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martedì 31 luglio 2007

Congiungimenti (carnali) e ricongiungimenti (famigliari)

L’onorevole Mele disse un nome, il suo e si alzò alto un nitrito, quello del suo segretario Cesa.
Il segretario dell'UDC non si è preoccupato tanto del fatto che il suo deputato sia stato trovato in compagnia di una signorina a pagamento leggermente scoppiata di coca in una camera d'albergo ma ha nitrito dolorosamente e a lungo lamentando il fatto che i deputati, udite udite, si sentono soli nelle lunghe settimane a Roma e si dovrebbe fare di più (più soldi?) per favorire il ricongiungimento familiare dei suddetti. Il ricongiungimento per evitare il congiungimento carnale mercenario, insomma.

So che vi sovvengono tristi immagini di migranti su gommoni alla deriva o di nostri compatrioti su bastimenti in partenza per terre assai luntane e una furtiva lacrima vi solca la guancia.
Ricomponetevi, non si tratta di poveri minatori o tecnici di piattaforme petrolifere via per sei mesi l'anno ma di individui che potrebbero benissimo pagarsi, per quello che guadagnano, oltre alle puttane e alla droga anche un viaggetto in più della famiglia a Roma.
Visto oltretutto che mogliera e pargoli non pagherebbero neppure il treno o l'aereo.

Facciamo una botta di conti della serva andando a spulciare nel portafogli di lorsignori.

Indennità parlamentare corrisposta per 12 mesi: € 5.486,58 al mese (10.623.500 lire) + Diaria di soggiorno: 4.003,11 al mese* (7.751.101 lire)
(*Da questa diaria vengono detratti, bontà loro, € 206,58 per ogni seduta nella quale il deputato non abbia partecipato almeno al 30% delle votazioni che in essa sono effettuate)

Ad ogni deputato vengono inoltre corrisposti:
mensilmente un rimborso forfetario di € 4.190,00 per le spese sostenute al fine di mantenere il rapporto con gli elettori (chissà, se la squillo è un'elettrice, magari si fanno anche rimborsare le trombate).
Ogni tre mesi, (per i trasferimenti dal luogo di residenza all'aeroporto più vicino e tra l'aeroporto di Roma-Fiumicino e Montecitorio) un rimborso spese pari a € 3.323,70, per il deputato che deve percorrere fino a 100 km per raggiungere l'aeroporto più vicino al luogo di residenza, ed a € 3.995,10 euro se la distanza da percorrere è superiore a 100 km.
I deputati, qualora si rechino all’estero per ragioni di studio o connesse all’attività parlamentare, possono richiedere un rimborso per le spese sostenute entro un limite massimo annuo di € 3.100,00.
Si pagano almeno la ricaricabile del telefonino? Macchè, annualmente ricevono un rimborso di € 3.098,74 per spese telefoniche.
I deputati inoltre usufruiscono di tessere per la libera circolazione autostradale, ferroviaria, marittima ed aerea per i trasferimenti sul territorio nazionale.

Siamo a circa € 15.269,72 al mese. Diciamolo in lire, che fa ancora più effetto a noi vecchi: quasi una trentina di milioni al mese. Paragonateli al mazzo che ci dobbiamo fare noi ogni mese per portare a casa un migliaio di euro striminziti in media e, quando avrete finito di tirar giù i santissimi e le madonne, ditemi: questo signor Cesa, non vi ricorda un poco Maria Antonietta & Le Sue Brioches? Diamo atto a Bertinotti che almeno si è ricordato di essere un uomo di sinistra e ha respinto la vergognosa e spudorata richiesta del segretario dell'UDC.

I guadagni scandalosi dei nostri deputati andrebbero incisi su lapidi da appendere nei seggi elettorali ogni volta che ci rechiamo a rinnovar loro il contratto di lavoro, a imperitura memoria della loro faccia da culo.

domenica 29 luglio 2007

Racchio e Camilla, ovvero la rivincita della carampana


Le favole esistono, eccome, solo che a volte non si svolgono secondo il solito copione ma con una trama che sembra scritta da dei Fratelli Grimm reduci da una scorpacciata di amanita muscaria. Quella di Camilla e del Principe Racchio è talmente scombiccherata e destrutturata che avrebbe fatto felice un amante dell’assurdo come Lewis Carroll. Come in tutte le favole c’è una regina né buona né cattiva ma diremo borderline; c’è un Principe che però non è Azzurro ma Racchio; una principessa bella e giovane alla quale il Principe preferisce una borghese brutta e vecchia. Raccontiamola allora questa favola, come farebbe Morticia Addams ai suoi bambini, prima di dormire.

Eccoci appunto a raccontare di un Principe che, nonostante la racchiezza, tutte se lo vogliono sposare. Lui, con qualche promessa di farle tutte regine, cucca alla grande. Che culo, direbbe a questo punto in coro il popolino, e invece no, lui intorta a malincuore perché il suo cuore è solo per Camilla, una ragazza che non è bellissima come di solito nelle fiabe, ma bruttarella anche lei.
A mammà, ossia alla Regina, Camilla non piace, nonostante sia matura, amante appassionata e sia un vero appoggio per suo figlio. No, mammà vuole per lui una vacua, giovine spendacciona che lo renda perfettamente infelice.

Dopo aver sgamato per una decina d’anni il matrimonio il Principe Racchio alla fine capitola e viene indetta la gara d’appalto per trovare la sposa perfetta. Lui prova a dire a mammà: “Ci sarebbe Camilla già bell’e pronta...” ma la vecchiaccia non vuole sentire ragioni. Dev’essere aaalta, beeellla, giovane e vergine. Su quest’ultimo punto il Principe non può proprio dir nulla. La data dello spulzellamento della sua amata Camilla si perde nella notte dei tempi.

L’appalto se lo aggiudica una ragazza che si chiama Diana come le sigarette e ha l’espressione di colei alla quale bisogna insegnare tutto dell’amor. Come regalo di fidanzamento si accontenta di un modesto anellone con zaffiro grosso e pacchiano che potrebbe benissimo servire ad un camionista per abbagliare l’autovelox. Tutta timidina e con la guancia perennemente arrossata di virginale pudore, si aggrappa alla zampa del Rospo mettendo bene in mostra l’anellone per i giornalisti e intanto comincia a fare i suoi conti: “La vecchia non potrà campare in eterno. Quando lui sarà Re io sarò la Regina e Elton sarà il gran ciambellano. Il principe sarà pure racchio, ma vuoi mettere come farò la mia porca figura con la corona?”
Che c’è una Camilla tra di loro lo sa benissimo, ci ha fatto già il suo bel pianto, ma confida nel fatto che nelle favole non si è mai visto un Principe preferire una strega ad una Principessa beella e aaalta.

Il giorno delle fastose nozze in mondovisione, la bistrattata Camilla, soffocando chissà quante lacrime, prende lavoro a maglia e Settimana Enigmistica e va a sedersi sulla riva del fiume preparandosi ad una lunga attesa.
Come volevasi dimostrare, il matrimonio è un inferno. La sposa è più perfetta di quanto la Regina non sperasse.
Nonostante la nascita di due principini, uno dei quali è forse troppo somigliante ad un amico della mamma, disgraziatamente riconoscibilissimo perché rosso malpelo, il Principe Racchio non demorde e appena ha un minuto di tempo tra il non far nulla e il non fare un cacchio, scappa da Camilla. Insieme cavalcano, in tutti i sensi, fanno giardinaggio, strigliano i cavalli, lui parla con le piante e lei lo asseconda senza richiedere il T.S.O. Si scambiano perfino le sottane. Sono culo e camicia.

Intanto la Principessa snobbata diventa sempre più triste, ma così triste che nemmeno quattordici amanti riuscivano a consolarla.
Un giorno, stufa del continuo tradimento del Principe, (i suoi non sono veri tradimenti, sono solo amici che cercano di tirarla su), si veste tutta di nero, prende mastella, Marsiglia, Omino Bianco e ammorbidente e, smunta dai continui digiuni, va in televisione a lavare 6 o 7 chili di panni sporchi della famiglia reale.
Quella grandissima cornutazza di mia suocera è una vecchia insopportabile, mio suocero è uno stronzo e pure nazista, i cortigiani dei bastardi che si rubano l'argenteria, mio marito un farabutto e io sono tanto triste. Tutto il popolo piange con lei. La regina comincia a convincersi di aver preso una colossale cantonata ma preferirebbe essere rinchiusa nella Torre, che ammetterlo. Camilla, sulla riva del fiume, è intenta a risolvere il Quesito della Susi.

Come è finita lo sappiamo. La principessa triste muore e alla regal suocera tocca pure di andare al funerale a sentire Elton il ciambellano mancato che strimpella il piano in cattedrale.
Passano gli anni e l’amore di Racchio e Camilla è sempre più forte. Che sia una delle storie d’amore più commoventi degli ultimi secoli ormai lo ammette anche la vecchia che, un giorno, chiama suo figlio e gli dice: “E sposati ‘sta Camilla, va.”

Sono giorni di giubilo nel regno dell’Incontrario quando finalmente, dopo anni e anni di sofferenze e forzata separazione Racchio e Camilla si sposano, con la benedizione della vecchia, dei principini e del popolo che non solo approva ma vorrebbe Camilla addirittura regina.
Della bella principessa triste e defunta non si parla più tranne che su Retequattro a tarda notte tra una televendita di materassi e l’altra di pignatte, e a dieci anni dalla morte non si trova più neppure uno scandaletto piccolo piccolo sul quale far uscire l’ennesimo libro.
Un fiore sulla tomba, una schitarrata di un manipolo di vecchi tromboni rocchettari allo stadio di Wembley con i principini che aizzano il pubblico: “Siete già caldi, oh yeah!?” e bon, ci siamo tolti anche questo pensiero.
E vissero tutti felici e contenti.

sabato 28 luglio 2007

Spacciatori di coccoina

Ovvero, su cose che mi danno i nervi e mi strozzano lo spaghetto in gola quando ascolto le notizie del TG (qui mettete voi a scelta il numero 1-2-3-4-5-6-7, tanto per me pari sono, voi notate qualche differenza?)

E' possibile che i testi dei servizi televisivi vengano ormai fatti con i generatori automatici? Non si spiega altrimenti l'utilizzo a tappeto ed in ogni circostanza delle frasi strafatte come la smielatissima “il piccolo (Tommy, Samuele,...)” che accompagna qualunque notizia che riguardi minori di 18 anni, compresi quelli di 17 anni e mezzo, l'ipocrita “non ce l’ha fatta”, inserita dal generatore per non dire che il tizio X è morto e soprattutto quella che io odio e che non sopporto più: "l'opposizione attacca".

Questa espressione è ormai incollata ad ogni notizia che riguardi le azioni del governo Prodi ma anche a quelle di cronaca. Brucia il Gargano? L’opposizione attacca. Rifondazione chiede spiegazioni sul Welfare? Intanto, l’opposizione attacca. Il gatto Oscar vede la gente morta? Nemmeno a farlo apposta, l’opposizione attacca. Si ma, attacca come e dove? Per sempre come la colla del bisonte, senza grinze come il Pritt o con i grumi e la consistenza dello sputo della cara e vecchia coccoina?

A proposito di felini. La notizia del gatto menagramo è un paradigma dell’ignoranza scientifica o scientifica ignoranza e del sensazionalismo spacciati come giornalismo in questi ultimi tempi. Questo Oscar supertelepaticogattone non è altro che probabilmente sensibile alle alterazioni dell’odore corporeo che certi malati hanno in fase preagonica. Lo sanno anche i sanpietrini per strada che gli animali hanno percezioni sensoriali più accentuate delle nostre, ma tant’è, bisogna dire per forza che non c’è alcuna spiegazione per un fenomeno che è probabilmente spiegabilissimo.

Altra notizia appiccicaticcia: è stato bacio o qualcos’altro al Colosseo? Detto che i carabinieri dovrebbero avere altro da fare che portare in questura i cittadini gay, spero che sappiano comunque distinguere tra bacio e sesso orale, che a me paiono, così ad occhio, cose ben diverse. In uno il bersaglio è a ore dodici, nell'altro a ore sei, una bella differenza di puntamento.
Mi sono distratta oggi ma penso che anche sulla questione bacio o chissà che cosa, l'opposizione abbia attaccato. Chissà se per bocca di Bonaiuti o di Schifani?

venerdì 27 luglio 2007

Il barbecue non è roba per signorine

Oh, oggi ho voglia di un bell’articolo serio, da vera giornalista. Basta parlare di cose impegnate, di storia, nostalgie del passato, controinformazione e inchieste scottanti.

Di scottante in questo articolo ci sono solo le Griglie… Roventi del 2° campionato di barbecue che si è svolto ieri a Caorle e che ha visto la partecipazione di 130 team da tutto il mondo e la messa a disposizione di ben 600 chili di carne per i maestri della grigliata. Dando un’occhiata all’immancabile servizio che oggi il TG2 ha dedicato alla gustosa manifestazione, ho notato, ovviamente, che la stragrande maggioranza degli sfidanti erano maschi.

Diciamo la verità. Noi donne potremo anche andare in guerra, giocare a calcio e dirigere un’azienda, ma quando si tratta di cuocere salsicce, fiorentine, castrato in cosciotto e bacchetta, spiedini e arrosticini, bisogna lasciar fare agli uomini.
Nella mia regione non si sgarra e vedere una donna che governi la graticola è un evento quasi impossibile e al limite, oserei dire, del sacrilegio. Quando si parla di cucina tradizionale, da noi esiste una rigida divisione del lavoro.
Noi donne stiamo in cucina a tirare la sfoglia con e' s-ciadùr (leggere la s-c separata, con la c dolce) ovvero il “cristiano duro” (e te pareva che non c'era la metafora...), a cuocere le “minestre” e magari deliziare la compagnia con qualche dolce rigorosamente preparato con le nostre mani, ma la cottura delle carni è roba da maschi.

Pare che la discriminante sia l’accensione del fuoco. Ci vogliono virile destrezza per appicciare la carbonella e maschio vigore per alimentare le prime deboli fiammelle. Assolutamente vietato fare gli sboroni e dare fuoco al carbone con l’alcool, anche per evitare di trascorrere le successive ore invece che a tavola, al pronto soccorso grandi ustionati. E' consentita però la diavolina in modica quantità.

Una volta creata la brace, la successiva fase vede la sapiente messa sulla graticola delle varie qualità di carne a seconda dei rispettivi tempi di cottura, la loro rigiratura, l’eventuale spennellatura con olio ed erbe profumate e soprattutto una serie di robuste sventolate con l’apposito ventaglio (da noi rigorosamente in piume di gallina o altro volatile da cortile, un oggetto bellissimo ed ormai raro da trovare).
Siccome non c'è barbecue romagnolo senza i pomodori, sono indicatissimi quelli rossi e maturi, schiacciati e bitorzoluti che io riesco a trovare a volte al mercato da qualche anziano ortolano. Una volta arrostiti vengono conditi con sale, pepe e olio e gustati assieme alle carni.

Il barbecue è un lavoro da uomini anche perché governare le fiamme e le carni ad un calore prossimo a quello infernale richiede grande forza d’animo e attitudine da altoforno. Togliersi la maglietta e restare in virile torso nudo è a quel punto necessario. Cosa impossibile, ve ne renderete conto, per una gentile signora.

Aggiungo infine che, una volta cotte le carni e lasciata la brace a consumarsi lentamente, è consentito al cuoco ormai madido di sudore e stremato dalla fatica, di sedersi democraticamente assieme ai commensali per godere anche lui del lauto pasto. Sempre che gli altri gli abbiano lasciato un arrosticino bruciacchiato e per colmo di generosità un pezzo di salsiccia e un pomodorino, ormai freddi.

Siccome non esiste regola senza eccezione, ora che mi viene in mente vi dirò che la bisteccona da 500 grammi di chianina che mangiai tempo fa e che avrebbe fatto diventare carnivoro anche un indiano adoratore della vacca sacra, mi fu cotta in maniera assolutamente paradisiaca da una gentilissima signora, che gestisce la celeberrima trattoria “Da Marianaza” a Faenza assieme alle sue due figlie. Non ditelo però ai romagnoli maschi, ci rimarrebbero troppo male.

mercoledì 25 luglio 2007

Piloti sull'orlo di una crisi di nervi

Delizioso il siparietto di domenica scorsa tra Filippetto Massa e Alonso, Alonso quanto sei str…ano nel backstage del gran premio di Germania. Grazie a BlogTicino ho scoperto questo video che dimostra come l’italiano sia sempre la lingua ideale per insultarsi, un po’ come lo era una volta per l’opera lirica. Pensate, potevano insultarsi reciprocamente nelle rispettive lingue iberiche, con i vari “cabron”, “puta che te pariu” o “chingado” o usare un imperiale “facchiù”. Invece il buon Felipe ha scelto il molto modenese “ma va a caghér!” che lui ha italianizzato apposta per Fernando.
Lode a questi ragazzuoli per avere almeno dimostrato che l’italiano si può imparare alla perfezione, vero Michael?

Certo che è cambiata la F1 da quando cominciai a seguirla nei lontani anni ’70 e il mio eroe a quattroruote era Emerson Fittipaldi. C’erano la mitica Tyrrell a sei ruote, le gomme slick e le monoposto avevano ancora un volante normale, non quella specie di computer portatile con navigatore "tornate-indietro-appena-potete" che hanno ora.
C’erano piloti come Jackie Stewart, Nicky Lauda, Clay Regazzoni, e i mai abbastanza rimpianti Gilles Villeneuve e Ayrton Senna. Fu proprio dopo la morte di Ayrton che divenne difficile guardare un gran premio con gli occhi di prima. Qualcosa era volato via con lui, un po’ come nel ciclismo dopo la morte del Pirata.

La formula 1 del passato prossimo, quella del regno di Schumi non mi ha mai troppo appassionato. Schumacher è stato un grande, lo ammetto, ma assieme al fatto che non sono mai stata una tifosa vera della Ferrari, posso dire che c’è stato un periodo nel quale il gran premio era per me solo un ottimo rimedio contro l’insonnia. Semaforo rosso, giallo, verde, via! e contemporaneamente 5,4,3,2,1, faceva effetto il Pentotal. Che dormite!

Oggi il panorama sta diventando decisamente più interessante. C’è la grande spy story di Pistonopoli sul fedifrago Nigel Stepney con la polverina e la McLaren che rischia di diventare la Juventus della F1.
Bella la storia. Secondo le accuse, il tecnico che sperava di prendere il posto di Ross Brawn lo prende nel posto e pensa di ricattare la Ferrari. La Ferrari, per risparmiare su un dipendente, altrimenti non sarebbero imprenditori italiani, probabilmente nega l’aumento al tecnico e la biscia si rivolta al ciarlatano. In combutta con un altro insoddisfatto della McLaren, Mike Coughlan, fotocopiano anche il porco a Maranello e offrono il malloppo alla Honda. Nel frattempo Stepney sarebbe stato visto tentare di “avvelenare” la rossa con una misteriosa polverina versata nel serbatoio. Non il volgare zucchero dei teppisti di una volta, ma una misteriosa pozione in grado di rallentare la potenza del motore.

Oggi si riunisce la FIA per decidere delle eventuali sanzioni contro la McLaren, se sarà dimostrato il reato di spionaggio industriale e illecito sportivo, mentre sembrano emergere nuove prove del complotto contro la Ferrari e si attende si conoscere la sorte della Lucrezia Borgia del paddock e del suo compare.

Nel frattempo, come abbiamo visto, i piloti sono nervosi e litigano. Si litiga anche tra piloti e patron, ed emergono le gelosie tra cocchi di patron e figli della serva, piloti e sottopiloti, perle nere e barrichelli. Non è un reality ma poco ci manca. Vogliatevi bene, ragazzi, non mandatevi più a cagare. Forse non vedremo mai una scena come questa  tra Fernando e Felipe, ma se la telenovela continua, chissà?

martedì 24 luglio 2007

Claus Von Stauffenberg e il tirannicidio mancato

La storia degli attentati alla vita di Hitler è costellata di incertezze, titubanze e sorprendenti atti mancati che contribuirono al loro regolare fallimento.
Hitler ringraziava istericamente ogni volta la Provvidenza per avergli salvato la vita e faceva notare come fosse un segno del destino che lui fosse ancora lì, ma avrebbe dovuto piuttosto ringraziare quel sorprendente impedimento al tirannicidio creato nel suo popolo dalla suggestione del suo personaggio.

I primi attentati furono opera di persone appartenenti alle categorie perseguitate dal regime: comunisti, ebrei e cattolici. I loro gesti disperati non fecero che causare di conseguenza altro dolore. Astutamente il dottor Goebbels prese a pretesto l'attentato di un giovane ebreo per avviare l'orgia distruttiva della Kristallnacht nel novembre 1938; come nel 1933, quando dopo l'incendio "false flag" al Reichstag si era appellato alla necessità di difendere lo Stato, stringendo ancor di più la morsa persecutoria contro gli oppositori politici, soprattutto comunisti.

L'unica occasione nella quale Hitler rischiò veramente la vita fu il 20 luglio 1944, quando una bomba squarciò la baracca nella quale si teneva una riunione militare ed egli si ritrovò ancora una volta salvo ma con i timpani lesionati e la divisa bruciacchiata, tra i cadaveri e i feriti non risparmiati dall'esplosione.
Quello che avrebbe dovuto rimanere l'unico tentativo concreto della Resistenza tedesca di eliminare il Führer e rovesciare la dittatura nazista era fallito in parte per fatalità e in parte per una disorganizzazione creata dalla dissonanza cognitiva tra la necessità di agire e le forti ed inspiegabili remore sull'uccisione di Hitler. Chi apparentemente riuscì a superare questo conflitto fu l'autore materiale dell'attentato, il conte Claus Schenk von Stauffenberg.

Fin dai primi anni di guerra, come ufficiale di stato maggiore, Stauffenberg aveva assistito ai continui errori militari di Hitler. Si era indignato nell'apprendere degli eccidi commessi dietro il fronte e nei campi di sterminio e giunse alla conclusione che era stato lo stesso Hitler a ordinarli.
"Stauffenberg e altri membri dello stato maggiore cercarono di sabotare gli ordini criminali e di neutralizzare gli errori tattici, ma con scarso successo. Egli però non si accontentava "di aver tentato". Si convinse che Hitler doveva essere eliminato. Nel settembre del 1942 si dichiarò pronto a uccidere Hitler. In una riunione tenuta presso l'alto comando militare, uno degli ufficiali di stato maggiore disse la frase ormai trita che qualcuno avrebbe dovuto andare dal Führer e dirgli la verità sulla situazione militare. Stauffenberg replicò: "Il punto non è dirgli la verità ma ucciderlo, e io sono pronto a farlo". Non aveva però accesso al dittatore e non trovò appoggi. Non era neppure in contatto con i cospiratori già attivi contro Hitler, guidati da Beck e Goerdeler".
Questo episodio riportato dallo storico Hoffmann contiene una delle costanti dell'atteggiamento di coloro che venivano a conoscenza dei crimini nazisti. La reazione era quasi sempre quella di pensare: "Tutto ciò è impossibile, il Führer non può permetterlo, certamente non ne sa nulla, stanno tramando alle sue spalle, bisogna avvertirlo". Frasi che molti tedeschi si saranno ripetuti mille volte.
Quanto doveva essere forte la fiducia in quell'uomo che si era presentato come un Messia e del Messia rivendicava l'assoluta incorruttibilità e purezza. Quali meccanismi di difesa, fino alla negazione scattavano contro la minaccia di una disillusione e la vergogna di scoprire di essere stati ingannati da altri che un criminale.
La suggestione del ciarlatano Hitler sul popolo si configura come una seduzione a tutti gli effetti, alla quale segue, nelle menti più sensibili, la vergogna per essere stati sedotti.
Mentre in alcuni questa esperienza di disinganno provocava depressione e paralisi della volontà, in altri come Stauffenberg questi sentimenti erano sopravanzati dalla spinta all'agire. Fu in Stauffenberg che venne superato il tabù dell'uccisione di Hitler.

Il percorso che l'aveva portato a piazzare una bomba sotto il tavolo al quale sedeva Hitler, era iniziato nello stesso clima culturale e ideale che è considerato dagli studiosi tra i presupposti del delirio nazionalsocialista; in quello stesso movimento di risveglio nazionale tedesco che raccoglieva i giovani aristocratici come Stauffenberg attorno al poeta Stefan George ed ai suoi languori estetizzanti ed improvvisamente era poi virato nella neoplasia razzista dei pangermanisti come Alfred Schuler e Ludwig Klages.
Stauffenberg aveva applaudito gli esordi di Hitler e ne aveva servito con senso dell'onore prussiano l'esercito. Questo non gli aveva impedito però in seguito di aderire al progetto di colpo di stato della insicura Resistenza tedesca.
Dopo il fallimento dell'attentato fu condannato a morte assieme agli altri congiurati e si dice che Hitler si facesse proiettare privatamente il filmato della loro esecuzione. Himmler organizzò una vendetta barbarica contro migliaia di persone coinvolte nel complotto e contro la famiglia Stauffenberg che fu sterminata, compresi un bambino di tre anni e l'ottantacinquenne padre di un loro cugino.

Che fossero stati lo sdegno per le atrocità commesse dal suo stesso esercito o la percezione della prossima disfatta ad armargli la mano contro Hitler, il colonnello Stauffenberg fu comunque tra i pochi a comprendere chi fosse veramente il responsabile della tragedia in atto e a trarne le conseguenze.
Pochi giorni prima del colpo di stato aveva detto alla moglie:
"E' ora di fare qualcosa. Ma chi ha il coraggio di fare qualcosa deve farlo sapendo che nella storia tedesca sarà ricordato come un traditore. Se non fa nulla, però, sarà un traditore per la propria coscienza".

Non riuscì ad uccidere Hitler e a fermare la guerra anzitempo ma riuscì concretamente a fare paura al semidio schiumante di rabbia, che da quel momento si rinchiuse nel bunker, insonne ed imbottito di farmaci e droghe, tra seguaci ormai disillusi che, quando alla fine lui si suicidò, riscoprirono per prima cosa il gusto di poter fumare di nuovo liberamente.

domenica 22 luglio 2007

Candidati coraggiosi

Attenzione, si avvertono i signori lettori che per le situazioni descritte e l’alto tasso di satira, questo post è sconsigliato alle persone particolarmente sensibili ed è destinato ad un pubblico adulto.

Per far credere a Uolter che vi sia una vera competizione tra diversi candidati alla leadership del PD, si sono già sacrificate le seguenti illustri personalità del centrosinistra: l’ex direttore dell’Unità Furio Colombo, Marco Pannella, Enrico Letta e la nostra indomita Rosaria Bindi, in arte Mastro Bindi.
Spero di non aver dimenticato nessuno, visto che ogni minuto giungono nuove autocandidature alla trombata finale che sancirà l’incoronazione del mite ma risoluto, buono ma non troppo, un po' di qua e un po' di là, Re Uolter.

Vediamo da vicino questo bel parterre de roi.
Furio Colombo, l’intellettuale, il liberal con il D.O.P. e senza la e finale, l’americano senza il kappa. Su di lui ho un piccolo aneddoto personale.
Ero ad un convegno sulla Shoah e lui si accalorò molto negli ultimi minuti del suo intervento, auspicando che la memoria fosse tramandata tra i giovani e vi fossero molte tesi di laurea sull’argomento.
Quando si dice la realtà romanzesca: all’epoca stavo appunto scrivendo la mia tesi di laurea sulla dittatura nazista. Appena ci fu l'occasione di avvicinarsi al palco dei relatori, mi precipitai tutta orgogliosa da Furio per annunciargli che io stavo giusto scrivendo una tesi che parlava estesamente anche della Shoah. Deve aver pensato che la frase successiva doveva essere “se può trovarmi un posto all’Unità da non meno di 6 milioni di lire al mese e un 180 mq vista mare a Portofino, gliene sarò molto grata”, perché manco mi rispose e si girò platealmente dall’altra parte, lasciandomi con la sensazione di essermi trasformata in un mucchietto di cacca fumante.
Voi direte: una rondine non fa primavera, allora è un fatto personale, ti sei tolta questo sassolino dalla scarpa ma in realtà Furio è un grande personaggio.
Si certo, magari quel giorno aveva le sue cose, ma mi dimostrò con i fatti una coerenza prossima allo zero. Poco da intellettuale e molto da politico, per cui forse effettivamente come segretario di partito sarebbe perfetto.

Marco Pannolone, il liberale con la e finale. E’ il testimonial perfetto della raccolta differenziata, perché riesce sempre a riciclare se stesso e il Partito Radicale (ovvero il suo gemello parassita) all’infinito. Se producesse energia dalle sue minchiate sarebbe una fonte rinnovabile illimitata e avremmo risolto i nostri problemi energetici per sempre.

Enrico Letta. Non so dirne molto. Non riesco a non confonderlo con Gianni Letta. Forse la candidatura è una tattica per far confondere anche Berlusconi.

Rosy Bindi, la guerriera. Lo confesso, mi è simpatica. Da sempre. La sua forza travolgente e il profumo di limon potrebbe dare una bella ripulita al centrosinistra, ed è una bella tosta.
Mi dicono in questo momento che anche la blogstar Adinolfi si è candidata(o) alla guida del PD. 

sabato 21 luglio 2007

Il mantra dell'estintore

Facciamo un esperimento. Nominiamo Carlo Giuliani e partirà questo mantra in automatico:

"se cerco di ammazzare qualcuno con un estintore e' logico che mi posso aspettare di tutto... ohm...
...Ormai il ragazzo non c'è più, lasciamolo riposare, ma non facciamone un eroe, solo perchè ha lanciato un estintore contro un carabiniere!... ohm...
…andava di tanto qua e là saltellando con un estintore in mano cercando di uccidere chi non la pensava come lui... ohm...
So solo che minacciava un poliziotto con un estintore in mano, il quale si e' difeso con l'unica cosa che si e' trovato in mano…ohm...
...magari se non tirava un estintore contro una jeep dei carabinieri sarebbe stato ancora vivo…ohm...
...Questo ragazzo voleva tirare un estintore sulla testa di un carabiniere…ohm...
...io non sono mai stato ad una manifestazione con cappello, sciarpa in viso ed estintore puntato contro i caramba o chiunque non la pensi come me…ohm...
...Di sicuro se guardate bene la foto noterete l'estintore per terra. Se non sbaglio voleva darlo in testa ad un poliziotto…ohm...
...i bravi ragazzi non vanno con un estintore in mano con l'intenzione di buttarlo addosso a un carabiniere…ohm...

Non importa che la verità su Piazza Alimonda non l’abbia scritta finora alcun tribunale, che non si sappia chi ha materialmente sparato i due colpi di pistola calibro 9 parabellum che hanno cagionato la morte di Carlo Giuliani e che quindi non vi sia certezza al di là di ogni ragionevole dubbio che proprio Mario Placanica sia l’uomo che sparò.
Non è nemmeno dimostrato che Giuliani volesse veramente usare l’estintore come arma e vi fosse intenzione da parte sua di uccidere.
L’inchiesta è stata archiviata. I brandelli che solo un processo avrebbe potuto mettere assieme per dar forma e senso compiuto alla verità li hanno forniti finora solo i testimoni e le foto.

Senza la verità stabilita da un processo può esserci solo interpretazione dei fatti e quella di Piazza Alimonda l’hanno scritta i telegiornali e i giornali sulla base di una tesi difensiva, quella di chi ha sparato, chiunque esso sia. Se non ricordo male fu l’on. Fini, la sera stessa, a parlare per primo dell’estintore.
E’ una “verità soggettiva” che comunque, come dimostra il luogo comune mantrico che ho condensato in alcuni esempi, gentilmente offerti da LiberoBlog, è ben radicato nell’opinione pubblica. Anche magari in chi meno te lo aspetti.

Ieri, rispondendo ad alcuni commenti al post su Genova ho detto che Carlo Giuliani è un nervo scoperto. Voglio solo qui ribadire che mi dispiace che solo pochi riescano ad andare oltre al luogo comune e al mantra dell’estintore instillatoci goccia a goccia da sei anni direttamente nel cervello.
“Carlo non era un eroe” è una variante del mantra. Io credo sia inevitabile che per qualcuno Carlo sia un eroe. Siamo culturalmente figli di coloro che dicevano: "chi muore giovane è caro agli dei".
Mi rendo conto che un film come “Carlo Giuliani, ragazzo” possa risultare indisponente nella sua spudorata idealizzazione della vittima ma in realtà è solo difficilmente comprensibile per chi non abbia la più pallida idea di cosa voglia dire perdere un figlio.

Io vedo gente oppressa dal lutto ogni giorno. Posso dire che si può superare il dolore per la morte di chiunque: del marito, della moglie, dell'amante, della madre e del padre. Dei fratelli e delle sorelle. Dei figli no.
Sono passati diciassette anni e questo padre è lì davanti a me con lo stesso dolore fresco di allora. Per lui il tempo si è fermato nel momento che la vita ha abbandonato suo figlio.
C’è una sola cosa che risulta quasi impossibile da sopportare per chi ha il dono dell’empatia per l’umana sofferenza. Vedere una madre che ricorda e piange il figlio morto. E’ un dolore che ti si scaglia addosso, che ti acchiappa il cuore e te lo morde e non c’è alcuna professionalità da psicologa che può venirti in aiuto.
E’ per questo che trovo osceno che si dica che Heidi Giuliani ha speculato sulla morte del figlio. E’ esagerata quando idealizza suo figlio? Certo, non vedo come potrebbe essere altrimenti.

Sarà che per età potrei aver avuto un figlio dell’età di Carlo ma, ricordandone la morte, mi sento solo di raccogliermi in un piccolo e silenzioso momento di Pietas.

giovedì 19 luglio 2007

Alla testa Ramon, alla testa!

A Genova spaccarono braccia, gambe, mani che si erano alzate per difendere il volto e teste, tante teste. Troppe per qualsiasi paese civile che pure stava affrontando una guerriglia urbana come quella dei giorni del G8 del 2001. E’ una cosa che, a sei anni di distanza, ancora mi fa riflettere.

Quando si picchia sulla testa si vuole fare male. La testa è delicata, un trauma cranico può provocare gravi lesioni permanenti e perfino la morte. Basti pensare a quando un calciatore riceve un calcio o una pallonata in testa. Immediatamente viene tolto dal campo e lo si manda al più presto a fare la TAC.
Immaginate quindi una testa che riceve una serie di manganellate, per giunta con il tonfa, un manganello particolarmente micidiale, che allora, nelle tre giornate di Genova, secondo i referti medici, fu perfino utilizzato dalla parte del manico. Per fare ancora più male?

L’uomo insanguinato nella prima immagine porta una mascherina e dei guanti di lattice, deve essere un medico o un infermiere. La furia dei manganelli, lo sappiamo, si scatenò non solo contro i manifestanti ma contro i sanitari e i giornalisti al seguito delle manifestazioni, che avrebbero dovuto essere, in un paese civile, intoccabili.
Sappiamo invece che furono picchiati con maggiore lena i manifestanti più pacifici e non altrettanta cura fu impiegata nel sedare i bollenti spiriti dei famigerati Black Bloc che, se andate a riguardarvi le immagini di quei giorni, sbucano all’improvviso come gli scarafaggi, agiscono ovunque praticamente indisturbati, compiono saccheggi e devastazioni e poi spariscono di nuovo. Lo so, sono cose dette e ridette, ma vale sempre la pena ricordarle.

Parlare dei pestaggi come eccessi di singoli, in quei giorni del G8, mi pare assolutamente fuori luogo. Quando il pestaggio è sistematico c’è una regia e questa regia fa paura.

Qui non si parla più di una polizia imparziale che si schiera in una piazza per proteggere il diritto dei cittadini a manifestare democraticamente e, nel momento in cui sbucano dei provocatori, si preoccupa di ristabilire l’ordine e la sicurezza degli altri manifestanti, rendendo gli aggressori inoffensivi.
Qui si ha il sospetto che “quella” polizia che abbiamo visto a Genova fosse una polizia politica, scesa in campo a combattere contro tutti i manifestanti e coloro che in vari modi li accompagnavano e che stesse difendendo solo quel potere contro cui si stava manifestando. Si spiegano così i cori nostalgici e i festeggiamenti alla sera e gli inni a Pinochet di Bolzaneto?

Ricordate la frase che tante signore benpensanti sputano in automatico pensando alla morte di Carlo Giuliani? “Se fosse rimasto a casa non gli sarebbe successo”. E’ la frase che dovrebbe essere presa a simbolo della violenza di quei giorni.
Contro il potere non si scende in piazza, neppure con le mani dipinte di bianco e con i vestiti che sanno ancora dell’incenso della sacrestia. Si resta a casa a guardare la televisione e non si rompono i coglioni.
Quando fecero vedere le immagini dei pestaggi di Corso Italia al TG1 si trattava di un avvertimento. Vedi il babbo con il bimbo piccolo in braccio e la vecchia insanguinata? Vedi cosa ti potrebbe succedere se ti venisse in mente la prossima volta di scendere in piazza anche tu?

Se vogliamo attribuire una simbologia ai gesti, ecco quindi che picchiare sulla testa esprime forse la volontà di estirpare le idee malsane da quelle menti. Di combattere le idee più che le persone. Infatti si inseguono i portatori di idee fin dentro i cortili e li si massacra invece di fermare i delinquenti.

So che “quella” polizia non è “la” polizia. E’ gravissimo però che nel nostro paese nessuno abbia ancora pagato per quei pestaggi e che nessun governo, centrodestro o centrosinistro, si preoccupi di avere all’interno delle forze dell’ordine un nucleo troppo politicizzato, che al momento opportuno può esprimere “quella” polizia che abbiamo visto e assaggiato a Genova.
E che, infine, non trova per lo meno inopportuno che un sindacato di polizia, il COISP, indìca per il 20 luglio una manifestazione e dibattito in Piazza Alimonda a Genova, dal titolo “L’estintore come strumento di pace”.
Non sarà una vera provocazione, ma a me pare comunque una buona imitazione.

martedì 17 luglio 2007

Per qualche centesimo in più

Dopo questo colpo di fortuna penso proprio che potrò finalmente ritirarmi in qualche resort alle Bahamas, facendo vita di spiaggia e non avendo altro pensiero che farmi scorrazzare in giro per il mondo con il mio aereo privato per spendere ogni giorno più di Victoria Beckham e Paris Hilton messe assieme.
La fortuna ha baciato non direttamente me ma mio padre e in maniera totalmente inaspettata.
Inutile dire che la generosità del mio anziano genitore, che stravede per la sua bimba e desidera farmi dono di questo malloppo, mi permetterà di fare presto questo cambio di vita a 180°.

Cari amici bloggers e lettori, temo proprio che non potrò più tenere un blog come questo. Mica per cattiveria ma perchè quando si comincia a frequentare le alte sfere l'aria si rarefà, l'ossigeno scarseggia e 'o cervello nun vuo' penzieri. Mi ricorderò di voi, se passate dalle Bahamas.

Dunque, dicevo della fortuna capitata alla mia famiglia grazie a questo assegno che è giunto ieri con la posta mattutina (che è poi l'unica di tutta la giornata).
Devo solo ringraziare Hera, la nota società di servizi, che si è messa una mano sulla coscienza per le salate bollette del passato e ci ha inviato questo corposo rimborso di € 0,01. Grazie Hera, sei un mito. Magari ne hai mandato uno anche a me pirsonalmente di pirsona!

Prima che chiamiate il 118 e il sindaco di Faenza per farmi assegnare un bel T.S.O. vi rassicuro, è tutto vero, non sono i 37.4°C di oggi pomeriggio sul mio terrazzo. La lettera che ha ricevuto mio padre è autentica.

Peccato, avevo solo sognato, niente Bahamas e spese pazze. Però, la soddisfazione di andare con babbo a incassare l'assegno all'Unicredit dovendo mostrare le generalità non avendo un conto da loro me la voglio prendere. Se qualcuno vuole venire a riprendere la scena con la videocamera...

lunedì 16 luglio 2007

Alì Bin Laden e i 40 dottori?

Prendo spunto da un articolo di Pressante che racconta delle ultime rivelazioni sulle cellule di Al Qaeda in Gran Bretagna.
Pare che colà i terroristi si nascondano non nelle moschee ma tra cateteri e fleboclisi, a tramare contro la perfida Albione e l’intero Occidente. Non in cliniche private di lusso, per potersi togliere il gusto così di fare qualche clistere a tradimento a magnati e profittatori dei popoli del terzo mondo, ma nel servizio sanitario nazionale, o di quello che ne è rimasto dopo la cura della gran gnocca Margaret negli anni ‘80.

Gli ultimi arrestati, racconta il giornale impegnato “The Mirror”, erano medici pure bravi di origine palestinese o pakistana che però sotto sotto tramavano le più orrende azioni terroristiche. Per fortuna che l’MI5 vigila e sa sempre dove andare a pescare questi sospetti. Pare quasi che abbia un sesto senso. I media hanno il compito poi di raccontare ”umaronnamia” a cosa siamo scampati.
Forse volevano sciogliere del Guttalax nell’acquedotto di Londra e si erano messi d’accordo per ingessare a tutti l’arto sbagliato? No, preparavano attentati dinamitardi ma con risultati per fortuna scadenti, come dimostrano le ultime rudimentali bombe trovate a Londra.
Ofele' fa el to meste’
, dicono a Milano.
Certo che queste storie, tra gli shampoo esplosivi dell’anno scorso e i terroristi della mutua di quest’anno fanno pensare che gli 007 inglesi abbiano veramente troppa fantasia.

Non che non vi sia una certa tradizione medica in Al Qaeda. Il noto Ayman al-Zawahari, attualmente gran capo in sostituzione del probabilmente defunto Bin Laden, era al seguito appunto di Osama come medico personale quando questi si fece ricoverare per una decina di giorni a Dubai, lui si in un ospedale americano di lusso, per farsi curare i reni da un professorone “ammerecano” ed era tutto un via vai di visite, fiori e pastarelle da parte dell’FBI e della CIA. Era il luglio 2001, mentre a Genova stavano per roteare i manganelli e il principe del terrore stava già evidentemente pregustando il botto delle due torri. Questa notizia, davvero sorprendente alla luce degli avvenimenti successivi, fu pubblicata dopo l’11 settembre da “Le Figaro” e nessuno l’ha mai ufficialmente smentita.


mercoledì 11 luglio 2007

Più che allargarcelo, diciamo la verità, ce lo spappolano

Alzi la mano chi tra i maschietti non vede l’ora la mattina, per prima cosa, di aprire la posta per vedere se queste simpatiche donzelle vi hanno scritto ancora una volta promettendovi con poca spesa e molta resa di diventare Mr. Manganello.

Se è vero (lo dicono tutti e non lo metto in dubbio) che tra le preoccupazioni degli uomini c’è quella delle “dimensioni” allora immagino che vedersi ricordare ogni mattina, pomeriggio e sera le proprie (magari assolutamente normali ma percepite in maniera distorta e sempre per difetto) non sia decisamente gentile, anzi credo che la cosa possa configurarsi come molestia aggravata e continuata.
Visto che anch’io mi sento a disagio con queste pubblicità, e non dovrei, non essendo direttamente penemunita, mi viene da pensare: vuoi vedere che le dimensioni contano anche nell’Invidia del pene?
Poi, diciamocelo, ‘ste paracule cosa vogliono dimostrare, che ce lo abbiamo (ce lo avete, anzi) piccolo? Secondo me hanno visto troppi film di Kid Bengala e si sono montate la testa.

Sono solo gli americani che hanno la fissa della mazza da baseball e lo spappolano a tutto il mondo con lo spam o mi sbaglio?
Per molti mesi ricevetti una mail dal titolo sempre uguale: “Enlarge your Penis” che mi faceva ridere perché da noi c’è il detto “nun t’allargà”. Mi fu spiegato che si trattava non di una pomata o di pillole o chissà cosa ma di una serie di “istruzioni” per la manipolazione dell’attrezzo. Una ginnastica del cacchio, praticamente.
Non cercate di farvi rivelare dai malcapitati che hanno ceduto alle lusinghe della mazza nerboruta e le hanno ordinate, il contenuto delle istruzioni. In quei casi si erge il muro di gomma e si cambia argomento. Mistero esoterico o vergogna ad ammettere di essersi presi una sòla clamorosa? Sto ancora indagando ma, come direbbe Carlo Lucarelli, è una brutta storia.

Ora il comparto delle offerte per ingigantire, imbitorzolire, gonfiare, allungare il coso a mo’ di nodoso randello si è anch’esso allargato, fino a comprendere le maledette pillole di Viagra e Cialis, per le quali dalle mie parti esistono veri e propri pusher che riforniscono i maschi di tutta la vallata, e alcune misteriose pillole dal nome “Xtracum Cum”.
La loro pubblicità recita: “Orgasmi più lunghi, erezioni d’acciaio” (avranno visto Tetsuo?), “durerete tutta la notte” (e perché non un paio di settimane?), “orgasmi multipli” (credevate di esservene liberati negli anni 80, eh?!), e “potrete venire 5 volte di seguito” (mica pizza e fichi!). Senza contare che secondo queste pillole dovreste letteralmente essere in grado di “ricoprire la vostra partner” tipo torta glassata. Già, conosco molti che ambirebbero unire l’utile al dilettevole e in quel momento topico dare anche una mano di bianco alla camera da letto, magari a stucco veneziano.

Roba da matti. Ora da qualche giorno mi arriva “Orgasmotron” (e che è, uno strumento elettronico di Wendy Carlos?) e alcune email molto subdole che sostengono che “non è vero che le dimensioni per la vostra partner non contano, in realtà loro (le donne) vanno sempre in cerca di uno “huge” finché non lo trovano”.
Ebbene si, lo ammetto. Come ogni donna, il mio sogno è di trovare uno che di notte tromba come un dio e di giorno lavora come sbarra del Telepass sull’A14.

martedì 10 luglio 2007

Un pollo buono da svenire

Che succede da Amadori, il fiore all’occhiello dell’avicoltura italiana? Gola secca, stanchezza, mal di testa, vomito e svenimenti non colpiscono i polli (che pure avrebbero ogni ragione per sentirsi a disagio in un ambiente che li trasforma a tradimento in crocchette) ma le operaie che lavorano nei vari reparti. Soprattutto in quello del “taglio tacchini”, all’improvviso, paf! un’operaia cade a terra come una pera e non ci si riesce a spiegare il mistero.
L’Area 51 ha traslocato a San Vittore di Cesena? Pare addirittura che il problema, intensificatosi negli ultimi giorni, sia iniziato nel mese di marzo.
Anche dopo il lavoro, le lavoratrici riferiscono di soffrire di sonnolenza e altri disturbi.

L’unica spiegazione finora trovata, a parte la diagnosi di “psicosi collettiva” fatta da brillanti medici locali, per questo X-file tutto romagnolo, è la carenza di ossigeno all’interno dei reparti di lavorazione. L’ossigeno calerebbe per un complicato fenomeno che ha a che fare con le modalità di soppressione degli animali. Per macellare i tacchini maschi al ritmo di 1400 l’ora, questi bestioni anche di 30 chili vengono appesi e fatti passare in un tunnel nel quale viene immesso un gas contenente anidride carbonica. Una volta inscimunite, le povere bestie vengono terminate mediante una lama elettrica. Non succede solo da McDonald’s, a quanto pare.

Gli esperti che hanno elaborato “l’ipotesi del tacchino gasato” sostengono che l’anidride carbonica verrebbe assorbita dai tacchini e rilasciata nell’aria che respirano le operaie che in seguito li manipolano. Mah…
Per sicurezza, da qualche giorno i tacchini non vengono più gasati ma vanno direttamente alla sedia elettrica e si attendono i risultati delle analisi eseguite dagli scienziati della Clinica del Lavoro di Pavia. Una sorta di RIS della cotoletta.

Sembra comunque che, nonostante la discesa nei reparti in tuta da contaminazione da livello 4 stile “Virus letale” del gran patriarca Amadori e di tutta la famiglia, il problema persista. Sarà stata l’emozione, o il suo fascino da testimonial del piccolo schermo, ma due operaie sono proprio svenute ai suoi piedi.

domenica 8 luglio 2007

Un mondo alla canna del gas

Ormai anche le fonti meno sospettabili di cospirazionismo concordano che le guerre scoppiate dal 2001 in poi sono state fatte per il petrolio e in generale per il controllo delle risorse energetiche mondiali, sempre più contese tra i paesi industrializzati e quelli emergenti.

Anche sul gas naturale sono state combattute e si combattono guerre magari più nascoste e meno sanguinose, basti pensare al contenzioso tra la Gazprom russa e il governo Ucraino. Nel quadro generale delle lotte tra potentati per il predominio sulle risorse energetiche la concomitante lotta al terrorismo assume una valenza estremamente ambigua.

A volte l’attività terroristica di fantomatiche organizzazioni come la famigerata Al Qaeda sembra servire, più che gli ideali religiosi e di principio gettati in pasto al pubblico dei media, ben più banali interessi economici e di controllo strategico delle risorse disponibili. Pura coincidenza o no?
In sostanza, quali veri interessi servono i terroristi? E’ possibile che esista una strategia della tensione mondiale nella quale i vari gruppi in gioco, tutti, nessuno escluso, agitano lo spettro del terrorismo e magari se ne servono, per difendere le proprie fette di mercato e danneggiare la concorrenza? E i terroristi cosa ci guadagnano, in quel caso? Solo pubblicità o qualcos'altro?

Per fare un esempio, non sono pochi in Russia e in Occidente a credere che dietro la tragedia di Beslan, attribuita ai terroristi ceceni di Basayev, vi fosse in realtà un regolamento di conti in puro stile mafioso tra Putin e alcuni oligarchi da lui messi sotto inchiesta ed estromessi dal potere.
La guerra mondiale energetica combattuta, tra l'altro, a colpi di terrorismo è un’ipotesi agghiacciante che difficilmente può trovare riscontri oggettivi e prove ma è giusto chiedersi se la concatenazione di certi avvenimenti sia da considerarsi sempre casuale o no.

Il mese di luglio del 2005 fu estremamente movimentato sul piano del terrorismo internazionale, quasi come l’Italia degli anni ‘70.
Il 2 luglio fu rapito ed in seguito assassinato a Baghdad Ihab al-Sherif, primo ambasciatore egiziano nel nuovo Iraq ed ex incaricato di affari in Israele per il governo del Cairo.
Il 7, quattro esplosioni avvenute su mezzi pubblici sconvolsero Londra, nel turno di presidenza dell'Inghilterra all'Unione Europea e durante lo svolgimento della riunione dei G8 a Gleneagles, in Scozia. Il bilancio delle vittime fu di 55 morti e 700 feriti. L’attentato venne in seguito attribuito a terroristi di origine pakistana appartenenti alla solita Al Qaeda. Si disse che l’ex primo ministro israeliano Nethanyau, presente a Londra, fosse sfuggito per miracolo all’attentato grazie ad una provvidenziale soffiata dei servizi segreti.
Il 12 a Netanya in Israele un kamikaze palestinese si fece saltare in un centro commerciale provocando 4 morti e un’autobomba a Beirut ferì il ministro della Difesa, il filo-siriano Elias Murr. Tra il 21 e il 22 luglio sempre a Londra avvennero altri attentati ma per fortuna senza vittime, tranne un cittadino brasiliano risultato completamente estraneo ai fatti che venne ucciso durante una perquisizione, in circostanze mai del tutto chiarite.
Infine il 23 luglio anche l’Egitto venne colpito da Al Qaeda. Cinque esplosioni a Sharm el-Sheikh negli hotel e al mercato; si contarono 90 morti (fra questi 6 italiani) e 200 feriti. Alcuni sospetti furono arrestati nella penisola del Sinai. Israele offrì il suo aiuto all’Egitto. Il giorno dopo al Cairo un uomo rimase ferito per una bomba artigianale che stava trasportando.

In questo articolo pubblicato il 5 luglio di quell’anno, il sito vicino agli ambienti militari e di intelligence israeliani DEBKAfile raccontava questa storia di trattati e contro-trattati, alleanze e tradimenti, una vera e propria spy-story che, alla luce degli avvenimenti successivi di quel mese, getta una luce inquietante sul mondo nel quale viviamo e che ci fa tornare alla domanda che ho formulato all’inizio di questo articolo.
L’articolo, vista la sua origine “schierata” è da prendersi ovviamente con le molle e tanto meno vanno tratte conclusioni affrettate ma, come tutte le storie che pretendono di raccontare i retroscena di “intelligence” della geopolitica, contiene sicuramente dei messaggi tutti da interpretare. Con beneficio d’inventario. (La traduzione dell'articolo dall’inglese è mia).

L’articolo inizia parlando di trattative per la stipula di un controverso accordo militare svoltesi alla fine di giugno 2005 tra il governo Sharon e l’Egitto, accordo osteggiato sia da ambienti militari che politici israeliani perché in contrasto con le clausole militari del trattato Israelo-Egiziano che raccomanda la demilitarizzazione totale del Sinai, incluse le aree frontaliere.

“Questo protocollo prevedeva lo schieramento di 750 agenti di polizia egiziani lungo la strada di frontiera sud Gaza Philadelphi per facilitare il ritiro delle truppe e dei civili israeliani dalla striscia di Gaza.
Tuttavia, secondo le fonti militari di DEBKAfile, la parte tacita dell’accordo offrirebbe al Cairo molto più di un avamposto militare lungo questa striscia di frontiera di 14 chilometri. Contro le raccomandazioni dell’Alto Comando israeliano e del servizio segreto AMAN, il governo Sharon infatti ha acconsentito allo schieramento da parte dell'Egitto di truppe di commando APCS fornite di apparecchiature per la visione notturna ed elicotteri lungo l’intera frontiera. Inoltre, alla Marina egiziana sarà permesso di usare il porto mediterraneo a nord del Sinai di EL Arish come base navale per le sue navi da guerra.”

“Il 30 giugno [prosegue DEBKAfile], il giorno dopo l’accordo sul protocollo militare, il ministro israeliano delle infrastrutture Binyamin Ben Eliezer ed il ministro egiziano del petrolio Sameh Fahmi firmarono al Cairo l’accordo per la vendita annuale di 1.7 miliardi di metri cubi di gas naturale egiziano ad Israele, per un valore di $ 2.5 miliardi, per i prossimi 15 anni.

Il gas sarà pompato attraverso una conduttura marittima fino al porto israeliano di Ashkelon. L'affare è stato concluso tra l'israeliana Electric Corp. ed il consorzio israelo-egiziano East Mediterranean Gas (“Egyptian General Petrol Corporation” e la “Merhav” di Yossi Meiman). Sharon ha preferito l'offerta egiziana a quella fatta dall’autorità palestinese in accordo con British Gas, considerando che ogni movimento di cassa verso i palestinesi potrebbe concludersi con il finanziamento di operazioni terroristiche ai danni di Israele”.

Tutto bene, quindi. Israele e l’Egitto siglano un accordo di collaborazione sia militare che economica. In realtà, come rivela DEBKAfile, quello non fu l’unico accordo firmato quel giorno.

“Quando Ben Eliezer ha stretto la mano di Fahmi al Cairo, non sapeva che l'Egitto e la Gran-Bretagna avevano segretamente stipulato un accordo separato alle spalle di Israele. L’accordo prevedeva per la British Gas e i suoi partner palestinesi (la CCC, Consolidated Contractors Company, con sede ad Atene) la ripresa delle trivellazioni al largo di Gaza e la vendita del gas all’Egitto durante gli stessi 15 anni previsti nel contratto separato con Israele. Il contratto dovrebbe portare dai 150 ai 200 milioni di dollari all’anno nelle tasche palestinesi.

La Gran Bretagna e l'Egitto realizzeranno un gasdotto che andrà dai giacimenti fino ad EL Arish nei cui pressi, a Sheik Al Zwayed, gli inglesi hanno già cominciato a costruire una raffineria. Una piccola parte di gas sarà convogliata alla centrale elettrica di Gaza per sostituire l'energia provvista dalla Società Elettrica israeliana”.
L’Egitto sembra fare il doppio gioco: vendere gas ad Israele mentre lo acquista dai palestinesi con l’aiuto di Sua Maestà britannica. Fonti egiziane giustificano la scelta con la volontà del Cairo di aiutare lo sviluppo economico palestinese. Ma i malumori israeliani non tardano a farsi sentire.

“Se il protocollo militare Israelo-Egiziano sarà firmato, EL Arish diventerà il principale porto per la flotta egiziana ed il sito di un terminale di gas per le autocisterne europee che trasferiscono il gas liquido fuori dal Medio Oriente. La Gran Bretagna ha investito $150 milioni nella sua costruzione. Il gas palestinese raffinato in eccesso rispetto al consumo interno, circa il 60%, sarà riversato nel sistema egiziano di gasdotti che è collegato con la Giordania e per la fine dell'estate 2005 raggiungerà la Siria".

Giordania e Siria non sono proprio paesi amici di Israele, che è preoccupata anche per i personaggi palestinesi che gestiscono questi accordi.
“Secondo le nostre fonti palestinesi è il direttore della Palestinian Electricity Company, Walid Sayel (figlio del comandante militare dell’OLP in Libano, generale Saad Sayel, assassinato dai siriani nel 1993) a condurre le trattative per conto dei Palestinesi. Sayel è inoltre il tramite con la CCC, che gestisce il fondo monetario di investimento palestinese. Questi eventi sono completamente contrari alle strategie energetiche del governo Sharon”.

DEBKAfile descrive le ragioni per le quali Israele aveva scelto di acquistare gas dall’Egitto piuttosto che dall’autorità palestinese, e sono ragioni ovvie dal punto di vista di Tel Aviv: privare i palestinesi di una importante fonte di reddito che verrebbe impiegata, secondo gli israeliani, per foraggiare la lotta armata contro Israele ed inoltre impedire che il Cairo aiuti i Palestinesi a sviluppare i loro giacimenti.
Solo cinque mesi prima, alla conferenza di Londra sulle riforme palestinesi, organizzata da Tony Blair, Abbas aveva promesso al segretario di stato Condoleezza Rice di impiegare circa $4 miliardi recuperati dai fondi segreti di Arafat per attuare riforme vitali per la gestione dell’Autorità palestinese. La promessa non solo non è stata mantenuta ma stessi individui invischiati negli scandali finanziari della gestione Arafat ora stanno stipulando accordi commerciali con l’Egitto e la Gran Bretagna alle spalle di Israele.

La conclusione alla quale giunge DEBKAfile è semplice:
“Israele si ritiene tradita sia dalla Gran Bretagna che dall'Egitto. Entrambi avevano promesso di svolgere un ruolo attivo a sostegno dell'evacuazione di Israele dalla striscia di Gaza creando una nuova ed efficace forza palestinese di sicurezza per contrastare l'attività terroristica. (Allo scopo era stato aperto un ufficio dell’MI6 a Gaza.) Ora entrambi i paesi stanno agendo contro gli interessi di sicurezza di Israele".

Ripeto, non si possono trarre conclusioni o fabbricare chissà quali teorie cospirazionistiche sulla base di una sola fonte e per giunta non obiettiva. Una cosa è certa però. In un mondo come questo, dove per una bombola di gas si è disposti a scatenare delle guerre da migliaia di morti, è lecito chiedersi se non debba esistere un limite per la difesa degli interessi di qualunque nazione. O se invece siamo nel mezzo di una partita da combattere senza esclusione di colpi.

martedì 3 luglio 2007

UFO, chi era costui?

In questo post farò straordinarie affermazioni, rivelando quale, secondo me, è la verità ultima sugli UFO. Fico no? Lo spunto me lo danno due anniversari che ricorrono in questi giorni: il primo avvistamento ufficiale di dischi volanti, avvenuto il 24 giugno del 1947 da parte dell’uomo d’affari Kenneth Arnold e soprattutto quello che è passato alla mitologia come l’incidente di Roswell, il supposto schianto di un velivolo alieno sulla cittadina del Nuovo Mexico, avvenuto all’inizio di luglio di quello stesso anno.
Sessant’anni di storie appassionanti su alieni (buoni o cattivi a seconda del clima politico concomitante), dischi volanti, rapimenti, minacce spaziali, che però ultimamente, con l’inizio del nuovo millennio, sembrano essere passate di moda tutte in un botto. C’è un motivo? Secondo me si.

Come tutti i quarantenni e oltre, sono cresciuta con il mito di questa simpatica oggettistica volante non identificata; uno dei film che mi faceva più impressione da piccola era “Ultimatum alla terra” (ancora oggi guardando l’aletta del condizionatore che si apre penso a "Klatuu Barada Nikto"). Ero appassionata dei libri di Peter Kolosimo, dell’archeologia spaziale, insomma agli alieni ci credevo, pensavo che potessero benissimo farsi un giretto ogni tanto per guardare ‘sti fetenti di terrestri cosa stessero combinando. Avevo una visione decisamente junghiana del fenomeno, rassicurante, immaginifica e quasi sostitutiva della religione.

Mi sono un po’ insospettita quando, caduto il Muro di Berlino, è caduto all’unisono anche l’interesse per gli UFO, almeno a livello mediatico di massa.
E’ vero che gli anni 90 poi sono stati il decennio di Mulder, Scully e dello straordinario successo degli X-Files, ma è come se, finita la Guerra Fredda, fosse venuto meno il motivo principale di esistenza del fenomeno UFO. Gli UFO come fenomeno politico e strumento di propaganda? Uhm, può darsi.Ormai è assodato che tutta la fantascienza cinematografica d’invasione degli anni 50 nascondeva un significato propagandistico preciso, segnatamente anticomunista. Famoso il caso de “L’invasione degli ultracorpi”.

Gli UFO come prodotto di una gigantesca PSYOP, guerra psicologica? Le operazioni psicologiche militari (PSYOP), secondo gli americani, sono “l’insieme di prodotti e/o azioni che condizionano o rafforzano attitudini, opinioni ed emozioni di specifici target quali governi di Paesi stranieri, organizzazioni, gruppi o singoli individui al fine di indurli a comportarsi in modo tale da supportare gli obiettivi di politica nazionale statunitense”.

Per far capire a chi non c’era qual era la potenza di suggestione mediatica degli UFO ai nostri tempi, ricordo che negli anni tra il 1950 e il 1990, tipicamente d’estate, avvenivano periodicamente le cosiddette “ondate di avvistamenti”. Per l’Italia gli anni di boom furono: 1950, 1954, 1962, 1973 e 1978. Proprio nel 1978, anno di uscita del film di Spielberg “Incontri ravvicinati del terzo tipo” furono registrati alle cronache quasi 2000 avvistamenti. Psicosi collettiva? Suggestionabilità?
Quegli anni non furono per nulla tranquilli, politicamente. Tanto per fare un esempio, nel 1950 il presidente Truman annunciò il programma per lo sviluppo della bomba all’idrogeno, iniziò il maccartismo e dulcis in fundo scoppiò la guerra di Corea. Ogniqualvolta il clima si faceva pesante, gli UFO sembravano giungere a dar manforte, a distrarre e creare angoscia e stato d’allerta. Alla faccia di Jung e dei suoi rassicuranti archetipi.

Il fenomeno UFO quindi inizia e termina in parallelo con la Guerra Fredda. E’ possibile che sia stato creato a tavolino, come mito da dare in pasto ad un pubblico che non doveva poi chiedere conto dell’aumento esponenziale delle spese militari, ingiustificate anche a fronte della minaccia sovietica? Se il rischio era un'invasione della Terra da parte di alieni ostili, al Pentagono sarebbe stata data altro che carta bianca, dai cittadini americani.

Pensiamo alla mitica Area 51, per la quale ufficialmente si è favoleggiato di rottami alieni, autopsie di marziani e cospirazioni governative atte a nascondere alla popolazione l’esistenza degli extraterrestri. Ciò che di sicuro si sa dell’Area 51 e delle basi militari ad essa similari è che lì sono stati testati tutti i più celebri aerei sperimentali, dall’U-2 Dragon Lady, agli SR-71, Blackbird, F-117 Nighthawk e Stealth. Milioni e milioni di dollari spesi per conquistare un’egemonia imperiale sul mondo mentre degli alieni, diciamo la verità, non si è mai vista traccia concreta da nessuna parte. Nemmeno una cacchina dietro un cespuglio.

Allora facciamola, questa ipotesi sconvolgente. L’avvistamento di Arnold e l’incidente di Roswell potrebbero essere stati i primi mattoni di una costruzione mitologica, di una gigantesca operazione di propaganda psicologica che è andata avanti per quarant’anni.
Per rendere la balla ancora più credibile, grazie ad un abile utilizzo del “dire e non dire” si fece credere che il governo volesse nascondere la “verità sugli alieni”. Ogni tanto si creavano le “ondate” per tenere vivo l’interesse sul fenomeno. Dopo diversi anni si fece perfino uscire un fantomatico documento segreto (Majestic 12), che avrebbe finalmente rivelato le omissioni governative sulla verità aliena. Un falso nel falso.

In fondo il meccanismo è semplice. La mente umana non si accontenta delle spiegazioni semplici (il famigerato rasoio di Occam) ma tende a costruire complicati schemi sulla realtà.
Quindi se io, per dei miei scopi precisi, voglio convincere qualcuno dell’esistenza degli alieni basta che mandi tutti i giorni in televisione esperti che neghino la loro esistenza. Per reazione il pubblico si convincerà che non solo gli alieni esistono ma che quegli esperti sono pagati dal governo per negarne l’esistenza. Mentre invece è esattamente il contrario.

Oggi il mito degli alieni, ossia del nemico invisibile ma onnipresente e onnipotente da combattere con qualunque spiegamento di forze, è stato sostituito dallo “scontro di civiltà”, dalla “guerra al terrorismo”, dal “nemico islamico”. In sostanza, l’anomalia di un impero onnipotente che deve pur tuttavia rendere conto democraticamente ai suoi cittadini dei suoi atti (almeno per ora), per continuare ad esistere ed armarsi all’infinito per raggiungere i suoi scopi deve inventarsi sempre un nuovo nemico da combattere.
Non è un caso, forse, che il momento mediatico di maggiore terrore che ha segnato l’inizio di questa guerra trentennale al terrorismo sia stato l’impatto di due aerei, due oggetti volanti sulle torri gemelle di New York. Una nuova Roswell, per il nuovo millennio?