rivoluzione d’Ottobre e la beffa di Bùccari.
Durante il ventennio rischia grosso parecchie volte perché ha il vizio di rivolgersi a Lui chiamandolo Silvio.

Negli anni '50 la televisione arriva anche in Italia e da allora il nostro vespone è sempre in prima fila. Conduce il TG, è giornalista spregiudicato e sempre controcorrente, scrive altri 87 libri e riesuma una sua vecchia trasmissione, “Porta a Porta”.

Ora però si annunciano tempi cupi. Un tale patrimonio dell’umanità è minacciato di estinzione. La vespa “brunis brunis” è condannata a scomparire se non potrà andare in onda almeno cinque volte alla settimana.
Certo è dura pensare che potremmo non sapere mai come finirà la saga di Cogne tra vent’anni ma forse qualche vecchio dinosauro si ricorderà del vespone e correrà a salvarlo. Come sempre.

lunedì 2 ottobre 2006

Il caso antrace (Amerithrax)

Nell’ottobre del 2001, un’America ancora sotto shock per la tragedia dell’11 settembre si trovò ad affrontare una nuova emergenza, questa volta ancora più sottilmente spaventosa e che aveva a che fare con lo spettro del terrorismo batteriologico. Fu una crisi che coinvolse direttamente il Congresso americano e alcuni politici di primo piano e causò la morte di cinque persone.

Erano giorni frenetici per i senatori del Congresso, ai quali si richiedeva di approvare il Patriot Act, una legge antiterrorismo voluta fortemente dall’Amministrazione Bush, che avrebbe introdotto alcune limitazioni alle libertà personali dei cittadini americani e per questo era estremamente controversa.
Il progetto di legge fu presentato al Congresso il 2 ottobre. Il leader della maggioranza al Senato, il senatore democratico Tom Daschle chiese più tempo per esaminare tutte le carte relative e disse che dubitava che il Senato avrebbe approvato questa legge rispettando la tabella di marcia di una settimana come desiderava l’amministrazione Bush. [ Washington Post, 3/10/01].
Anche il capo della commissione giustizia al Senato, il democratico Patrick Leahy, che come Daschle aveva il potere di bloccare l’iter legislativo, sollevò dubbi di incostituzionalità del provvedimento.

Il 5 ottobre i giornali riportarono la notizia della morte di Robert Stevens, un giornalista del "Sun" di Boca Raton, Florida che era stato ricoverato in seguito al contagio con il Bacillus Anthracis, un batterio le cui spore provocano l’antrace, una malattia mortale (CNN, 18/11/01, South Florida Sun-Sentinel, 01/12).
Il segretario alla Sanità Tommy Thompson escluse la matrice terroristica e suggerì che il contagio fosse avvenuto attraverso vie naturali. L’opinione pubblica venne rassicurata, l’antrace non è contagiosa. Si scoprirà che altre persone erano state infettate fin dal 23 settembre (le prime lettere risultarono spedite il 18) ma non erano state correttamente diagnosticate.

La mattina di lunedì 15 ottobre 2001 si raggiunse l’apice della crisi. Un impiegato dell’ufficio del senatore Tom Daschle aprì una lettera minatoria (spedita il 9) contenente una polvere che si scoprirà contenere spore di bacillo dell’antrace. Risulterà in seguito che un'altra lettera contenente le micidiali spore era stata indirizzata al Sen. Patrick Leahy.
Il testo delle lettere indirizzate a Daschle e Leahy diceva: “Non puoi fermarci. Abbiamo questa antrace. Morirai. Hai paura? Morte all’America. Morte ad Israele. Allah è grande”. (fonte FBI).
Il giorno 16 il palazzo che ospita gli uffici del Senato venne chiuso e i controlli si estesero anche alla Camera dei Rappresentanti, dopo che 28 membri del personale risultarono positivi al test dell’antrace.
Tutto il personale e i deputati e senatori che potevano essere stati infettati vennero sottoposti a trattamento con Cipro, un antibiotico della famiglia dei chinolonici usato comunemente contro le infezioni urinarie ma efficace anche contro il bacillo dell’antrace.
Altre due lettere contaminate vennero nel frattempo spedite alla NBC News e al New York Post.

Il 21 e 22 ottobre morirono di antrace gli impiegati postali Thomas L. Morris (55 anni) e Joseph P. Curseen (47), che avevano maneggiato le lettere contaminate.
Il governatore Thomas Ridge, direttore della Sicurezza Nazionale, rivelò che le spore contenute nelle lettere inviate al New York Post e ai senatori democratici appartenevano al ceppo Ames (generalmente utilizzato nei laboratori di ricerca sulle armi batteriologiche) ma che quelle destinate ai senatori erano dieci volte più concentrate.
Il 31 ottobre morì l’infermiera di New York Kathy Nguyen e il 21 novembre l’ultima vittima, Ottilie Lundgren di Oxford nel Connecticut.

Il 24 ottobre fu approvato un finanziamento di 300 milioni di dollari per gli stati che avevano subito l’emergenza antrace e inoltre il segretario alla sanità Tommy Thompson annunciò, assieme al presidente e amministratore delegato della Bayer Corporation Helge Wehmeier, il raggiungimento di un accordo per l’acquisto da parte delle autorità federali di ingenti quantitativi di Cipro a basso prezzo.

Lo stesso giorno, al Senato, passò finalmente il Patriot Act, con il solo voto contrario del senatore Russell Feingold, il cui ufficio era di fianco a quello di Tom Daschle.
Il membro del Congresso Ron Paul dichiarò:“A quanto ho potuto capire il disegno di legge non era stato stampato prima del voto – o almeno io non ho potuto averne una copia. Utilizzano ogni tipo di gioco o sotterfugio, tenere la Camera aperta in sessione per tutta la notte, ed il disegno di legge era molto complicato. Forse una manciata di funzionari lo ha anche realmente letto ma sostanzialmente il testo della legge non è stato reso disponibile ai membri del Congresso prima del voto”. Più tardi si scoprì che soltanto due copie della legge furono rese disponibili nelle ore prima del suo passaggio alla Camera e gran parte dei rappresentanti ammisero di aver votato il Patriot Act senza averlo letto prima." (Insight, 9/11/01)

Inizialmente venne suggerito che sia al-Qaeda o l’Iraq fossero i mandanti delle lettere all’antrace. [Observer, 14/102001; BBC, 16/10/2001; London Times, 27/10/2001].
In realtà, ulteriori indagini condussero gli investigatori a concludere che “tutto faceva pensare ad una fonte interna. Nessun indizio risultava compatibile con un’operazione di terrorismo internazionale.” [Washington Post,27/10/2001; St. Petersburg Times, 10/11/2001]

Secondo quanto scrive Tempo Medico, “Le spore di antrace circolate per posta nell'ottobre 2001 appartenevano al ceppo Ames ed erano particolarmente letali perché venivano dal cuore della scienza militare americana: erano infatti state raffinate nel laboratorio di massima sicurezza di Fort Detrick (Maryland), tanto che il vicedirettore dell'FBI Van Harp scrisse una lettera ai quarantamila scienziati dell'American Society for Microbiology, affermando: "E' molto probabile che qualcuno di voi sappia chi è il colpevole". Su questo stesso punto insistette, sul New England Journal of Medicine, anche Louise Richardson dell'Università di Cambridge: "Con la costruzione di nuovi laboratori di massima sicurezza, in cui lavoreranno centinaia di persone appositamente addestrate, aumenta anche la possibilità che qualcuno di questi scienziati abbia dei contatti con una qualche organizzazione terroristica".

Nell’agosto 2002, l’FBI fece il nome di Steven Hatfill, un ricercatore di armi batteriologiche che aveva lavorato per il governo Americano, come persona sospetta nel caso “Amerithrax”. [Associated Press, 1/8/2002; London Times, 2/8/2002]
Nonostante le approfondite indagini non verrà mai formalmente incriminato.

Il 10 gennaio 2003 Judicial Watch, un ente privato conservatore che negli Stati Uniti controlla l'apparato giudiziario denunciò il fatto che l’amministrazione Bush, nonostante la legge sulla libertà di informazione FOIA, non aveva rilasciato i documenti da loro richiesti per un’ulteriore indagine sul caso antrace.
La denuncia si basava su notizie comparse sulla stampa fin dall’ottobre 2001 che parlavano della possibilità che il personale della Casa Bianca, incluso il vicepresidente Dick Cheney e il suo staff, la sera stessa dell’11 settembre, avesse cominciato ad assumere pastiglie di Cipro, che come ricordiamo, è efficace contro l’antrace.
La giornalista Sandra Sobieraj dell’Associated Press scriveva il 23 ottobre 2001 sul Washington Post: “Come ha dichiarato un testimone, la notte dell’11 settembre lo staff medico della Casa Bianca distribuì il Cipro al personale che accompagnava il vice presidente Dick Cheney in partenza per Camp David, dicendo loro che si trattava di “misure precauzionali”. A quel tempo nessuno poteva prevedere le dimensioni del piano terroristico”.

Judicial Watch voleva sapere se era vero che la Casa Bianca era stata protetta col farmaco, mentre senatori e deputati e i lavoratori delle poste, due dei quali erano morti, non lo erano stati o avevano ricevuto il trattamento solo dopo gli attacchi. E soprattutto, in quel caso, perchè la Casa Bianca era stata protetta ben prima che la crisi antrace scoppiasse quasi un mese dopo?
Judicial Watch non ha ricevuto risposte e nessuno risulta a tutt’oggi, a cinque anni di distanza, indagato per il caso Amerithrax.

domenica 1 ottobre 2006

Zitta, o chiamo Belfagor!

Un fantasma si aggira per l’inconscio di chi ha almeno 45 anni.
Non so quanto possa dire questo post agli under 40. Non dico che non abbiano mai sentito parlare di Belfagor ma l’aver vissuto la cosa è sicuramente diverso.
Se vi dicessi che ancora oggi, se devo percorrere un corridoio buio anche in casa mia lo faccio regolarmente di corsa senza guardarmi indietro? Colpa di Belfagor.
Da qualche parte devo avere ancora qualcuno dei disegni che facevo compulsivamente per esorcizzare lo spavento: Belfagor di qui, di là, di fianco alla casetta con l’alberello, Belfagor piccolo, Belfagor grande. Mio nonno me li comperava, 100 lire l’uno (che a pensarci oggi era una bella cifra!)

Ma chi era ‘sto Belfagor?
Il 15 giugno 1965 sul Secondo canale della televisione (allora c’era solo la RAI) andava in onda per la prima volta uno sceneggiato francese in sei puntate, “Belfagor o il fantasma del Louvre” ispirato a un romanzo scritto nel 1927 da Arthur Bernède e diretto da Claude Barma. Lo sceneggiato fu poi replicato varie volte, nel 1966, 1969, 1975 e 1988.

La Francia era molto popolare in televisione allora. Un anno prima avevano cominciato ad andare in onda "Le Inchieste del Commissario Maigret” con Gino Cervi e la collaborazione alla sceneggiatura del maestro Camilleri. Tutto rigorosamente in bianco e nero.

Belfagor fu una sferzata in faccia. Sugli allora pudibondi schermi democristiani approdarono tutti assieme: i Rosa Croce e le sette segrete, l’esoterismo, l’alchimia, l’antico Egitto, una donna adulta che ha una relazione con uno studentello, le droghe che rendono gli individui automi, i maestri del terrore e misteriose pietre radioattive, il tutto avvolto in una pericolosa nebbia sulfurea e diabolica (Belfagor è un famoso arcidiavolo).

Ricordo la trama per i troppo giovani. Un guardiano del Museo parigino del Louvre viene assassinato nottetempo durante il suo giro di ronda. Il commissario Menardier indaga e per conto suo anche uno studente curioso, Andrea Bellegarde, che si fa prendere dal mistero che circonda il caso. Già, perché si parla di un misterioso fantasma, visto da diversi guardiani, che si aggirerebbe nelle sale dedicate all’Antico Egitto.
Andrea, che ha conosciuto per caso Colette, la figlia del commissario, si fa rinchiudere nel Louvre assieme alla ragazza, che ha ereditato il fiuto da segugio dal padre, e una notte il fantasma compare finalmente. E’ alto, completamente ricoperto da un mantello nero e indossa una maschera di cuoio. Nel corso delle indagini Andrea conosce anche Luciana, un’affascinante signora dell’alta borghesia che ha una relazione con un misterioso individuo, un certo Williams. Da lì la trama si sviluppa e si fa intricatissima. Compaiono una vecchia signora che forse sa troppe cose, una setta esoterica e una sorella gemella di Luciana. Chi è il fantasma? Chi sta manipolando la sua volontà?

Elemento fondamentale del successo di Belfagor era la sceneggiatura di Jacques Armand che mescolava tutti gli elementi della storia misteriosa senza far uso di effetti speciali o trucchi. Lo spavento nasceva da cose in fondo stupide ma tremendamente efficaci. Cosa immaginare di più spaventoso che svegliarsi nella propria camera con Belfagor che si nasconde dietro una tenda? Un altro elemento di fascinazione è la Parigi di Belfagor, che è ancora quella dei cafés, dei cancan e delle edicole, un luogo denso di grandi misteri ma in fondo familiare.

In Belfagor domina la presenza magnetica di Juliette Greco, con la voce profonda, l'occhio egizio e l'allure di femme fatale. Assieme a lei il protagonista Yves Rénier, deciso a combattere il male ma manipolato e salvato da figure femminili di grande forza. Nei ruoli secondari René Dary, visto in "Non toccate il Grisbi", un commissario Menardier con gli accenti di un Gabin, mentre François Chaumette conferma la sua grandezza di attore teatrale. Una curiosità, nei panni eburnei di Belfagor si celava un mimo, Isaac Alvarez.

Per chi volesse farsi prendere dalla nostalgia consiglio il cofanetto in DVD del 40° anniversario che contiene anche, integralmente, la prima versione di Belfagor: un film muto del 1927 che venne sceneggiato direttamente dall’autore del romanzo originale, Arthur Bernède, e co-prodotto da un altro intenditore di misteri parigini: Gaston Leroux, il padre del "Fantasma dell’Opera".