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mercoledì 29 agosto 2007

Evviva il paraculone

A me Michael Moore piace, come il Crodino. E' un paraculone ma gli argomenti che tratta sono troppo importanti per farseli sfuggire. A volte i suoi discorsi mireranno un po’ troppo alla nostra pancia, è vero ma sul fatto che gli americani siano ostaggio delle lobby delle armi, che la famiglia Bush sia sempre stata in affari con loschi individui sauditi e che un americano disoccupato rischi di doversi vendere la casa e forse anche le terga per potersi permettere un intervento chirurgico, non ci piove.
Moore è la versione super-size del bambino che grida "il Re è nudo", per questo mi è simpatico e poi ce ne fossero di americani così, che hanno l’umiltà di ammettere che non sono semidei perfetti e che altri paesi in certe cose sono più avanti del loro.

Mi piacque molto “Bowling for Columbine” e non dimenticherò mai la figura di merda che fece fare a Charlton Heston, che nessuno avrebbe mai detto essere un tale fascistone.
Mi deluse un po’ con “Fahrenheit 911”, solo perché non ebbe il coraggio di andare fino in fondo nel ragionamento sull’11 settembre (e per questo dico che è paraculone) ma anche lì la scena disgustosa di Wolfowitz che ciuccia il pettinino e l’espressione da encefalogramma piatto ma da gatto con il sorcio in bocca di Bush nella scuola della Florida valevano da sole i soldi del biglietto.
Non ho ancora visto "Sicko", il suo ultimo film, ma sento di poter dire la mia sull’argomento sanità pubblica e sanità privata.

Una decina di anni fa quando a causa di un virus ebbi la neurite ottica e tutta una serie di gravi problemi neurologici, per fortuna poi risolti, nell’incertezza della diagnosi e nell’angoscia di sapere se la mia malattia era guaribile o no frequentai parecchi forum americani su Internet, offerti da Istituti Medici Universitari. I pazienti esponevano i loro casi e i medici rispondevano.
Capitava anche di chattare tra di noi. Rimasi letteralmente di merda quando, in un forum di oculistica, una ragazza mi disse che avrebbe potuto curare la sua cecità progressiva grazie ad un intervento, che però costava 200.000 dollari, che lei non aveva. Ancora oggi questo pensiero, di qualcuno che forse non potrà più vedere perché non ha 200.000 fottutissimi dollari, mi fa impazzire. La trovo una cosa abnorme, di una ingiustizia siderale.

Altri malati, affetti da sclerosi multipla, mi raccontavano che spesso la loro diagnosi veniva nascosta alle loro compagnie assicurative perché altrimenti esse avrebbero ritirato la copertura. Si può capire perché: la sclerosi multipla è una malattia a tutt’oggi inguaribile, altamente invalidante e i farmaci utilizzati per il suo contenimento, come l’interferon-beta, sono carissimi. Aumenta il rischio e le assicurazioni si tirano indietro, lo sappiamo anche noi. Io stessa, quando fui ricoverata in neurologia per gli esami e la risonanza magnetica (tutto gratis), mi sentii dire in seguito dalla banca che l’assicurazione sui ricoveri offerta ai clienti non prevedeva un rimborso per le degenze nel reparto neurologia. Un’appendicite passi, ma una lesione neurologica magari permanente no.

Tornando ai forum americani, ricordo che ogniqualvolta dicevo che da noi le cure erano pressocchè gratuite si scatenava l’incredulità e anche quel senso di invidia che ben trasmette Moore nel suo film, per quel poco che ho visto dai frammenti presenti su YouTube. Tutti a dire quanto ero fortunata e quanto loro trovassero ingiusta la loro condizione di dover dipendere dalle paturnie delle compagnie assicurative e da una sanità per principio a pagamento.

Ho letto in questi giorni le patetiche, a mio parere, difese dei tanti volontari della libertà autolaureatisi in quattro e quattr’otto avvocati difensori per partito preso del sistema sanitario americano. Quello che non ho letto da nessuna parte è l’ammissione che quel sistema è sbagliato perché semplicemente esula da un principio fondamentale di giustizia sociale: che la salute è un diritto, non un bene di consumo. E’ un problema di mentalità. Loro ti dicono che ci sono polizze che ti offrono servizi ben migliori dei nostri. Grazie al cazzo, se pago è ovvio, ma se perdo il lavoro per qualsiasi motivo, e può non essere colpa mia, negli USA perdo anche la copertura assicurativa. Dicono che c'è comunque un' assistenza gratuita per i "bisognosi" (Dio che nervi quando li definiscono così!) e che Moore è un cacciaballe.

Cercando l’immagine di Sicko da postare sono capitata per caso nel blog di questo ragazzo americano . Sentite cosa dice:
“Sono stato fortunato nella mia vita per aver sempre avuto qualche tipo di copertura assicurativa. Per un paio di interventi, l’assicurazione di mia madre coprì quasi per intero i costi.
La sola volta che rimasi scoperto fu quando mi trasferii a Dallas ed ero disoccupato in cerca di lavoro. Una volta trovatolo e ritornato in possesso di un’assicurazione sanitaria andai dal medico per un check-up e lui mi disse che non dovevo pagare nulla per gli esami, tranne 20 dollari per una specie di ticket. Un paio di mesi dopo ricevetti un conto di circa 400 dollari. Ero scioccato perché un mio amico aveva fatto gli stessi identici esami del sangue, nello stesso ospedale e presso lo stesso dottore e aveva pagato solo i 20 dollari.
Ho sempre pensato che se mi fossi ammalato seriamente nella vita avrei avuto una buona copertura assicurativa. Ora non ne sono più tanto certo. Sto pensando di trasferirmi in un paese dove c’è un servizio sanitario nazionale, così dovrei preoccuparmi di meno.”
Sono pensieri difficili da capire per noi, che se ci sentiamo male godiamo sempre e comunque di un servizio di intervento gratuito e che se dobbiamo subire un'operazione nessuno ci chiede se possiamo pagarlo. Nessuno nega che esistano la mala sanità, l’incompetenza e la sporcizia in alcune realtà di sanità pubblica ma il principio è salvo. La salute è un diritto. Le tasse che paghiamo permettono ai malati, tra i quali ogni tanto ci siamo anche noi, di essere curati
Il farmaco che Michael paga 120 dollari in USA, a Cuba costa 5 centesimi perché così dev’essere ma gli avvocati della sanità del libero mercato si farebbero tagliare le palle, pur di ammetterlo.



martedì 28 agosto 2007

Le tette e i cinesi

Siccome non voglio essere seconda a Pensatoio che oggi sbatte Dita Von Teese in prima pagina nel suo blog, per paura che faccia più contatti di me, parlerò di tette.
Anche oggi il convento passa ribollita: post riciclato. Questa volta per assoluta mancanza di tempo per la cova del post fresco di giornata. Volevo parlare di Michael Moore ma sarà per domani.

Al mercato, sulle bancarelle dei cinesi, oltre alle camicette a 5 eulo che tu nel negozio (italiano) hai pagato 18 euro, vendono anche i reggiseni. Costano talmente poco, 3 eulo, che sei tentata di fartene una scorta, tanto anche se dopo qualche lavaggio pur con tutte le cure e i detersivi ultradelicati si slabbrano le spalline, gli elastici si polverizzano, i ferretti si accartocciano e non tengono su neanche un palloncino da bambini, chi se ne frega.

Come modelli ce n’è per tutti i gusti. Vuoi fare la liceale porcella stile anime giapponesi? C’è quello con i pupazzetti di Pokemon. Per chi vuole fare l’ingenua anche a trentacinque anni ci sono i fiorellini provenzali; per chi non ha mai osato il colore ora c’è il verde evidenziatore, il giallo zafferano, l’arancio Fanta e il fucsia – non un colore ma un crimine contro l’umanità.
Se vuoi troieggiare ci sono quelli in salamandra verde o pelle di drago di Komodo, le pelli zebrate e di tutte le razze feline, dal giaguaro alla tigre di Monpracem. E poi vai con i pizzi e le trine, il contenitivo e il balconcino, lo sportivo e quello con le punte, un po’ Madonna un po’ mi nonna in stile retro. Insomma una pacchia. Con un problema però: le taglie.

Benedetti cinesi, o non si intendono di tette o le cinesi non hanno tette ma orzaioli. Prendi in mano un reggiseno made in China e ti chiedi? Come farò mai a farcele stare? Come il mago Houdini nel bidone del latte chiuso dai lucchetti o come la contorsionista del Circo Medrano?
Non è fisicamente possibile. Leggi l’etichetta e, figurati, quella è già una quinta. Si, buonasera! Non starebbe nemmeno ad una bimba di tre anni. Per avvicinarti alle tue misure devi veleggiare verso le impensate seste, settime, ottave, manco fossi Bocelli che fa i vocalizzi.

Noi siamo italiane, perdinci, Sophia Loren non è mica nata qua per sbaglio. Negli anni Cinquanta esportavamo maggiorate a vagoni e adesso, nonostante la dieta forzata e il look generalizzato da stoccafisse, comunque qualche rigonfiamento sospetto da silicone si vede in giro.
Noi signore che stiamo migliorando come il buon vino, abbiamo la tetta che molleggia trionfante nel balconcino come la créme caramel, le nostre sorelle più giovani possono ancora fregiarsi del titolo di miss tette turgide che il balconcino rischia di fare crollare di spinta e, en passant, ogni tanto ci capita di fare un marmocchio e passare attraverso la fase della mucca Frisona da latte. Insomma, le tette noi ce le abbiamo!

Siamo noi sbagliate, con il reggiseno taglia 8/C, i jeans XXXXLLLL e le camicette che non si trovano in taglia normale perché sono tutte modellate sui vestitini per la Barbie, o sono i cinesi che dovrebbero darsi una regolata sulla conformazione fisica degli occidentali?
Che ne so, se vogliono invadere il mercato dei reggiseni dovrebbero prima frequentare un bel corso di “tetta avanzata” su testi come Max, ForMen, GQ e il sempreverde Playboy, con docenti come Maria Grazia Cucinotta e Sabrina Ferilli e come visitor Pamela Anderson, che il Signore la benedica! Un paio di master, un ciclo di stage, 25 esami e test finale. Così imparano a distinguere una terza da una quinta.

lunedì 27 agosto 2007

Ekkekkakkio!

“xke tt hanno criticato qst film?? e nn era necessario fare tt qst pandemonio!!! la kiesa facendo qst ha fatto alzare i botteghini del film!!!”

Vi è capitato di recente di cominciare a scrivere come nell’esempio qui sopra? State cominciando a pensare con le k e i nn? Sostituite le c con le k anche quando non è necessario, ad esempio nella frase “le kiliegie sono bne”?

Se la risposta è si siete affetti dalla malattia più pericolosa in circolazione, molto peggiore di SARS, aviaria ed Ebola messe assieme, la terribile SINDROME DELLA K, che si trasmette via telefonino. Si, perché da quando passiamo metà della nostra vita a scrivere SMS, la lingua italiana ha prodotto una mutazione pericolosa, come il virus influenzale che ogni tanto può diventare veramente cattivo e ammazzare milioni di persone.

Purtroppo, dall’ambito ristretto dei cellulari, la malattia si sta espandendo nelle chat, nei forum, nelle email, nei blog e nella corrispondenza personale. Una vera pandemia. Il contagio è subdolo. L’italiano è una lingua ostica per scrivere SMS, con tutte quelle accentate, gli apostrofo che bisogna andare a cercare con il lanternino, le doppie e le parole chilometriche tipo “improcrastinabilità”. Non si prendono precauzioni, si comincia scrivendo una volta “non” come nn per far prima e si è subito infetti.

Questa malattia colpisce soprattutto le vocali e ne fa strage ma provoca anche la proliferazione di consonanti come la k, che rappresenta il sintomo più tipico della malattia, come le macchie rosse del morbillo. Si sta ovviamente cercando un vaccino che dovrebbe impedire la conversione delle C in K e si sta allo scopo studiando il DNA di individui che da giovani scrivevano “Kossiga” e “Amerikani Go Home” con la kappa. Purtroppo però anche con l’ingegneria genetica il vaccino sembra di difficile realizzazione.

Una nota di speranza viene dal fatto che esistono persone misteriosamente guarite dalla malattia ed altre praticamente immuni. Questi soggetti conservano solo una leggera dislessia residua e regrediscono alla fase di lettura lettera per lettera dei bambini di prima elementare di fronte a testi infetti, ma continuano a scrivere come la maestra gli ha insegnato: “soqquadro con due q”, “sul qui e sul qua l’accento non va”. Come i monatti di manzoniana memoria sono molto malvisti dagli appestati, che li considerano vecchi babbioni conservatori, reazionari e bacchettoni.

L’aspetto più tragico di questo terribile morbo è rappresentato dal fatto che appena contagiati i malati sono convinti di essere gli inventori di un nuovo linguaggio molto pratico e moderno. In realtà, in fase avanzata, la SINDROME DELLA K porta alla perdita completa dell’uso dell’italiano.

Qualche virologo di fama mondiale avanza l'ipotesi, ma si tratta di una tesi molto forte e controversa, che questa malattia assomigli molto a quella che colpì Pinocchio e Lucignolo, la malattia del somaro.

Io nn ci credo. Sn i soliti vekki prof parrukkoni ke nn kapiscn nnte, aggiornatevi 1 po, ekkekkazz....... Iiiii-hoooo, ii-hooo, ii-hooooo!

P.S. Per la serie: la ribollita, eccovi un post che ho recuperato dal vecchio blog, prima che venga magari distrutto dal cambio di piattaforma.
E' ancora attuale e trasmette bene il mio fastidio nei confronti di questa neolingua del k, che mi fa sentire totalmente idiota perchè non riesco assolutamente a leggerla. Forse con il Klingon avrei meno problemi.

venerdì 24 agosto 2007

Sboroni si nasce

Meglio non approfondire troppo sull’etimo della parola “sborone”, dal romagnolo “sburon”, piuttosto volgare nel suo evocare imprese erotiche a lunga gittata ma terribilmente efficace nell’indicare quelle persone che riescono a stupire le folle con la loro abilità, coraggio e talento naturale. Esiste una variante dispregiativa del termine, in vero meno usata, che indica il fanfarone e il millantatore e può capitare che qualcuno sia allo stesso tempo sborone positivo e sborone negativo. Se vi ricordate Alberto Tomba, lui ne è stato uno dei rari prototipi.
Inutile dire che sboroni si nasce, non lo si diventa e questi che vi propongo come esempi, rigorosamente positivi lo nacquero, modestamente.
Lo sborone classico è un eroe solitario, sceso in Terra a miracol mostrare e inviato agli sfigati per farne emergere ancora di più la sfigataggine come Oscar, l’eroe di Carlo Verdone.

In rari casi si possono trovare tre-sboroni-tre che agiscono assieme, come Emerson Lake & Palmer, capaci pure di suonare al gelo di uno stadio d’inverno con grave sprezzo dei geloni. Notate la coincidenza: sia Verdone che Emerson in sostanza si zompano flipper e tastiere.

Lo sport abbonda di sboroni come, ad esempio, Roger Federer, uno che fa gemere Rafa Nadal quasi fosse il suo flipper e che si esalta ancora di più se al di là della rete c’è un altro sborone, aspirante o conclamato come Lleyton Hewitt con il quale è riuscito a scambiare un rally da 45 colpi in questo filmato.
Tutta gente insomma di cui non si può certo dire che lavori troppo de porso e usi male l'avambraccccio. Mortacci loro!

P.S. Avevo scritto questo post il giorno di Ferragosto. Chi ho visto in spiaggia domenica scorsa a Milano Marittima, si proprio in quella spiaggia del fan di Bossi? Alberto Tomba. Giuro. Se non è precognizione questa. Forse i superpoteri dell'ape maiala stanno arrivando...

giovedì 23 agosto 2007

La Ribollita Illustrata

Nonostante il clima ancora caldo che si addice più alla caprese e al cocomero piuttosto che alle zuppe calde e belle toste, pare che nel settore informazione vada sempre più di moda, in questa estate calante, la ribollita.
La preparano in una versione scacciapensieri, smutandata e con una presa abbondante di peperoncino ma è ancora più pesante di quella di fagioli e cavolo nero.

Come tutti i piatti regionali risente delle piccole variazioni locali ma gli ingredienti di base sono i soliti.
Si comincia con il sondaggio, lo studio, la ricerca scientifica da fare a tocchetti. Meglio quelli che non hanno alcun valore scientifico, più a buon mercato. Oppure si riciclano vecchi rapporti, come quello sull’aumento dell’intolleranza in Europa, che un cuoco dell’Unità ha scoperto essere vecchio di oltre due mesi, quando ormai la broda era già in pentola. Era così andato a male che al TG1 hanno voluto scartarne un bel pezzo. Infatti hanno messo nella pignatta l’antisemitismo e l’anti-islamismo ma l’intolleranza contro i gay è sparita. Forse pensavano che nessuno se ne sarebbe accorto.

Non c’è ribollita senza cipolla e porri e allora si aggiungono le notizie lacrimogene: gli orsetti abbandonati, i panda depressi, il muflone muschiato in estinzione, i patimenti delle star, le sofferenze degli evasori fiscali, i dolori lancinanti del giovane Valentino e magari qualcosa che era nel freezer da un anno, come la triste storia della Natascha che vuole comperare la villa degli orrori per farci poi pagare il biglietto.
Una bella spruzzata di sangue fresco è indispensabile: delitti irrisolti, ville del mistero, tragedie naturali vanno sempre bene.
Se volete aggiungere i piselli vi consiglio la qualità Montezemolo, perché quelli Berlusconi di qualche anno fa sono troppo piccoli e si disfano nella pentola.

Si chiama ribollita appunto perché si fa con cose che andranno ripassate al forno. Anche notizie false e tendenziose su partiti un po’ stantii in ristrutturazione possono essere saltate in padella con un bel trito di rossa di Lecco, più piccante della rossa di Tropea e gettati nel calderone fumante. Tanto lo sappiamo, nell’informazione tutto fa brodo.

mercoledì 22 agosto 2007

Ombrelloni-oni-oni

Un omone dall'accento spiccatamente lombardo e dall'aspetto vagamente imprenditoriale si esercita nella tecnica della dialettica da spiaggia nello stabilimento balneare di un lussuoso albergo sulla Riviera Romagnola. 250 euro al giorno, pensione completa, ambiente distinto, bevande escluse:

"Ha ragione Bossi a volere lo sciopero fiscale. Lo Stato prima mi deve dare, poi mi deve chiedere."

Che sarebbe un po' come pretendere di cagare prima di aver mangiato.

martedì 21 agosto 2007

Lui si prenderà delle libertà

Pare che Berlusconi, stanco del tricolore e del logorato e in fondo troppo calcistico “Forza Italia”, dopo la peluria e le rughe voglia rinnovarsi anche la compagine politica e, sempre secondo i giornali, fondare il “Partito della Libertà”, magari dando una mano di biancofiore al vecchio scudo crociato democristiano dove c’era scritto appunto “Libertas”. Houston abbiamo un problema, però.

La Michela Vittoria Brambilla, già animatrice dei “Circoli della Libertà” e colei che ai suoi cani non dà Pal ma prosciutto e melone, risulta aver già registrato a suo nome, oltretutto come persona fisica, il simbolo del “Partito della Libertà” .
Ora, se quel simbolo e marchio fossero risultati proprietà di Oliviero Diliberto potrei vederci per il Cavaliere qualche problema ma se per appropriarsene Silvio dovrà passare sul corpo della Brambilla, beh lui non ne farebbe un dramma, ne sono sicura.
Oltrettutto non mi pare possibile che la signora abbia pensato di mettersi in concorrenza con il suo pigmalione. Di bisce che si rivoltano al ciarlatano ve ne sono al mondo ma non mi sembra questo il caso, suvvìa.

A scanso di equivoci comunque, io darei un consiglio veloce e disinteressato al Cavaliere. Registri subito tutte le varianti del nome, così va sul sicuro e nessuno lo frega più, come si fa di solito con le insegne dei negozi per aggirare la concorrenza.
Faccio qualche esempio: "Partito delle Libertà" al plurale. Creerebbe delle ambiguità lo so, ma si può tenere come extrema ratio. “Partito del Liberty”, così quando le signore avranno quei giorni si ricorderanno di lui e lo voteranno. “Partito dei Libertini” tra l’altro così consono alla sua indole di rubacuori. “Partito Libero e Bello”, che fa tanto giovane e spensierato, conquisterebbe i quaranta-cinquantenni. “Partito in Libertà”, che evoca pantofole e tute sciolte e comode, rilassatezza e aria di vacanze. “Partito per la libertà”, per i fuori di testa. “Partito dei libertari”. “Partito dei Liberi”. “Partito dei Liberti”. “Partito dei liberati”. “Partito delle liberate” (questo leggermente ambiguo, lo so, soprattutto dopo pranzi abbondanti). “Partito Libero”. “Partito delle liberatorie”, non si sa mai. “Partito della L’ibertà”. “Partito dei liberatori” e infine, mi voglio rovinare: “Partito di liberto”, così frega anche i comunisti. Tie'!

giovedì 16 agosto 2007

Vero relativo

E’ bello ed interessante quando la TV pubblica ci informa dei rischi connessi all’acquisto ed utilizzo di prodotti contraffatti, siano essi borse di Vuitton tarocche, preservativi cinesi, pillole di Viagra o caricatori per i cellulari. Peccato che oggi al TG2 si sia sfiorata la comicità involontaria a causa del concomitante scandalo Mattel sulle Barbie al piombo made in China.

Nel servizio si chiedeva alla gente comune se acquistano o avrebbero acquistato prodotti falsi: “No, ma scherza! Figuriamoci, non sia mai detto!” hanno risposto come un sol consumatore gli intervistati. Detto che, a causa del problema della desiderabilità sociale, bias ben noto ai sondaggisti seri, una domanda formulata in quel modo ottiene sempre la risposta che l’intervistato immagina il suo intervistatore desideri, è curioso che quasi tutti abbiano detto che si sarebbero rivolti solo a oggetti di marca. Come i giocattoli Mattel, suppongo.

Tutto questo per dire: se un oggetto è di marca ed è venduto in un negozio con tutti i crismi e non sulla bancarella del senegalese stesa sulla spiaggia, siamo sicuri che sia originale e se è originale ciò è garanzia di sicurezza? Io che sono diffidente, un po’ per genovesità e un po’ per esperienza, dico che abbiamo motivi per non stare tranquilli e per spiegarmi meglio vado a ripescare una vecchia notizia di un anno fa, che il caso Mattel mi ha fatto ritornare in mente.

L’estate scorsa, appunto, sui giornali americani uscì la notizia clamorosa della causa intentata dalla casa di moda Fendi alla multinazionale della distribuzione Wal-Mart. Due colossi del capitale che si prendono a borsettate, insomma.
Cos’era successo? Un cliente di Sam’s Club, una consociata di Wal-Mart, aveva acquistato in una filiale di Hong Kong una borsa Fendi per modici 400 euro, a fronte degli oltre 900 che aveva precedentemente sborsato, per un articolo identico, in Europa. Il rompicoglioni si era attaccato al telefono con le Signore Fendi in persona e aveva protestato vivacemente per la evidente disparità di prezzo riscontrata.
Le Fendi, in pieno allarme rosso, dopo aver sguinzagliato mute di avvocati famelici, accusarono Wal-Mart di vendere borse tarocche come vere e ovviamente di averle sputtanate sul mercato con il prezzo stracciato da vucumprà. Se 400 euri per una borsa vi sembran pochi.

Non si è saputo come è andata a finire la storia ma i casi possono essere tanti. Per esempio le borse potrebbero essere state acquistate in buona fede come vere ed erano invece false. Oppure Wal-Mart può aver tentato la furbata ed essere andato ad acquistarle direttamente dal fabbricante al quale si rivolgono anche le Fendi, magari in Cina, dove costano sicuramente almeno cento volte meno del prezzo finale. Scommettiamo che alla fine si sono messi d’accordo tra avvocati con un bel compromesso della serie “tu fatti i cazzi tuoi che io mi faccio i miei?”

Oltre a questo episodio vorrei ricordare anche un servizio che vidi tempo fa su “60 minutes” il noto programma giornalistico con i controfiocchi della CBS, dove i giornalisti fanno ancora i giornalisti.
Si parlava di delocalizzazione della produzione e un esperto spiegava come era cominciato il problema dei falsi cinesi.
Quando gli imprenditori europei e americani scoprirono che i cinesi si facevano un culo così a lavorare 25 ore al giorno per un piatto di riso scotto, si fregarono le mani e cominciarono a farsi fabbricare le loro cianfrusaglie, comprese quelle di lusso, da loro.
La maglietta, ad esempio, a loro veniva a costare 0,1 e la potevano rivendere a 10 se era una maglietta del cavolo, a 100 o 1000 se l’aveva firmata qualche stilista.
Ad un certo punto i cinesi si guardarono negli occhi a mandorla e dissero: “Se una parte di questa roba ce la vendessimo per i cavoli nostri?” Copiarono i modelli, li realizzarono con materiali più scadenti ed entrarono anche loro in concorrenza, come vorrebbe il galateo del libero mercato. Solo sulla carta però, perché gli onesti imprenditori occidentali, vedendo che le copie quasi identiche dei loro prodotti arrivavano sulla piazza ad un decimo del loro prezzo cominciarono ad urlare e a gridare alla concorrenza sleale. I cinesi si accontentavano di guadagnare meno, tutto lì. Le cose stanno cambiando anche per loro adesso, con il risultato che pur mantenendo il prezzo sempre più basso del nostro calerà ancora di più la qualità dei loro prodotti. Il capitalismo moderno è una malattia altamente contagiosa.

Riformulo la domanda per non perdere il filo: se io acquisto una maglietta Nike fabbricata in Cina o Thailandia perché là il signor Nike la paga meno e ci lucra l’inverosimile, come faccio a sapere se è vera o falsa? La roba firmata che c’è nei negozi e che io alla fine pago comunque per vera è vera o tarocca? E’ vera perché è approvata dal marchio (finchè magari non succede un pasticcio come a Wal-Mart) ma in fondo esce dalla stessa fabbrica che forse produce quella falsa e quindi?

Se vogliamo capirci ancora meglio vi rimando ad un capitolo di “Gomorra” di Saviano, quando lui parla di come il Sistema lavora per l’alta moda.
Dei grandi stilisti, li chiameremo Pinco & Pallino devono realizzare gli abiti di una collezione. Scendono in Campania dove operano le mille fabbrichette associate al Sistema e indicono una gara d’appalto. Chi mi fa il prezzo migliore e mi realizza i capi in meno tempo avrà la commessa. Arrivano con le stoffe e tutto e in abbondanza. Chi vince la gara potrà tenersi il materiale eccedente e con esso realizzare dei capi perfettamente identici agli originali ma in realtà teoricamente falsi, che potrà rivendere nei negozi affiliati al Sistema, cioè, per usare il termine più conosciuto, alla Camorra. E’ proprio il caso di dire che pagano il pizzo, ed anche il velluto e il cachemire.

Il marcio non c’è solo in Danimarca, come diceva Shakespeare, purtroppo. L’invasione dei falsi è il prezzo che le grandi marche pagano per poter continuare a guadagnare oltre ogni misura su un oggetto che deve costare sempre meno alla fonte e sempre di più all’utente finale.
Il signor Mattel, il paraculo, sapeva benissimo che i giocattoli costavano a lui così poco perché erano fabbricati con materiali scadenti e purtroppo per noi consumatori, tossici, e lo sanno anche i signori Nokia che si ritrovano ora con le batterie dei cellulari che si scassano a milioni. E’ la globalizzazione, bellezza.

mercoledì 15 agosto 2007

L'Inghilterra è il paese che amo

Senza la sanguinolenta regia di Mel Gibson ma con la Canalis nei panni della Maddalena ripudiata (che signore il Rossi, le ha praticamente dato della zoccola in mondovisione e l'ha rinnegata come Pietro), va in onda in prima serata "La Passione di Valentino". Crocifisso per noi in remissione delle nostre tasse di bustepaghisti. Immolato sull'altare del Fisco e preso a pietrate come un'adultera. Costretto perfino ad andare al TG a difendersi a reti unificate, come un bottegaio di Voghera qualsiasi.

Oltre ad una Passione è anche una specie di discesa in campo ma questa volta è l'Inghilterra il paese che l'unto del Motore ama.
L'Eccehomo si difende a marmitta tratta e non ha nemmeno bisogno della calza sulla telecamera, ha il ricciolo ribelle che fa tanta simpatia. Non saranno i proclami di Bin Laden dai monti dell'Afghanistan, ma almeno in questo caso la cassetta è vera.
Il succo del discorso dello stigmatizzato è: che si mettano d'accordo Visco e James Bond se vogliono che paghi le tasse, a me chemmefrega.
Che saranno mai 112 milioni di euro poi, se li ho spesi tutti in bombette, impermeabili Burberry's e ci faccio la spesa da Harrod's. Guarda, ho pure le tazzette con il Dodi e la Diana, te le regalano con i punti.
Chi è più inglese di Valentino? Proviamo a fargli declinare qualche verbo irregolare? Ai em e londonir, ai liv in ze senter of ze siti, ze chet is on ze teibol. Boia d'un mond lèder.

Della galanteria riservata alla Canalis ho già detto. Forse dimentica che si chiama Elisabetta, come Sua Maestà. Il suo commercialista non deve averglielo ricordato. A proposito, conosco commercialisti molto più bravi del suo, se vuole gli faccio qualche nome. Magari quando passa dalla Romagna per andare a casa sua. Prende l'A14 a S. Lazzaro, esce a Paperopoli e prima di imboccare la deviazione per Londra gira per Tavullia nel Derbyshire, è facile.

lunedì 13 agosto 2007

La nuvola di Lameduck

Due anni di seguito non può essere un caso. Scegliere come luogo di vacanza la Val di Sole e vederla tramutarsi nella Val di Pioggia quattro giorni su sei, con gli indigeni che cominciano a guardarti male, devo ammetterlo, non è da tutti.
In questi casi di solito, per consolarti, ti dicono: "pensa allora a quelli che erano al mare".
Sinceramente, che piova in montagna o al mare quando sei in vacanza e ti aspetti un po' di bel tempo è una enorme, implacabile e continuata rottura di maroni.

Il tempo si è sistemato verso la fine della settimana ma di passeggiate lunghe non se n'è parlato. Il massimo della trasgressione è stata una mezza giornata su a 1800 su un prato tempestato di bovini che si sono fatti docilmente fotografare. Bello il contatto con la natura e gli animali ma dopo un po', effettivamente, ti senti un pochino imbecille.

Se in montagna non fai passeggiate, che fai? Se sei in appartamento guardi la tv, giochi a carte, oppure esci lo stesso con l'ombrello per dedicarti allo shopping. Dopo aver fatto incetta di grappe e formaggi da portare agli amici e ciondolato negli unici centri commerciali disponibili per trovare i quali sei disposta a fare chilometri, e ti riduci perfino a fare uno squallido giro all'unico LIDL della vallata, non rimane che andare a mangiare.
Qui sono dolori perchè il cibo di montagna è pensato per riempire di calorie organismi stremati dal freddo invernale e anche d'estate in Agosto è difficile scansare l'onnipresente polenta e cervo o i leggerissimi "piatti del boscaiolo", buoni ma terribili. Per la modica spesa di 16 euro ti portano un tagliere di legno che contiene tutte assieme le seguenti sostanze detonanti: crauti, polenta, formaggio di malga fuso, fagioli, wurstel e spezzatino di cervo. Facile immaginare le conseguenze a breve e lungo termine di una simile mistura di potenziali armi chimiche.

Un altro classico delle giornate di pioggia in vacanza è la deriva culturale con l'inevitabile visita al museo. Ci siamo fatti una cinquantina di chilometri per tornanti fino a Bolzano perchè ci è venuto l'uzzolo di andare a vedere Ötzi, l'Uomo di Similaun. Un'ora di fila fuori, per fortuna graziati dal sole appena spuntato dalle nuvole e otto euri di biglietto a cranio per ritrovarsi di fronte ad un enorme frigorifero con oblò dal quale è possibile sbirciare nella penombra, per meno di 15 secondi netti altrimenti quelli dietro ti menano, l'omarello rinsecchito da 5000 anni di mummificazione. Posso dirlo? Una delusione e tre quarti.
Si, bella la ricostruzione del berretto di Ötzi, della giubba di Ötzi, nella scarpa di Ötzi, dell'ascia, della faretra e di tutto l'armamentario che gli hanno trovato attorno sul ghiacciaio. Alla fine con Ötzi di qua e Ötzi di là, le tazze e il calendario con Ötzi e le gambe che ti fanno male per essere stata un'ora in piedi ne hai una borsa così.

Sono già tornata al duro lavoro ma non mi lamento. Forse, se la nuvola anomala di Lameduck si distrae e ritorna a seguire Fantozzi come da tradizione, il giorno di Ferragosto per me ci sarà il barbecue in campagna via dalla pazza folla e domenica me la passerò al mare a sbafo da una zia ricca che staziona in un hotel da 200 euro al dì. Hasta l'aragosta siempre!


Altro pezzo anni '60 in omaggio, che i cinefili tarantiniani riconosceranno subito. Non c'entra un piffero nè con la montagna nè con le mummie ma ve lo propongo lo stesso perchè mi piace e poi mi fa impazzire l'uomo in primo piano che non sa dove tenere le mani. Provate voi ad avere una biondona che vi shakera il sederone a pochi centimetri dalle parti intime e a tenere i tentacoli a posto. Ma li avrà ascoltati poi Dick Dale & The Del-Tones?

venerdì 3 agosto 2007

Aiuto, mi hanno tolto la corrente!

Nello splendido film "Ultimatum alla Terra" del 1951, Klaatu è un alieno venuto sul nostro pianeta per ammonire l'Umanità a non perseverare sulla strada della proliferazione nucleare e dell'autodistruzione. Lui tenta di ragionare con i terrestri ma è tempo perso, tra una pallottola e l'altra e capisce che l'unico modo per farsi ricevere dai potenti della Terra affinché ascoltino il suo monito è questo: togliere l'energia al mondo per trenta minuti grazie ai superpoteri del suo terribile robot Gorth. Dopo il panico scatenatosi per il blackout mondiale, finalmente Klaatu sarà ascoltato, prima di tornarsene nello spazio siderale dal quale era venuto.

Parliamo pure di energia, quindi e di come ne siamo schiavi, al punto di andare nel panico appena ci tolgono la 220 di corrente. A me è successo oggi. Guasto nel quartiere e un paio di orette abbondanti senza luce.

In questi casi, dopo il giro rituale tra le vicine: "Ma tu ce l'hai la luce? No? Anche tu allora", detto con l'espressione sbigottita di chi ha subìto una perdita irreparabile, parte la ridda delle ipotesi sulla natura del guasto, che terminano di solito con la telefonata angosciata all'ENEL.
Il numero per la segnalazione guasti è stupendo. Fai il numero, scegli 1 e dopo un paio di secondi sanno già chi ha chiamato e dove abiti esattamente con precisione satellitare perchè la voce automatica ti dice che si, non rompere, sanno già che si è scassata la luce in Via Pincopallino e ci stanno già lavorando. Tu non hai aperto bocca, ha fatto tutto il nastro registrato. Ma come fanno!
Visto che la vocina ti ha detto che si prevede la luce torni alle 20,45 devi riempirti questo tempo con qualcosa di alternativo.

Per prima cosa mi hanno tolto il computer. E va bene, niente internet, niente blog e addio aggiornamento. Dovrei passare l'aspirapolvere ma ovviamente non posso, allora mi viene in mente che devo attaccare dei bottoni in una camicia da mesi.
Mi accomodo sul divano e prendo istintivamente in mano il telecomando. Per cosa, visto che del televisore non rimane nemmeno la lucina rossa dello stand-by? Ci vorrebbe un po' di musica di sottofondo: nisba. Si, c'è la radiolina a pile in bagno ma lasciamo stare, oltretutto pure quelle sono scariche. Che sarà mai dopotutto, gustiamoci questo insperato silenzio.

Finito il lavoro di cucito penso: ora che faccio? Sono già uscita, non posso fare una lavatrice di panni, non posso stirare, non posso usare il pc... quasi quasi mi faccio uno shampoo, avrebbe detto Gaber, oppure una doccia. Si, e con quale acqua calda, visto che la caldaia non va?
Apro il frigo per bere qualcosa e richiudo subito con terrore. Lo sanno tutti che quando c'è il blackout vige il "non aprite quella porta"! Io poi, nonostante fior di tecnici mi dicano che i surgelati possono resistere per più di otto ore, faccio molta fatica a fidarmi e la tentazione sarebbe di far partire un'epurazione di 4salti in padella e sofficini. Oggi resisto, voglio essere razionale.

Perchè non farci un post, su questo blackout? Che idea stupenda, un post sull'energia e la sua importanza nella vita quotidiana. Ho qualche ideuzza ma come la butto giù? Semplice: carta, calamaio e penna.
Che fatica, sembro Peppino quando deve scrivere la lettera alla malafemmena. Non sono più abituata a scrivere a mano anche perchè grazie alla tastiera riesco a scrivere di solito quasi alla velocità del pensiero che scorre e la penna riesce solo a tracciare degli sgorbi incomprensibili. Non sono appunti, ma una ricetta medica.

Intanto si è fatta ora di cena. Mi sono cotta un po' di pasta e la sto mangiando finalmente senza rodermi il fegato ascoltando il tg, in un silenzio conventuale.
In quel momento torna la luce. Non posso giurarci ma dal gruppo di vicine e casalinghe disperate che si sono raccolte in giardino mi pare sia partito un urletto di gioia.

Ho scritto il post ma non ho usato una virgola degli appunti che aveva preso Peppino. Proverò a farmeli decifrare domani dal medico di base. Sono così contenta che ho acceso tutte le luci di casa, solo per guardarmele tutte luccicanti. Che bella cosa il progresso!

mercoledì 1 agosto 2007

Moriremo capitalisti?

E’ un qualcosa che sappiamo tutti, di cui abbiamo piena coscienza, eppure la realtà circostante megafonata dai media ci ripete in continuazione che non è vero, che ciò che pensiamo è sbagliato. Mi riferisco al fatto di non credere che il sistema nel quale viviamo sia l’unico possibile e il migliore possibile.
Farò un paio di esempi così ci capiamo meglio, perché quando di parla della nostra vita bisogna parlare bovino e non difficile come i libri stampati.

Primo esempio: sto parlando con il tecnico riparatore della tv e lui mi sta dicendo che tra qualche anno il suo mestiere scomparirà. “Ma come”, dico io, “vuol dire che i televisori non si romperanno più?” “No, quando si romperanno si butteranno via e se ne compreranno dei nuovi”. Mentre lo dice nemmeno lui ne è tanto convinto e a questa idea anch’io istintivamente mi ribello. Faccio parte della generazione i cui genitori riciclavano gli abiti del figlio maggiore a quello minore, figuratevi, e chi non aveva fratelli come me li ereditava dai cugini.
Secondo esempio: mi domando perché non vi sia un servizio decente di autobus per andare al mare, visto che non ho la macchina. Risposta: non è conveniente perché tutti hanno la macchina e per pochi utenti il servizio costerebbe troppo. Di fatto io e magari tante persone non automunite, giovani e anziane, non possono andare al mare se non hanno qualcuno che li accompagni in macchina.

Sono esempi da tre soldi, forse stupidi? No, riflettendoci un attimo su, viene fuori che alla fine è la nostra libertà ad essere limitata.
Dove sta scritto che quando mi si rompe il televisore io non debba farlo riparare ma buttarlo, creando ulteriore monnezza difficilmente riciclabile e pure inquinante? Perché il tecnico riparatore deve scomparire, come scompaiono le sarte, i ciabattini, i falegnami, ecc.? Il motivo sta solo nel fatto che non si producono le merci che ci servono ma se ne producono sempre di più. Non è la domanda che crea l’offerta, ma esattamente il contrario.
L’autobus per il mare. I servizi non sono più considerati tali ma anch’essi devono produrre profitto. E’ così anche per i treni e i trasporti in genere. Visto che se solo dieci persone vanno al mare in autobus in un giorno d’estate loro non ci guadagnano, allora si elimina il servizio. Fare il ragionamento che forse se la gente avesse un servizio di trasporto pubblico decente lascerebbe a casa l’auto e diminuirebbe il traffico, no, non se ne parla nemmeno. Il sistema nel quale viviamo non brilla né per flessibilità di pensiero né per altruismo nei confronti degli utenti.

Se ascoltiamo i megafoni di regime che parlano per bocca di chi “ci guadagna”, ricordiamo bene le parole d’ordine: crescita, sviluppo. Il paese deve crescere, il PIL deve crescere, bisogna ampliare lo sviluppo.
Facendo un paragone biologico, un organismo cresce e si sviluppa ma ad un certo punto, raggiunta la fase adulta, si ferma e anzi, inizia a declinare progressivamente fino alla sua morte e distruzione.
Il qualcosa che si sviluppa in senso economico invece, il mercato, non si ferma mai e dovrebbe teoricamente continuare a svilupparsi all’infinito. Anzi, tutte le risorse disponibili, umane e non devono essere sacrificate a questo grande Moloch, lo sviluppo esponenziale.
Già qui ci rendiamo conto che siamo nell’ambito di qualcosa di contrario alla nostra natura biologica. Per parafrasare l’agente Smith di Matrix, quando parlava di Uomo e virus, c’è un’altra cosa che cresce in teoria in maniera inarrestabile: il cancro.

Questo sistema economico, che oltretutto ha già cominciato a distruggere la stessa economia per farne pura finanza, è un cancro che sta progressivamente distruggendo le nostre vite e, cosa ben più grave, il nostro ambiente. Vi pare un’affermazione troppo forte?

Ieri mi sono imbattuta per caso, leggendo questa intervista su Megachip con l’autore, nel pensiero di Serge Latouche, filosofo e teorico della decrescita.
Certo, come tutte le idee che tentano di immaginare un altro mondo possibile, anche il pensiero di Latouche si scontra con la fatale frase: “Va bene, e in concreto come lo cambiamo questo mondo?
Secondo lui c’è poco da attendersi dalla sinistra:
“La sinistra istituzionale è già una cosa di per sè non completamente chiara. La si può definire come quella parte politica che intende gestire l'economia e quindi la società in maniera magari diversa dagli ultra-liberisti, ma che vuole gestire il sistema, non cambiarlo o rimetterlo in causa.”
Quella che io definirei il capitalismo con l’anestesia.
Mi paiono interessanti anche queste sue altre riflessioni:
“Credo che bisogna abbandonare anche la problematica del "soggetto storico" che abbiamo ereditato dal marxismo. Ogni battaglia ha una fine. La lotta di classe oggi è terminata ed è il capitale che ha vinto. La globalizzazione è la manifestazione della sua vittoria: provvisoria ma incontestabile. Ci sono due maestri tra le mie fonti d'ispirazione: Cornelius Castoriadis e André Gorz. Secondo loro il sistema capitalistico si autodistrugge. Nessuno ha il potere di resistere alle multinazionali.
D'altra parte, non è ciò che resta della classe operaia che si farà portatrice del cambiamento, della "democrazia radicale". Anzi, gli operai sono a volte più reazionari degli industriali. È tutta l'umanità che è minacciata da uno sviluppo e da una crescita senza limiti quindi, potenzialmente, tutti possono essere i fautori della decrescita. “
Siamo quindi su un’astronave che si autodistruggerà prima o poi? Temo però anch'io che l’autodistruzione del capitalismo porterà con sé la distruzione del pianeta, specie se la mia metafora forte della neoplasia sarà valida fino in fondo.
Quando il cancro ha ormai invaso ogni meandro dell’organismo ospite, infatti, insorge la cachessia e quindi la morte dello stesso.
Possiamo restare fermi ad aspettare che il sistema crepi, e noi con lui, oppure dovremmo muoverci per cambiare le cose? A questo punto il problema è come.

Fino ad ora nella storia precedenti sistemi economici furono rovesciati da rivoluzioni, perchè furono pensati sistemi alternativi, giusti o sbagliati che fossero, e gli uomini si mossero.
L’unico vero movimento rivoluzionario che si intravede di questi tempi, il movimento antiglobalizzazione del quale Latouche è un esponente, dopo le mazzate di Genova si è ripiegato su sé stesso.

Come possiamo cambiare il sistema? Con forme di resistenza, dal rifiuto del consumismo (che però sarebbe efficace solo sui grandi numeri), al boicottaggio dei media tradizionali.
Oppure la grande rivoluzione potrebbe essere, come suggerisce Massimo Fini nel suo libro “Il denaro, sterco del demonio”, l’eliminazione del denaro dalla nostra vita, la sua abolizione? Se ci pensiamo bene potrebbe essere l’uovo di Colombo.
I finanzieri, privati del denaro non saprebbero come andare avanti, non sopravviverebbero. Noi gente comune potremmo sempre barattare cose, conoscenze, esperienze. In Argentina durante la crisi del 2001 si sono sperimentate forme alternative di mercato fondate sullo scambio di cose.
Dal mercato al mercatino, dite voi? Perché no? Pensiamoci, o vogliamo proprio morire capitalisti?