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domenica 9 gennaio 2011

Accordi e disaccordi



"[...] 3) Per quanto concerne i sindacati la scelta prioritaria e' fra la sollecitazione alla rottura, seguendo cioe' le linee gia' esistenti dei gruppi minoritari della CISL e maggioritari della UIL, per poi agevolare la fusione con gli autonomi, aquisire con strumenti finanziari di pari entita' i piu' disponibili fra gli attuali confederati allo scopo di rovesciare i rapporti di forza all'interrno dell'attuale trimorti.

Gli scopi reali da ottenere sono:
a) restaurazione della liberta' individuale nelle fabbriche e aziende in genere per consentire l'elezione dei consigli di fabbrica con effettive garanzie di segretezza del voto;
b) ripristinare per tale via il ruolo effettivo del sindacato di collaboratore del fenomeno produttivo in luogo di quella illegittimamente assente di interlocutore in vista di decisioni politiche aziendali e governative.
Sotto tale profilo, la via della scissione e della successiva integrazione con gli autonomi sembra preferibile anche ai fini dell'incidenza positiva sulla pubblica opinione di un fenomeno clamoroso come la costituzione di un vero sindacato che agiti la bandiera della liberta' di lavoro e della tutela economica dei lavoratori. Anche in termini di costo e' da prevedere un impiego di strumenti finanziari di entita' inferiore all'altra ipotesi." 
(Piano di Rinascita Democratica 1982 - Pubblicato in: Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2 IX Legislatura Allegati alla relazione serie II: documentazione raccolta dalla Commissione Volume terzo Documenti citati nelle relazioni Tomo VII-bis, Doc. XXIII n. 2-uater/3/VII-bis, pp611-625.)


Ho citato in apertura il Piano di Rinascita Democratica perché fa sempre piacere leggere i consigli dei gran cattivi maestri ed accorgersi di come essi siano ascoltati e messi in pratica dai muratorini al governo e relativi compagni di merende.

Tornando all'attualità, mi sono letta il testo dell'accordo separato di Mirafiori, quello che dovrà essere sottoposto a referendum presso i lavoratori la prossima settimana.
L'ho letto non senza fatica perché anche aziendese e sindacalese sono linguaggi atti a confondere, a far capire il meno possibile del contenuto che esprimono, specialmente a coloro ai quali il discorso si indirizza e che ne vivono le conseguenze sulla loro pelle. Sentito come era chiaro e comprensibile invece il verbo del gran maestro?
Che poi uno si domanda se i sindacati che hanno già firmato "à la Napolitano" tutte le pagine del contratto capestro, si siano resi conto veramente di ciò che andavano a sottoscrivere e se quelli della FIOM sono solo dei guastafeste che vogliono impedire a Marchionne di vendere le sue cavolo di Panda anche ai marziani (che non vedono l'ora di guidarne una disegnata da Lapo), oppure sono gli unici rimasti nel fortino a difendere i diritti dei lavoratori.
Non entro nel merito delle questioni specifiche e tecniche, non avendone la competenza, voglio dare solo un giudizio sull'accordo basandomi sull'impressione che ne ho ricavato.

Non so, questo tono da caserma, da colonia penale, questo puntare sulla lotta all'assenteismo per malattia degli operai come fosse quello l'unico problema che impedisce a Marpionne di saturare il mercato mondiale non lasciando che le briciole agli altri produttori di automobili, beh, mi ha fatto un'impressione da capitalismo molto vecchio stampo, anzi proprio vecchio, con tracce di padronato delle ferriere e un retrogusto di autoritarismo fascistoide da "in questo locale non si parla di politica, si lavora".
"Dal luglio 2011 se non si sarà raggiunto un livello di assenteismo inferiore al 6% medio (adesso è all'8%) i dipendenti che si assenteranno per malattie brevi (non oltre i 5 giorni) a ridosso delle feste, delle ferie o del riposo settimanale per più di due volte in un anno non avranno in busta pagato il primo giorno di malattia. Dal primo gennaio 2012 se l'assenteismo non sarà sceso sotto il 4% i giorni di malattia non pagati saranno i primi due (l'Inps infatti paga solo dal quarto giorno mentre i primi tre sono a carico dell'azienda)."
E' un accordo che ripropone un modello di rapporti tra lavoro e capitale come erano non già nell'Ottocento avanzato delle prime lotte operaie ma agli albori della rivoluzione industriale. E che fa capire quale sia l'atteggiamento dei "padroni", tocca chiamarli di nuovo così, nei confronti del mondo del lavoro.
I lavoratori sono dei sottomessi, delle sottospecie di umani che invocano diritti ma dovrebbero capire che sono solo marxianamente "appendici di carne di una macchina d'acciaio" e che quindi non rompano i coglioni.
Leggersi, in proposito, la filosofia del nuovo sistema ergonomico ERGO UAS che sostiene come la produttività di una fabbrica sia legata al fatto che l'operaio non debba fare più di dieci passi lontano dalla sua postazione per andare a prendersi un attrezzo  e che Marchionne vuole introdurre a Mirafiori. Non sto scherzando, anche la riduzione delle pause va nella direzione di inchiodare l'operaio alla linea di montaggio per produrre, produrre e produrre.

Ma produrre cosa? Sembrerebbe che la FIAT avesse milioni di auto da consegnare in tutta fretta, perché già prenotate da milioni di clienti, compresi i marziani, e che il consegnarle in tempo fosse ostacolato solo dal fatto che gli operai italiani invece di lavorare stanno a grattarsi la minchia.
Le cose stanno però diversamente. Come dice la  lettera che 46 economisti italiani hanno inviato per solidarietà alla FIOM:
"Nel 2009 la Fiat ha prodotto 650 mila auto in Italia, appena un terzo di quelle realizzate nel 1990, mentre le quantità prodotte nei maggiori paesi europei sono cresciute o rimaste stabili. 
La Fiat spende per investimenti produttivi e per ricerca e sviluppo quote di fatturato significativamente inferiori a quelle dei suoi principali concorrenti europei, ed è poco attiva nel campo delle fonti di propulsione a basso impatto ambientale. 
A differenza di quanto avvenuto tra il 2004 e il 2008 – quando l’azienda si è ripresa da una crisi che sembrava fatale – negli ultimi anni la Fiat non ha introdotto nuovi modelli. Il risultato è stata una quota di mercato che in Europa è scesa al 6,7%, la caduta più alta registrata nel continente nel corso del 2010."
Colpa dei turnisti lavativi che perdono tempo in bagno e a fare jogging in reparto per andare a prendere una pinza o colpa di un'azienda che ha la mentalità della fabbrichetta dell'Ottocento con gli operai che devono essere bastonati ogni giorno, loro sanno perché? Un'azienda che non è capace di rinnovarsi e non trova di meglio da fare che prendersela con gli operai della sua inadeguatezza?
Non sono bastati neppure gli aiuti statali per costringerli a pensare un'auto decente. Prendo ancora in prestito dagli economisti:
"A dispetto della retorica dell’impresa capace di “stare sul mercato sulle proprie gambe”, va ricordato che la Fiat ha perseguito questa strategia ottenendo a vario titolo, tra la fine degli anni ottanta e i primi anni duemila, contributi pubblici dal governo italiano stimati nell’ordine di 500 milioni di euro l’anno
Alla FIAT però bisogna riconoscere un merito:
"Al tempo stesso, tuttavia, nel terzo trimestre del 2010 la Fiat guida la classifica di redditività per gli azionisti, con un ritorno sul capitale del 33%. La recente divisione tra Fiat Auto e Fiat Industrial e l’interesse ad acquisire una quota di maggioranza nella Chrysler segnalano che le priorità della Fiat sono sempre più orientate verso la dimensione finanziaria, a cui potrebbe essere sacrificata in futuro la produzione di auto in Italia e la stessa proprietà degli stabilimenti."  
Ah, vedi che stiamo arrivando al punto? Non sarà che  Marchionne non è altri che uno di quei supermanager che cominciano presto, finiscono presto e di solito non puliscono il water, bravi soprattutto a mettersi da parte le stock options (un centinaio di milioncini fino a questo momento) e che guadagnano per questo di solito cifre assolutamente spropositate, centinaia di volte superiori a quelle che guadagnano quegli operai che pretendono di vessare? 
Non si era detto che questo tipo di gestione dell'economia reale da parte dei supermanager vampiri è quella che ha provocato l'attuale crisi e che fino a che non sarà abolita la finanza, demolita la Borsa e si sarà ritornati al reale economico lasciando il virtuale finanziario ai videogames, non ci sarà economia sostenibile?

Diciamo infine qualcosa anche sulla presunta grande operazione FIAT-Chrysler, che ha entusiasmato fino all'orgasmo i media nostrani.
La Chrysler è una azienda in bancarotta controllata, che ha avuto finanziamenti dal governo americano nell'ambito di un piano di rientro nel mercato con nuovi prodotti ed investimenti. La FIAT non controlla la maggioranza delle quote, che invece, per il 55% appartengono al sindacato dei lavoratori UAW.
Come ha scritto Eugenio Scalfari:
"Chi è il padrone di Marchionne? O meglio: chi è il padrone del gruppo Chrysler-Fiat di cui Marchionne è il manager? Il padrone, cioè il proprietario, è il sindacato dei lavoratori Chrysler, che possiede la quota di controllo del capitale attraverso il suo fondopensione. 
Hanno ridotto a metà i loro stipendi, i lavoratori Chrysler, ma l' azienda è loro. Se torneranno al profitto saranno loro a disporne. Il proprietario Fiat, specie dopo lo "spin" del gruppo, è un proprietario simbolico sulla via del disimpegno.
In Germania la Volkswagen è una "public company"e le banche che la finanziano sono controllate dai "lander". In Francia la Renault è dello Stato francese. I lavoratori italiani non hanno fondi-pensione, le loro pensioni sono nelle mani dell' Inps. Volendo, l' Inps potrebbe controllare la Fiat investendo nel capitale una parte del fondo pensione dei lavoratori. Allora la Fiat avrebbe un nuovo padrone, con Marchionne alla guida imprenditoriale. 
Chiedetevi, a questo punto, qual'è il peso dei lavoratori italiani nel mondo della produzione? I lavoratori italiani non partecipano alla produzione, non ricavano profitti, sono solo minacciati nei loro diritti. Sono considerati dei nemici invece che una parte fondamentale della produzione.
L'Italia del nano che delira di terze gambe invece di pensare alla realtà dei pisellini mosci, è un paesello delle ferriere, assomiglia ad uno staterello sudamericano con i latifondisti cattivi e che, grazie anche a queste pensate ergonomico-marpionnesche, sta salendo sulla Freccia Rossa che lo condurrà a 200 all'ora indietro nel feudalesimo.

Sapete come andrà a finire? Che Marchionne, per non farsi inseguire dai sindacalisti americani con la chiave inglese in mano, che vogliono indietro i loro soldi, dovrà sacrificare Pomigliano e Mirafiori. E magari, dopo aver raccattato ancora altre stock options, penserà ad aumentare il proprio peso in Chrysler piuttosto che a mettere a punto qualche macchinetta innovativa da far produrre in Italia.  Non dubitate un minuto su quale sarà la scelta del nostro tra America e Italia. L'Italo-canadese sceglierà l'America.
Intanto però, prima di aver succhiato l'ultima goccia di sangue all'economia italiana, avrà diviso quei sindacati molesti come auspicava Maestro Licio.
Un grosso favore ai governanti di centrodestra che vedono i comunisti camminare sui muri. Tanto l'opposizione, che ha smesso da un pezzo di essere opposizione, regge il sacco a chi comanda, a questi retrogradi padroni delle ferriere.
Non meravigliatevi neppure della Camusso che da ex capa FIOM dice che se vincerà il SI (di un referendum illegale) la FIOM dovrà accettare l'accordo. Dobbiamo essere contro l'accordo ma anche firmarlo.
A Veltroni fischiano le orecchie. E tu, Cipputi, comincia a tirarti giù le braghe.

18 commenti:

  1. BEEEEEH, BEEEEEH, BEEEEEEH, su pecorelle italiche, seguite il vostro Pastore, tutte in fila come cretinette una per una, giù nel burrone facendo tintinnare i campanellini appesi al collo. Oh, guarda! Un gregge di pecorelle spiaccicate! Che cretinette! Potevano guardare avanti... in fondo, la statura del Pastore non era tale da togliere la vista!

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  2. Maria21:20

    No, scusate, non vorrei scoprire l'acqua calda, ma se i sindacati nostrani (o almeno la Cgil) si mettessero d'accordo con i sindacati della Chrysler si potrebbe tratteggiare finalmente un'impresa a misura di lavoratore, oltre che a misura del mercato. E magari tagliare lo stipendio a Marpionne

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  3. ho le stesse tue impressioni su Pomigliano e Mirafiori, con in più il sospetto che la strategia di Marchionne mirasse a presentare condizioni inaccettabili per ottenere o il rifiuto con conseguente delocalizzazione o l'intervento pubblico per finanziare gli investimenti in Italia.
    Essendo italo-canadese ha sottovalutato il servilismo dei sindacati non FIOM e il terrore di banche e rentiers di essere cacciati dall'euro facendo cosa non grata a quelli che ci tengono per le palle (Francia e Germania).

    Ora voglio vederlo cacciare i soldi (degli americani...)

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  4. Anonimo09:47

    "dovrà sacrificare Pomigliano e Mirafiori"
    ho paura sia così,inoltre creare,dopo aver affossato la piccola e media impresa italiana,una sorta di "sudeuropeo"comprensivo di irlanda,portogallo,spagna,italia,grecia,paesi balcanici ed est europeo con manovalanza a basso costo dove le multinazionali saranno i veri governi.
    sudditi siamo e schiavi diventeremo.
    http://rossoallosso-lammazzacaff.blogspot.com/2011/01/il-colpo-di-stato-natalizio-di.html#links

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  5. Esiste da qualche parte in rete una ANALISI DIFFERENZIALE che mostri le sole differenze reali una volta firmato l'accordo ?

    Tutti esprimono opinioni, il testo dell'accordo è indigeribile, una seria analisi critica differenziale ancora non l'ho vista.

    Siamo al cipputi virtuale... l'avatarcipputi!

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  6. Rettifico, la FIOM ha illustrato un suo COMMENTO UFFICIALE SINTETICO all'accordo, ma è diciamo... un tantino... di parte

    http://www.fiom.cgil.it/auto/fiat/mirafiori/10_12_23-commento_accordo.pdf

    Resto alla ricerca di una analisi un po più imparziale e meno "colorita".

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  7. @ Marantz
    La lettera dei 46 economisti che ho linkato nel testo è abbastanza esplicativa del contenuto dell'accordo.
    Ad ogni modo e a grandi linee, vengono eliminate delle pause, aumentati i turni settimanali, eliminato il pagamento del primo giorno di malattia se uno si ammala a ridosso di una festività per più di due volte, vengono eliminati alcuni movimenti che l'operaio faceva per andare a prendere gli utensili e soprattutto, i sindacati che non accetteranno l'accordo non potranno avere voce in capitolo nelle prossime contrattazioni. Come dire che se la FIOM non firma non potrà più rappresentare i suoi iscritti all'interno della fabbrica.

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  8. Anonimo16:17

    @MaRaNtZ
    se cerchi qualcosa di imparziale non lo trovi,per il semplice motivo che di fronte all'allegato all'accordo che contiene questa clausola:

    "Il diktat di Marchionne, che Cisl e Uil hanno firmato, contiene una clausola inaudita, che nemmeno negli anni dei reparti-confino di Valletta era stata mai immaginata: la cancellazione dei sindacati che non firmano l’accordo, l’impossibilità che abbiano una rappresentanza aziendale, la loro abrogazione di fatto. Questo incredibile annientamento di un diritto costituzionale inalienabile non sta provocando l’insurrezione morale che dovrebbe essere ovvia tra tutti i cittadini che si dicono democratici. Eppure si tratta dell’equivalente funzionale, seppure in forma post-moderna e soft (soft?), dello squadrismo contro le sedi sindacali, con cui il fascismo distrusse il diritto dei lavoratori a organizzarsi liberamente"

    sei costretto per giustificarlo a cadere nella sovversione anticostituzionale,percui nessuno dei sostenitori ne parla apertamente.
    di fatto Marchionne sta attuando,saltando a piè pari il governo,un vero e proprio colpo di stato

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  9. Cara amica Lameduck,


    Vorrei che riflettessi un po' sull'articolo di Pansa che riporto sotto.

    Buona riflessione.

    Ciao Davide




    Voglio dirlo subito: sto dalla parte di Sergio Marchionne. Nella guerriglia verbale scatenata contro il leader della Fiat, so con certezza che ad avere ragione è lui. Lo so per un motivo molto personale: la mia età.

    Rispetto a tanti giornalisti giovani, assai più bravi di me, ho un vantaggio non da poco. Quello di aver visto e raccontato che cosa accadeva dentro e attorno alla Fiat negli anni Settanta. Quando il colosso dell’auto rischiò di morire sotto l’assalto delle stesse forze che oggi fanno di tutto per impedire a Marchionne di farlo vivere. Le persone non sono più le stesse, tranne in qualche caso. Gli anni passano per tutti. Qualcuno è scomparso, altri erano troppo giovani.

    Maurizio Landini, il segretario della Fiom-Cgil, nel 1970 aveva nove anni e faceva le elementari a Castelnovo nei Monti, il suo paese nel Reggiano. Giorgio Cremaschi, uno degli arrabbiati della Fiom, di anni ne aveva appena 22 ed era soltanto un allievo di Claudio Sabattini, detto il Sandinista. Susanna Camusso, oggi segretario generale della Cgil, era una quindicenne milanese, slanciata ed esile. Molti degli attori sono dunque cambiati, eppure lo spettacolo rimane il medesimo.

    È quello di una sinistra vecchia, capace di dire soltanto di no, che non si accorge di affogare nella propria cieca ostinazione. E tenta di fermare qualunque processo nuovo si sottragga al suo controllo. Tutta robaccia già vista negli anni Settanta. Tranne un dettaglio non da poco. Sulla scena manca, per fortuna, un protagonista sanguinario: le Brigate rosse, che allora sparavano, gambizzavano, uccidevano, al riparo di un ribellismo isterico.

    Per quel che mi riguarda, sono un vecchio signore con i capelli bianchi. Ma grazie a Dio sto ancora in pista. E rammento bene quel che accadde in quegli anni dentro e attorno alla Fiat. Un colosso sempre presente nei discorsi che sentivo in casa da ragazzino. Mio padre, un operaio del telegrafo, per indicare la Fiat diceva “la Feroce”, a causa dell’ordine rigido instaurato da Vittorio Valletta. Un mio zio, che lavorava all’Eternit, la fabbrica della morte, chiamava il Lingotto con il nome di un penitenziario in mezzo al mare: Portolongone.

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  10. Verso la fine del 1970, la Fiat era ben diversa dalla Feroce dei miei ricordi di bambino. Era diventata una gabbia di matti, ben rappresentata dallo stabilimento di Mirafiori. Lì non esisteva più nessun potere ordinato, ma soltanto un potere anarchico, sempre difeso dal sindacato. I piccoli capi venivano di continuo minacciati. Si sentivano dire: capo non rompere, sei un bastardo, un fascista, ti faremo sparare alle gambe e dovrai venire in fabbrica sulla carrozzina degli invalidi.

    Quindi si passava al corteo interno a Mirafiori. Perché fosse utile ai violenti della fabbrica, alla testa doveva vedere uno dei capi intermedi. Dopo averlo catturato in qualche reparto, lo costringevano a marciare davanti al gruppo. Con la bandiera rossa in mano, sputacchiato, vilipeso, malmenato. Il giorno che “Repubblica” mi mandò a fare un’inchiesta sulla Fiat, un caposquadra e un operaio con la tessera del Pci mi spiegarono che cosa era diventata Mirafiori. Una città nella città dove qualsiasi nefandezza sembrava lecita. Un immenso suk dove si smerciava di tutto, dalle sigarette di contrabbando alle scopate facili. Rimasi allibito: «Le scopate?».

    I miei testimoni mi risero in faccia: «Uno delle linee si prende i quaranta minuti di sosta tutti in una volta, si accompagna a un’operaia e chiavano tranquilli dentro un cassone o all’interno di una vettura non finita. Gli addetti alle pulizie trovano sempre preservativi usati e anche dell’altro». Il 21 settembre 1979, la colonna torinese delle Brigate rosse uccise sotto casa l’ingegner Carlo Ghiglieno, il responsabile della pianificazione del Gruppo auto. Diciassette giorni dopo, l’8 ottobre, la Fiat licenziò sessantuno operai, considerati tra i più violenti. La Fiom- Cgil e le sinistre, a cominciare dal Pci, insorsero contro questa rappresaglia fascista.

    Se un giornale o un cronista spiegava che tipi fossero quelli messi fuori, veniva subito bollato come servo dell’Avvocato. O come un venduto a libro paga dei due amministratori delegati: Umberto Agnelli e Cesare Romiti.

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  11. L’anno cruciale fu il 1980. La Fiat stava a un passo dal disastro. L’azienda chiese al governo di poter licenziare una quota dei dipendenti in esubero e di svalutare la lira, per non essere strozzata dal cambio con le valute forti e continuare a esportare le auto. Dalla Banca d’Italia, da tutti i partiti e da tutti i sindacati si levarono urla indignate. Il vertice della Fiat venne crocefisso. Ma non arretrò.

    Fu in quell’estate che Enrico Cuccia, il capo di Mediobanca, un signore di 73 anni, il regista della finanza italiana, si decise a fare un passo per lui inedito. Andò in auto a Torino e parlò a tu per tu con l’avvocato Agnelli. Lo informò che il sistema bancario era nel panico per i debiti della Fiat. Poi gli raccomandò, ma forse è meglio dire che gli ordinò, di passare il comando dell’azienda al solo Romiti. Un super manager di 57 anni, di grandi capacità e di collaudata durezza.

    La cura Romiti prese forma l’11 settembre 1980. Con l’annuncio che l’azienda era costretta a liberarsi di 14.469 dipendenti. Attraverso la procedura del licenziamento collettivo, prevista da un accordo siglato tempo prima fra la Confindustria e la Triplice sindacale. La reazione dei sindacati fu di un’asprezza mai vista. Iniziò subito il blocco di Mirafiori, i famosi trentacinque giorni di assedio. Il 24 settembre venne proclamato uno sciopero generale, da attuare il 2 ottobre. E il 26 settembre arrivò a Torino, davanti al cancello 5 di Mirafiori il segretario del Pci, Enrico Berlinguer.

    Da quel che ho saputo dopo, Berlinguer non era per niente d’accordo con il blocco della Fiat. Lo considerava una battaglia perduta in partenza. E non aveva nessuna voglia di muoversi dalle Botteghe Oscure per andare a Torino. Poi si rese conto che non andarci avrebbe leso la sua immagine di capo supremo della sinistra. E prese a malincuore quel maledetto aereo. Scortato dai dirigenti comunisti torinesi, Berlinguer si presentò davanti al cancello 5, ma lì per lì si rifiutò di arringare gli operai rossi che bloccavano Mirafiori.

    Tuttavia, non essendo né il Pontefice né un cardinale, non poteva limitarsi a una benedizione, con il braccio destro sostenuto da Tonino Tatò, la sua ombra inseparabile. Chiamato non a caso “suor Pasqualino”, un soprannome inventato da Alberto Ronchey per paragonarlo alla monaca occhiuta e invadente che governava Pio XII. Fu così che re Enrico disse parole che a molti cronisti, me compreso, suonarono incaute: «Se si arriverà all’occupazione della Fiat, dovremo organizzare un grande movimento di solidarietà in tutta l’Italia. Esistono esperienze di un passato non più vicino, ma che il Pci non ha dimenticato. Noi metteremo al servizio della classe operaia il nostro impegno politico, organizzativo e di idee».

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  12. Sette anni dopo, Luciano Lama, che nel 1980 era il segretario generale della Cgil e non voleva affatto l’occupazione della Fiat, mi raccontò il suo gelido colloquio con Berlinguer. Gli chiese: «Credi di aver fatto bene?». Re Enrico gli rispose: «In questo momento bisogna spendere tutto e dare ai lavoratori la prova che noi siamo con loro». Berlinguer scrutò la smorfia sul volto di Lama e si rese conto che doveva difendersi: «Guarda, Lama, io non ho detto che loro dovevano occupare la Fiat. Ho soltanto sostenuto che, se l’avessero occupata, il Pci sarebbe stato con gli operai».

    Però Lama era un romagnolo di Gambettola, provincia di Forlì. E non accettava di essere preso in giro. Replicò al segretario del suo partito: «Caro Berlinguer, la differenza c’è. Ma per chi ti ha ascoltato non è poi così grande». Il blocco di Mirafiori durò sino al 13 ottobre. Con un picchettaggio inflessibile, attuato anche con l’aiuto di tanti sindacalisti, in prevalenza della Cgil, arrivati a Torino da tutte le province del centro-nord. I picchetti restavano di guardia anche la notte, alla luce di un’infinità di fuochi. Una sera Romiti decise di andare a vederli, sia pure da lontano. Uscì di casa all’insaputa della scorta e, seduto nell’auto guidata da una signora della Torino bene, che tutti ritenevano la sua amica, si fece il giro di Mirafiori.

    In seguito mi raccontò: «I picchetti erano fatti da gente allegra, che si divertiva. Cantavano. Giocavano a carte. C’erano delle ragazze. Non mi sembravano persone alle prese con un dramma. Non erano di certo operai Fiat che in quel momento vivevano nell’angoscia di perdere il lavoro. Quelli erano i soliti duemila professionisti del sindacato, che recitavano una parte politica. Tornai a casa rincuorato. E pensai che forse le cose si sarebbero messe meglio per noi».

    Romiti aveva visto giusto. Il blocco di Mirafiori si dissolse di colpo il 14 ottobre 1980. Davanti al corteo dei quarantamila operai e impiegati della Fiat che volevano tornare al lavoro. Per il sindacato fu una sconfitta memorabile. Uno che se la ricorda bene è Piero Fassino: in quel momento aveva 31 anni ed era responsabile della commissione fabbriche del Pci torinese. Per questo Piero, uomo schietto, oggi dice: «Se fossi un operaio Fiat voterei sì all’intesa con Marchionne».

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  13. Davide,
    su cosa dovrei riflettere?
    Pansa scrive un articolo da vecchio dimostrando di non capire un cazzo della nuova politica industriale. Per cui, all'interno della discussione su Mirafiori, il tuo contributo è perfettamente inutile.
    Vallo a dire agli operai che saranno licenziati con la promessa di essere riassunti nella newco e che se lo vedranno arrivare nel culo a velocità supersonica. Quando ti licenziano ti licenziano e lo faranno con i più anziani, quelli che hanno famiglia. Fanno SEMPRE così. A me è capitato, sai?Licenzieranno soprattutto quelli che sono iscritti alla FIOM. E magari anche qualcuno della CISL e UIL che è vicino alla pensione.
    Tu e quei fighetti che non avete mai faticato veramente potete giusto leggervi i libretti di Sancho Pansa. Un po' di catena di montaggio vi farebbe tanto bene.

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  14. Cara amica Lameduck,


    "Tu e quei fighetti che non avete mai faticato veramente potete giusto leggervi i libretti di Sancho Pansa. Un po' di catena di montaggio vi farebbe tanto bene."

    Biricchina!

    Ciao Davide

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  15. Adetrax00:04

    Che poi uno si domanda se i sindacati che hanno già firmato "à la Napolitano" tutte le pagine del contratto capestro, si siano resi conto veramente di ciò che andavano a sottoscrivere ...

    Certo che sono consapevoli, ma il fatto è che la perdurante crisi economica, la scadenza dei periodi di cassa integrazione, il confronto fra il costo di un operaio italiano e quello di uno delocalizzato e molti altri fattori (e pressioni) li hanno probabilmente convinti che la questione era un po' più rischiosa del solito e si sa che il rischio non è bello quando può essere pericoloso.

    Semmai bisognerà sorvegliare l'applicazione degli accordi perchè i giochetti societari che distinguono fra good e bad company (in stile Alitalia) sono sotto gli occhi di tutti da anni.

    Leggersi, in proposito, la filosofia del nuovo sistema ergonomico ERGO UAS ...

    Ecco, di questo ne abbiamo già accennato in precedenza, il richiamo al caso Porsche (risolto negli anni '90 dall'intervento di consulenti giapponesi) e del relativo Toytismo non è nient'altro che il risultato dell'applicazione dei principi giapponesi legati al lavoro di fabbrica, ovvero quelli della riduzione del "muda" e dell'esaltazione del "kaizen".

    Ad es. se per un'operazione si fanno 7 passi in più rispetto allo stretto necessario, quei passi (ovvero il tempo e le energie spese in più) sono "muda"; non attuare il miglioramento continuo significa andare contro il kaizen e questo "è male" (poi qui si potrebbe aprire un discorso a parte sulle ideologie che potrebbero nascondersi dietro a certi concetti).

    Seguendo il kaizen, in alcune fabbriche giapponesi, coreane, ecc. si arriva a trasmettere una particolare musica che favorisce la concentrazione e i movimenti ripetitivi e semi-robotizzati degli operai.

    L'applicazione ferrea dei sopracitati principi ha trovato terreno fertile nella mentalità giapponese ma le idee di questi principi non sono nate esattamente nella società giapponese, diciamo che dopo la seconda guerra mondiale un forte suggerimento e incitamento è arrivato dai soliti noti.

    In ogni caso dipende tutto da come si interpreta questo processo e dalle sua impreviste ricadute sugli ambienti collegati alle grandi aziende, vedasi la seguente intervista:

    http://www.businessgentlemen.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1428:il-dna-porsche-a-disposizione-delle-imprese&catid=22:focus-imprese&Itemid=44

    Sembrerebbe che la FIAT avesse milioni di auto da consegnare in tutta fretta ...

    Come è già stato detto, il gruppo Chrysler-FIAT deve arrivare al più presto a vendere 5-6 milioni di auto all'anno altrimenti avrà gravi difficoltà (molto maggiori delle attuali e con le relative conseguenze) nei prossimi 8-10 anni.

    A questo si aggiunga il il fatto stra-noto che la FIAT ha oltre 4 miliardi di euro di debiti (storici) che deve restituire ai suoi creditori e proprio perchè ha ricevuto cospicui prestiti dagli USA (che deve restituire entro un tempo prestabilito), li deve utilizzare adesso o mai più per effettuare profonde ristrutturazioni che possano favorire quanto prima il futuro recupero dei sopracitati 4 miliardi.

    Circa l'aumento delle vendite, il sospetto è che l'idea sia quella di favorire la sostituzione di vecchie auto con quelle nuove (con tutto il relativo marketing) non solo e non tanto in Europa quanto anche nei paesi confinanti ed è per questo che la posizione geografica di certi stabilimenti ha la sua importanza.

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  16. Adetrax00:24

    Colpa dei turnisti lavativi che perdono tempo in bagno e a fare jogging in reparto per andare a prendere una pinza ...

    Lo vuole il kaizen (il lulz degli imprenditori), inoltre la tendenza all'aumento della produttività è un fenomeno globale e chi non la attua resta tagliato fuori; vedasi anche questo comunicato Porsche (che non è certo il primo di questo tono):

    http://www.porsche.com/italy/aboutporsche/pressreleases/pit/pressreleases2010/?pool=italy&id=2010-07-21-3

    A parte i numeri sulla produttività, ci sono altri fenomeni striscianti che possono nascere dalla deconcentrazione e dalla deresponsabilizzazione, ad es. quello delle difettosità causate da fattori umani (interruzione improvvisa del turno di lavoro, disattenzioni, ecc.).

    Un'azienda che non è capace di rinnovarsi e non trova di meglio da fare che prendersela con gli operai della sua inadeguatezza?

    Dunque effettivamente per un po' di anni l'azienda ha vivacchiato, ma ora si sta rinnovando, anche se con parecchio ritardo, includendo, grazie alla "newco" FIAT PowerTrain, anche il campo motoristico che sembrava essere stato dominato, almeno fino a 4-5 anni fa, da forti correnti ultra-conservatrici.

    (Purtroppo attorno al lavoro di FPT paiono permanere correnti di pensiero pseudo-markettare di bassa lega che privilegiano il "sound" "caciarone" del motore ad altri aspetti più seri e sostanziali ma questo, in parte, dipende anche da molti clienti che, lasciati allo stato brado, tendono, in generale, a privilegiare caratteristiche primitive o futili, piuttosto che ad esprimere preferenze per altre più evolute).

    In ogni caso, secondo il kaizen, l'innovazione deve riguardare anche e soprattutto gli elementi umani che non possono essere lasciati a sguazzare in comode posizioni lassiste.

    Non sarà che Marchionne non è altri che uno di quei supermanager ...

    Ovvio che si, poi se non ne approfitterà troppo, sarà tutta virtù; in ogni caso se ha tutte quelle stock option è perchè qualcun'altro gliele ha concesse; in questo, Italia e USA paiono avere nefastissime similitudini nelle relative consuetudini all'iper-guadagno oltre il lecito (chissà cos'altro hanno in comune).

    Chi è il padrone di Marchionne?

    FIAT ha già chiarito che la sua percentuale di quote in Chrysler aumenterà progressivamente nel tempo, ed entro 1-2 anni dovrebbe passare dal 25% a oltre il 50% (la cosa è legata al progressivo trasferimento di tecnologia da FIAT a Chrysler).

    Hanno ridotto a metà i loro stipendi, i lavoratori Chrysler ...

    Solo i neo-assunti hanno la paga dimezzata a 15-20 dollari/ora; i vecchi operai legati a precedenti accordi non hanno subito sensibili tagli e questa è in effetti una cosa un po' inusuale anche per gli ambienti USA.

    Chiedetevi, a questo punto, qual'è il peso dei lavoratori italiani ...

    Poco o niente, ma poi perchè dovrebbero accollarsi i debiti FIAT acquistando le relative azioni quando spesso finiscono con l'acquistare auto non FIAT ?

    (forse ora il fenomeno sta rientrando, ma alcuni anni fa la tendenza esterofila aveva assunto una certa rilevanza)

    L'Italo-canadese sceglierà l'America.

    Anche senza le americhe (nord e sud) c'è l'Europa, soprattutto quella dell'est, in ogni caso questa è un'ipotesi infausta che anch'io ho considerato possibile fin da quest'estate (data la zavorra costituita degli stabilimenti italiani), tuttavia, pur non conoscendo ma solo intuendo il background tecnico-politico-culturale che avalla o meno certe scelte e che cerca di mantenere in Italia i relativi centri di ricerca e sperimentazione, non credo che la cosa accadrà tanto facilmente senza un forte e più che prolungato tentativo di applicare a fondo il kaizen - o qualche suo parente prossimo - e qui si ritorna al concetto di recupero degli stabilimenti anarchici e dissipatori in stile "figliol prodigo".

    P.S.
    Attenti al "vitello grasso".

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  17. Chiedo scusa a Lameduck se mi intrometto, ma:
    Caro amico Davide, potresti evitare di postare per intero tutti gli articoli di Pansa e limitarti a scrivere il link come fanno tutti? Nel caso eviterei di girare per mezz’ora la rotellina del mouse, cosa che farebbe piacere assai – penso – a tutti i frequentatori del blog.
    Perché, semmai non ti sembrasse cosa ovvia, se voglio leggere Pansa, vado a leggere Pansa, e non vengo qui da Lameduck.

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  18. Caro amico Salazar,

    "Nel caso eviterei di girare per mezz’ora la rotellina del mouse,"

    Credimi, ti fa tanto bene far girare la rotellina del mouse.

    Ciao Davide

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