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mercoledì 5 ottobre 2016

Bowie IS

L'ultima immagine nota di David Bowie

Uno dei momenti per me più stranianti di questo 2016 rimarrà quando, lo scorso gennaio, lessi la notizia della morte di David Bowie e ne rimasi inaspettatamente sconvolta, vivendola con l'intensità emotiva che si prova per la perdita di una persona cara, di un fratello maggiore o, il paragone parrà azzardato e irrispettoso solo a chi non ne ha mai fatto esperienza, di quella del proprio adorato cane di casa. Càpita tutt'altro che di rado di soffrire di più per la morte di una persona vista una volta sola nella nostra vita o per noi fisicamente lontana ma culturalmente significativa che per quella di un parente di lungo corso, e non bisogna farsene una colpa. Un'amica di famiglia, gran signora romagnola argutissima trapiantata a Firenze, ebbe appunto il coraggio di confessare al suo parroco un grave peccato. Si era più dispiaciuta della morte della sua Tosca che di quella della suocera, per la quale non era stata capace di sciogliersi in lacrime come aveva fatto per la vecchia cagna. Il sacerdote sorrise e comprensivo la assolse.
E' così. Il dispiacere per la morte delle persone è come il coraggio, non ce lo si può dare per chi evidentemente non se lo è guadagnato e, a volte, ce lo si ritrova invece addosso all'improvviso e in maniera imprevedibile per chi, senza nemmeno averlo mai conosciuto, tanto ci ha dato attraverso i percorsi misteriosi della comunicazione creativa. E' questo il destino dei geni e degli artisti, soprattutto di quei pochissimi che rientrano in entrambe le categorie.
Conosco, per fare un esempio, chi non ha ancora elaborato, dopo quasi vent'anni, il lutto per la perdita di Stanley Kubrick ma, in quel caso, la spiegazione è che si tratta di un fan di lunga data. 

Madamina, il catalogo è questo.
Nel mio caso non mi ero mai considerata una fan conclamata del Duca Bianco, pur avendolo seguito durante tutta la sua lunghissima e multiforme carriera artistica. Evidentemente Bowie era diventato una parte silente di me che la sua morte ha slatentizzato. Fino ad oggi però ero rimasta come in sospeso, chiedendomi il perché di quel dispiacere così profondo, di quel senso di vuoto incolmabile.

Oggi, andando quasi in sindrome di Stendhal di fronte all'installazione dedicata a "Space Oddity", nella mostra "Bowie Is" al MamBo di Bologna, ho capito cosa avevo perso.
Non solo un altro pezzo della Musica che se n'era andata per sempre, di un altro modulo di HAL9000 che veniva disattivato, gettandoci nella pazzia dei tanti girogirotondi che ci vengono spacciati come musica e che molestano le nostre orecchie nei centri commerciali, nei ristoranti e nei luoghi pubblici. Musicaccia di merda, voci di immonde baldracche dai culoni pesanti che uggiolano per finta la loro inconsistenza, i loro versi selvaggi "Ooh, baby, ho, ho, ho, uh, uh" che servono solo a metterti fuori uso l'attenzione, altrimenti penseresti: "Un momento, che cavolo ci faccio io qui?"
Non solo la Musica, abbiamo perso con Bowie, ma un pezzo della Storia e della memoria culturale collettiva. Un pezzo di noi.
Tra parentesi, alla mostra oggi c'erano tanti giovani, non solo vecchi babbioni babyboomers come me.

Il senso di perdita, ormai è chiaro, nasceva dalla consapevolezza che colui che, come una spugna, era riuscito ad assorbire tutta la cultura del Novecento e ce l'aveva restituita, distillata in maniera purissima, attraverso la sua presenza, il suo Dasein e il suo inesauribile spirito creativo, avrebbe cessato per sempre di farlo.
Come non ci sarà mai più un film di Kubrick, non avremo più nemmeno un album di David Bowie. In tempi normali forse ci se ne farebbe una ragione ma, di questi tempi, in piena demolizione controllata di una civiltà, della nostra civiltà, è una tragedia. E' un mondo che scompare e che ci rendiamo conto solo ora di quanto fosse terribilmente meraviglioso, ricco, fantastico, colorato, psichedelico. Che se ne fotteva dell'austerità e dei trepercento. Che sperimentava, plasmava carta, stoffa, luci, suoni, colori e sembrava non dover mai esaurire la sua vena creativa se cadeva in mano ad artisti come David Jones, in arte David Bowie.

Bowie non era solo un cantante pop. La mostra ce lo rivela, attraverso testi, schizzi, oggetti, filmati, costumi di scena, un fine disegnatore e pittore (vedere il ritratto di sua madre e quelli su tela di Yukio Mishima e Iggy Pop), uno straordinario costumista, insomma un fottuto genio completo rinascimentale. Una persona coltissima e che regalava cultura a chi lo seguiva e riusciva a cogliere i suoi spunti.
Ho ripensato alla sincera pena che avevo provato per gli organismi monocellulari comunemente chiamati critici musicali che, alla sua morte, si erano divertiti ad imbrattarne la lapide con la loro insofferenza per la celebrazione corale e globale di uno dei maggiori artisti del Novecento. Ad esempio scocciandosi del fatto che il suo ultimo album fosse,  per la prima volta, primo in classifica.
Per tacere delle accuse di destrosità se non addirittura di nazismo all'uomo.
Avevo cercato di capirli, ormai disattivati per il bello com'erano, abituati invece al Jovanotti, alla Pausini, alle lagne stracciacazzi di Adele, alla canzonaccia perpetua di Ligabue, alle sguerguenze di Madonna, ai ragazzetti con il cappelletto all'indietro da far volare con uno schiaffo che imitano tutti Michael Jackson senza averne nemmeno un grammo del talento. Corvacci invidiosi di uno che non era mai stato grasso un minuto in tutta la sua vita.  

Quell'album con la stella nera era splendido e intollerabile come può essere solo l'esorcismo della propria morte attraverso la creazione, l'estremo tentativo di lasciare ancora qualcosa di sé ai posteri, sapendo. Il video di una delle canzoni, "Lazarus", con quel Bowie vecchio come non ce lo saremmo mai immaginato, terreo, rifinito e quasi sfigurato dalla malattia che alla fine sparisce chiudendosi in un armadio. Forse un portale verso un'altra dimensione dove lui c'è, ci sarà e ci sarà stato ancora. Il più esoterico e perturbante dei suoi album. Struggente ma potente come un Requiem.
Il Bowie attore interpretò Pilato nel controverso "L'ultima tentazione di Cristo" di Martin Scorsese, dove è presente una delle più impressionanti resurrezioni di Lazzaro del cinema con tanto di effluvi della putrefazione. E' stato anche un vampiro in "Miriam si sveglia a mezzanotte" di Tony Scott, il fratello raffinato e sfortunato del botteghinaio Ridley. E poi l'alieno che cadde sulla Terra, il re dei folletti, Nikola Tesla per Christopher Nolan, l'oggetto biondo del desiderio in "Furyo".

La mostra a lui dedicata che, nell'unica tappa italiana prevista a Bologna, è visitabile fino al 13 novembre (accorrete numerosi!) al MamBo di Via Don Minzoni (a meno di dieci minuti a piedi dalla stazione), è assai notevole e, pur non comprendendo l'ultimo periodo artistico di Bowie, forse per scelta, costituisce un'esperienza indimenticabile. Forse un tantino buie le sale, ma è un vizio di quasi tutte le mostre ormai. Spaziale il catalogo, contenente tutti gli oggetti esposti e che si avrà modo di riguardare con calma sfogliandolo a casa. Feticismo puro.

C'è una sala dove è esposta una teca con dentro un manichino che indossa una delle tute spaziali di Ziggy Stardust con una sorta di maschera mortuaria sul viso. Lì davanti a quel sarcofago - anche nel video di "Blackstar" c'è il teschio dell'astronauta - pensi che forse Bowie potrebbe essere stato veramente un alieno, sceso sulla Terra per raccogliere campioni di cultura umana da portare ai suoi simili a miracol mostrare.

Ecco, forse eravamo così abituati a considerarlo un alieno che avevamo cominciato a pensare che fosse anche immortale.




10 commenti:

  1. Guardati anche il documentario Five Years !

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  2. "come una spugna, era riuscito ad assorbire tutta la cultura del Novecento e ce l'aveva restituita, distillata in maniera purissima". Sintesi mirabile!
    L'allestimento audio-visivo è pazzesco e per chi l'ha seguito (anche non da fan accanito) è veramente emozionante, anche se un velo di tristezza alla fine ti assale, proprio al pensiero che non avremo mai più un suo album, come anche un film di Kubrick.
    Confermo: Five Years da non perdere.

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  3. Andrea Randi09:28

    Cara Barbara, alla notizia della sua morte ho avuto la tua medesima sensazione, me ne sono stupito: Ziggy, morto come un terrestre qualsiasi... mi sono spiegato questo senso di delusione pensando che era una leggenda già da vivo e già da un bel pezzo e in qualche modo la sua morte era solo un incidente di percorso in fondo irrilevante e che non era comunque in grado di toglierci la testimonianza di una vita giocata su registri superiori, di un uomo che nella sua eccezionalità era divenuto un pò meno umano. Resto dell'opinione che se non avesse fatto stravizi qualche centinaio d'anni di vita se li poteva ancora permettere.

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  4. Anonimo18:40

    Molto sentito come articolo.
    Mi chiedo solo come tu possa conciliarlo con tue precedenti affermazioni in cui, dialogando con Stallman ed altri a proposito della sgradevole kermesse che avete scambiato per satanica, sostanzialmente affermi che TUTTA la musica moderna è sostanzialmente una sorta di versione della Bibbia di Satana.



    Matteo

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    1. Quando l'ho mai detto questo? Odio la musica che passa per radio come hit del momento ORA, in questi anni, non la musica moderna, che comprenderebbe in teoria anche Strawinski.

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    2. Anonimo12:41

      Vatti a rileggere la discussione seguente l'articolo sul traforo e la manifestazione "satanica" (in realtà pessimo folklore) ivi correlata.

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    3. Anonimo13:19

      Ikkya, pure quando si parla der Duca Bianco troviamo appigli per litigare...

      Mk

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    4. Matteo, ho riletto i commenti al famoso post e ciò che ho detto è chiaramente che c'è stata una degenerazione "satanica", con qualunque significato tu voglia attribuire al termine, della musica commerciale. Ce l'ho con Beyoncé, non con Prince o James Brown. E si capiva benissimo.

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    5. Anonimo19:37

      @Mk
      Nessuno qui sta litigando.
      Si sta discutendo fra persone adulte e civili, senza che nessuno abbia trasceso in alcun modo, e sfido a dimostrare il contrario.

      @Barbara
      Allora non insisto.
      Dato che prima si parlava di Rock duro antisistema (mi piace questa definizione di Rombotti) pensavo che con il tuo post ti riferissi a quello.
      Evidentemente ho capito male io.
      Il che però ci porta sempre e comunque ad una sorta di cortocircuito.
      Bowie era nazista?
      Si.
      Era ossessionato dall'esoterismo, in particolare pagano?
      Si.
      Era sessualmente ambiguo e genderista?
      Si.
      Indi francamente non so che conclusioni trarre.


      Matteo

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  5. A me non ha mai fatto impazzire, ma credo sia dovuto al fatto che ero ancora un pischello e sbiellavo per gli AB CD (in verità crescendo ho capito che sbiellavo per Bon Scott, voce unica), e poi anche perché non reggo due uomini che si baciano (a dir la verità mi dà fastidio anche vedere due etero innamorati che si baciano. Se si è in pubblico è esibizionismo, e alla tv è essere guardoni. Mentre invece, la pornografia non implica "l'uso" dei sentimenti. Il vero guardone è quello che spia la persona in quanto tale, nella sua ontologia, nella sua complessità, sentimenti compresi, soprattutto. Trovo imbarazzanti quelle scene "d'amore" in quei film romantici nei quali ti viene svelata la complessità della vita di una persona, compresi i suoi momenti intimi. Non importa se sia una storia immaginata, in verità è sempre la vita di qualcuno).

    Ok, sono mooolto fuori tema, e si, lo so,...per alcuni sarei omofobo, ma per me è solo una questione viscerale e basta, baciatevi quanto vi pare basta che non veda.
    Resta che Bowie non si è impresso nei miei neuroni. Pur tuttavia avevo comprato un suo album; la colonna sonora dei junge berliner (che sarebbe un concerto al vivo se non sbaglio) che ho molto ascoltato.

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