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mercoledì 15 gennaio 2014

La grande pallezza



Parlando de "La grande bellezza" non so da che parte cominciare. Di solito la prima autodomanda, pensando ad un film appena visto, è se ci è piaciuto. In questo caso la risposta è si e no. Oppure, ancor meglio e veltronianamente: mi è piaciuto ma anche no.

Mi è piaciuta la protagonista, Roma, che svetta sul tizio che disperatamente, per tutto il film, tenta, non riuscendoci, di rubarle la scena: il bravo ma un po' troppo facente pesandolo Toni Servillo. Roma che fa da parafulmine alle stronzatielle che il regista semina in qua e in là, come la sciroccata che fa a testate sul muro, per dirne una.
Mi ha dato fastidio il fatto che è un film che bisognava vedere per forza. Non mi è piaciuto il suo essere velleitario nella pretesa altmaniana di assemblare un campionario umano rappresentativo e per essere alla fine così scontatamente "felliniano". Un Fellini però sfellinizzato, senza l'elemento onirico, il fulmine del genio e Mastroianni. Rendiamogli atto però che non è una boiata paragonabile al film "romano" di Woody Allen.

Mi è piaciuto si e no ma più di no in senso tecnico. "La grande bellezza" parte malissimo, con quei fastidiosi movimenti di macchina in su e in giù che ti ricordano i filmati con il telefonino oppure i video clip e gli spot pubblicitari. Mi pare di ricordare che il grande Kurosawa dicesse che il movimento della cinepresa non doveva assolutamente essere percepibile, che non te ne dovevi accorgere. E' vero. Il movimento si crea con il montaggio.
Il film parte male al punto che ti viene da paragonarlo alla Corazzata Potemkin in senso fantozziano ma poi si ripiglia un po' nel prosieguo, tanto che alla fine non puoi dire che è un capolavoro, ma nemmeno una minchiata. Resti lì a metà. Merito sempre della bellezza che, forse questo è il senso del film, è intorno a te ma non riesci più a vederla.

Un ottimo segnale per capire se un film ti sta piacendo o annoiando è se guardi e quante volte l'orologio. Quante volte, figliola? Beh, padre, la prima occhiata l'ho data a 22 minuti. Ahia. Poi abbastanza spesso verso il finale, quando cominciavo a pensare solo a come sarebbe finito. Certo non siamo al "ma quando finisce, ma quando finisce, ma quando finisce", del Noodles che rigira il cucchiaino nella tazzina nella massacrante versione integrale di "C'era una volta in America" di Leone ma due ore sono comunque tante quando in fondo non sta succedendo niente ma se ti distrai sei finito. Qui, ad esempio, ho perso un secondo di concentrazione e mi è morta la Ferilli.
L'utilizzo della musica l'ho trovato un tantino paraculo. In alcuni momenti tra un Donnie Darko e l'Antichrist di Von Trier. Ma tanto Roma risulterebbe bella pure con una sega a nastro in sottofondo.

Non mi è piaciuta la superficialità nel ritratto dei vari personaggi, che scorrono uno dopo l'altro senza che tra di essi emerga alcuna vera figura memorabile e tanto meno una grande prova d'attore. Il quadro generale sembra un abbozzo, lo schizzo preliminare di una Cappella Sistina dedicata al generone simile ai fotocollage di Dagospia, dove ti aspetti esattamente di trovarci i personaggi dell'agiografia classica. La nana, la colf (Serra Yilmaz, dove sei?), il cardinale gastronomo, i nobili a nolo, la spogliarellista attempata, la Ferrari che fa la milf infoiata che non se ne può più, i salottieri vacui, gli intellettuali, i falliti, i ricchi, le allusioni alle celebrities (a me pare di aver riconosciuto Conchita e Funari), i comici in versione tragica che sono sempre un azzardo (infatti Verdone non esce, smacchietta e basta ed è un delitto.) Poi i cameo: madame Truffaut Fanny Ardant, Venditti. Sorrentino però non ha avuto le palle di infilarci anche il Sommo Phregno Totti. Peccato.

La scena che ho trovato più riuscita è il monologo del funerale. Non male neppure la ripassata verbale alla scrittrice di partito, un pernacchio alla Don Ersilio Miccio rivolto alla sinistra, che forse vale da solo il film.
Ho apprezzato qualche tocco involontariamente comico, come la passeggiata notturna nei palazzi romani, con tanto di lampadario simil-candelabro che faceva tanto "Il segno del comando" e "Cento campane". "La contaminazione del mezzo televisivo nell'immaginario filmico", che sembra il titolo di una tesi di laurea.
Non mi è piaciuta però la decimiliardesima riproposizione del vizio dei registi italiani di sfracellarceli con il ricordo indelebile della prima trombata di quando furono ragazzetti. Ebbasta!

Merita l'Oscar, "La grande bellezza"? Oddio, bisognerebbe vedere gli altri film della cinquina. L'ho detto: Sorrentino non è Fellini e Servillo non è De Niro. E' così così, si può guardare. Rivedere non saprei. Forse con l'avanti veloce. Un po' una palla effettivamente lo è, anzi pallone. 


10 commenti:

  1. Adetrax13:14

    Occhio non vede, cuore non duole ... a me è bastato il "vaffa" alla giornalista per mettere il puntino finale alla classe dell'intero "prodotto" e posticipare la visione a tempi migliori.

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  2. Anonimo13:58

    Sono d'accordo con te che la scena: " Io da ragazza a lettere occupata, grondavo vocazione civile" vale tutto il film!

    Mi sono venute in mente le Concite De Gregorio, le Giovanne Melandri ( quella che partecipa alle feste di Briatore e poi nega in quanto ha fatto dell'ipocrisia la missione della sua vita in perfetto Piddin's Style. Quella stessa Melandri che prima si fa nominare presidente del MAXXI, il Museo nazionale delle arti del XXI secolo annunciando che non percepirà nessuno stipendio salvo poi fare marcia indietro nel Luglio 2013. L'ipocrisia ha un valore di mercato e quindi necessita di uno stipendio ).

    Se qualcuno volesse vedere la scena la trova su youtube. Un vero spasso!

    Zugzwuang

    Mi viene il sospetto che le critiche negative in Italia a questo film siano dovute in realtà a questa scena.

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  3. Anonimo15:09

    ... come la sciroccata che fa a testate sul muro, per dirne una.

    La scena della sciroccata è la presa per i fondelli di una certa Marina Abramovic. La signora in questione si autodefinisce "grandmother of performance art". "Vivo di vibrazioni extrasensoriali" è una affermazione della Abramovic. Quando ho visto la scena, ho pensato che fosse una estremizzazione in forma di parodia di questi presunti "artisti" moderni. Poi ho scoperto che la scena seguente alla capocciata ( l'intervista che il protagonista fa all'artista e le chiede cosa sia una vibrazione ) nasce da un fatto vero.

    L'arte di questa signora Abramovic? Da Wikipedia:

    Rhythm 10, 1973
    Nella sua prima esecuzione la Abramović esplora elementi di ritualità gestuale. Usando venti coltelli e due registratori, l'artista esegue un gioco russo nel quale ritmici colpi di coltello sono diretti tra le dita aperte della mano (il gioco del coltello). Ogni volta che si taglia, deve prendere un nuovo coltello dalla fila dei venti che ha predisposto, e l'operazione viene registrata. Dopo essersi tagliata venti volte, l'artista fa scorrere la registrazione, ascolta i suoni e tenta di ripetere gli stessi movimenti, cercando di replicare gli errori, mescolando passato e presente. Tenta di esplorare le limitazioni fisiche e mentali del corpo: “Una volta che sei entrato nello stato dell'esecuzione, puoi spingere il tuo corpo a fare cose che non potresti assolutamente mai fare normalmente.”

    Ehm... Mah!! Ma non è finita!! :-))

    Rhythm 0, 1974
    Si presenta al pubblico di Napoli, posando sul tavolo vari strumenti di piacere e dolore; fu detto agli spettatori che per un periodo di sei ore l'artista sarebbe rimasta passivamente priva di volontà e che loro avrebbero potuto usare liberamente quegli strumenti in quelle ore. Si era imposta tale prova in un tempo prefissato secondo una strategia di John Cage, adottata da molti altri artisti dell'esecuzione allo scopo di dare un inizio e una fine ad un evento non lineare.Ciò che era iniziato piuttosto in sordina per le prime tre ore, con i partecipanti che le giravano intorno con qualche approccio intimo, esplose poi in uno spettacolo pericoloso e incontrollato; tutti i vestiti della Abramovic furono tagliati con lamette; nella quarta ora le stesse lamette furono usate per tagliuzzare la sua pelle e da cui poter succhiare il suo sangue. Il pubblico si rese conto che quella donna non avrebbe fatto niente per proteggersi e che era probabile che venisse violentata; si sviluppò allora un gruppo di protezione e quando le fu messa in mano un'arma carica e il suo dito posto sul grilletto, scoppiò un tafferuglio tra il gruppo degli istigatori e quello dei protettori. Mettendo il proprio corpo in condizione di farsi male, la Abramovic crea un'opera molto seria nei confronti dell'arte, allo scopo di affrontare le sue paure circa il proprio corpo.

    Mi pare tanto sado-maso. Nulla di che! Nulla di nuovo! :-)))

    Zugzwuang

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  4. Anonimo17:08

    Bella critica del film e lo dice uno che lo ha apprezzato molto, anzi credo proprio che è uno dei miei film preferiti del 2013, proprio perché l'ho trovato una semi-rivisitazione della dolce vita trasposta nei nostri tempi decadenti (opposti al boom e alla creatività degli anni 60) ed in un mare di vuoto e decadenza solo la bellezza ci salva sembra essere il messaggio del film. Anche metafora di un'Italia che richiama il suo lontano passato da protagonisti per giustificare la sua mediocrità attuale. Poi molti difetti che hai citato mi trovano concordi, ma personalmente pensando allo stato del cinema attuale, trovare una panoramica tutto sommato obiettiva della nostra realtà è caso raro, soprattutto il film per fortuna è appunto un film, cinema e non un documentario o la solita panoramica storica da libro cuore e fiction, operazione riuscita con successo anche con "il divo", film che rischiava di divenire un trattato politico, mentre semplicemente è cinema e può essere gustato come tutti i film di Sorrentino (con tutti i suoi pregi ed enormi difetti) anche da un pubblico estero e questo non è poca cosa.
    Garas
    Ciao

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  5. Cara amica Lameduck,

    il film lo ho visto quest'estate mentre ero a Roma e non mi aveva convinto. Poi però ho comprato il dvd e nel rivederlo mi è piaciuto.

    Non so se merita l'oscar, però lo ritengo uno dei pochi film buoni fatti in Italia negli ultimi anni.

    Ciao Davide

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  6. Non vado al cinema da anni perché non me lo posso permettere. La grande bellezza la trovo nel mondo, nella poca natura rimasta, nelle parole dei bambini, nelle notti stellate, nella meravigliosa meccanica di una cavalletta e, per riassunto, nella musica classica.

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  7. A me il film è piaciuto. Devo dire che sono andata a verderlo prevenuta, perchè oramai il mio metro di giudizio è piddini o non piddini e Sorrentino e Servillo mi sembrano, può essere che mi sbagli, dei piddini ben trutturati. Il film però mi ha convinto. Secondo me la partenza che a te non piace per i fastidiosi movimenti della macchina invece è voluta proprio per ricordare i filmati col telefonino e gli spot pubblicitari che oggi invadono tutto il nostro tempo. Alcune sequenze del film poi sono, oserei dire, poetiche come la scena della suora che Servillo vede attraverso un cancello in un giardino mentre è immersa a cogliere le arance al centro dell'albero ( mi ha ricorato i quadri di Magritte). Il fatto che non c'è una figura memorabile forse è perchè sono ricordi, flesh, impressioni, sensazioni del regista, o perchè semplicemente non emerge nessuno perchè ora come ora nessuno emerge vista la decadenza nella quale siamo intrappolati. Anche a me ha entusiasmato la ripassata verbale alla scrittrice che mi ha ricordato la Conchita ma anche la Palombelli. Ho trovato azzaccato pure il cardinale che parlava soltanto delle ricette visto che lo stesso Papa a volte si trova a dire delle ovvità che vengono accolte come chissa quali rivelazioni. E' vero ricorda Fellini ma in ogni opera artistica di qualsiasi tipo c'è sempre una citazione o comunque un richiamo ai grandi maestri. Non so se meriti l'oscar però se suscita critiche contrastanti vuol dire che il film ha una sua energia ben precisa che in qualche modo obbliga gli spettatori ad interrogarsi su cosa sia una grande bellezza.

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  8. l'ho studiato fotogramma per fotogramma (raccontato da vedente ovviamente) per renderlo accessibile: con blindsight project abbiamo fatto l'audiodescrizione di questo film, finora proibito a persone cieche come me e a tutti gli ipovedenti! quindi non so quanto valga solo il giudizio di chi può vedere, visto che siamo milioni a non poterlo fare. E' quindi solo grazie al volontariato e a 1000 euro di 5per mille che c'è la possibilità di dire anche la mia (e ho fatto davvero di tutto per poterlo fare).
    la pallezza di questo film è quella di tutti gli altri film italiani: i film sono tutti inaccessibili, senza sottotitoli e audiodescrizioni! davvero ridicolo visto che nel resto del mondo non è così, altra cosa ridicola è il cambio di rotta di tutti coloro che si sono sentiti toccati nel vivo (vedi soprattutto tutte le concite e le palombelli del mondo) e criticarono questo film a sangue, mentre ora, con la nomination all'oscar, tutti si sentono italiani e cinematografari, stanno a diventà tutti romani: finti come i protagonisti del film stesso, di cui roma è purtroppo strapiena!!
    un film, comunque, che alla fine mi è piaciuto, sicuramente meglio di tanto altro (sempre strafinanziato e inaccessibile) che è stato prodotto in italia ultimamente.
    anch'io come django non posso permettermi il cinema, ed anche se potessi sono tra i milioni esclusi per assenza di accessibilità nel terzo millennio: parliamone..
    la grande bellezza è avere questo film fruibile a tutti indistintamente, questo non è poco visto che l'iniziativa antidiscriminazione parte proprio da una città come roma, dove chi fa il mio lavoro è considerato una piattola da tutta quella fauna bestiale con cui sorrentino inonda il film, e che purtroppo è nella stanza dei bottoni.
    avevo già scritto la mia a proposito http://lauraffaeli.blogspot.it/2014/01/la-grande-bellezza-la-voce-dei-non.html , ciao sei sempre grande, laura

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  9. Film denuncia sulle scie chimiche

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  10. Anonimo16:45

    Devo dire che a differenza di molti altri casi, non mi sono addormentato sulla sedia. Non mi sono alzato in preda all'entusiasmo, ma nemmeno distratto. Qualche lungaggine sul finale, certo, ma nessuna voglia compulsiva di stare a guardare ogni tanto l'orologio.
    Certo si fa fatica ad apprezzare un film che tenta di descrivere un vuoto abissale e cosmico, abituati come siamo alla maniera di raccontare dei cineasti americani, grandi tessitori di storie attorno ad un concetto, spesso fin quasi a rasentare l'horror vacui...

    E' stato detto fin da subito che in troppi hanno tentato di mettere il cappello su questa vittoria che, a mio avviso è dovuta più che altro ad un Servillo che giganteggia, anche se forse non è questa la sua migliore prova d'attore.
    Tentativi di metterci su il cappello che hanno sconfinato nel ridicolo. Leggo sul fatto quotidiano:

    Johnny Riotta, sulla Stampa, vede nel film addirittura “un monito” e spera “che la vittoria riporti un po’ di ottimismo in giro da noi”. E perché mai? Pier Silvio B., poveretto, compra pagine di giornali per salutare l’’”avventura meravigliosa” sotto il marchio Mediaset. Sallusti vede nell’Oscar a un film coprodotto e distribuito da Medusa la rivincita giudiziaria del padrone pregiudicato (per una storia di creste su film stranieri): “Ci son voluti gli americani, direi il mondo intero, per riconoscere che Mediaset non è l’associazione a delinquere immaginata dai magistrati”. Ora magari Ghedini e Coppi allegheranno l’Oscar all’istanza di revisione del processo al Caimano.

    Guardando questo film e sentendone l'atmosfera decadente che lo pervade dall'inizio alla fine, mi tornano in mente i versi - prologo de “I fiori del male di Baudelaire”.

    E tuttavia devo rilevare che nel film non c'è alcuna grandezza, se non quella immeritatamente ereditata della Roma del passato che costantemente è sporcata da gente gretta meschina e volgare... Singolare l'inquadratura delle bellezze e l'improvviso intercalare di chissà chi che al telefono esclama, "ma ce stai proprio a rompe 'er cazzo"... Frase che ogni tanto ricompare proferita da occasionali passanti che per nessuna latro motivo si caratterizzano. Se mai vi fosse un messaggio in questo film sarebbe che la grandezza dell'Italia resta solo come povere vestigia (col forte rischio che si giochi pure quelle) in cui vacue figure si aggirano, sorde ed ottuse, senza nemmeno rendersene conto. Figure non solo senza senso, ma pure senza sensi...

    Su una sola cosa non concordo con l'autore del pezzo de' “Il Fatto”. Che solo la morte o la rinuncia siano salvifiche. Chi se ne va non viene salvato, si è solo perduto, perché persino in queste morti non si rileva nessun senso di pietà, ma solo il trascolorare della memoria, per altro falsata dalle frasi di circostanza. Si salva solo Ramona dalle frasi di circostanza, strappata in extremis alla malinconia di una vita passata nell'avvilimento della sua battaglia persa contro la morte, senza alcun sostegno affettivo se non quello di un uomo che tenta di regalarle la visione della bellezza che da sempre le è stata negata. E, per sua fortuna, su Ramona cala l'unico vero e dignitoso silenzio, sia pure senza che ella venga consegnata alla memoria futura. Non c'è prospettiva di salvazione perché, a voler rispolverare un aforisma alla Dott. House, “Le persone hanno quello che gli capita, non quello che meritano”.

    Fabio

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