Riprendiamo il discorso sui fautori dell'egualitarismo omeopatico, ovvero del "siccome la proprietà è un furto, allora te la rubo". Immaginate un mondo dove dominano le élite dei pochissimi ultraricchi che si struggono, non paghi di aver dichiarato terminata per KO tecnico la Storia, di invertirne il corso fino a riportarla ab origine ai suoi più oscuri trascorsi di diseguaglianza sociale.
Pensate insomma ad un mondo dove la lotta di classe rischia di essere vinta per sempre dalle teste che cercano da due secoli di riattaccarsi ai colli dai quali erano state mozzate in Place de la Concorde (cit.) e che si trovano inaspettatamente come alleate - ma tutto avrà un senso, se seguite il ragionamento - masse di nientedaperderisti volonterosi di prestarsi ad affossare le ultime sacche di resistenza borghese, credendo di farlo in nome della "rivoluzione proletaria" (inesistente) ed agendo invece per conto della rivoluzione elitaria, questa vera e pulsante come il mal di denti.
La borghesia, per fare un riassuntino lesto lesto, è quella che, si, ha creato l'orrendo sfruttamento capitalistico del bambino in miniera ma ha modernizzato il mondo, ha mandato avanti il progresso, ha liberato la scienza dalla gabbia dell'ascientificità del mondo teocratico, ed ha avuto soprattutto l'intuizione dell'egualitarismo, che ha permesso poi agli operai di emanciparsi e diventare anch'essi cittadini con pieni diritti grazie anche al sangue dei borghesi che hanno lottato al loro fianco per il principio di libertà ed eguaglianza. Quei diritti che i Renzi in delirio di onnipotenza pensano di poter toglier loro con un tratto di penna.
La borghesia non solo ha compiuto le grandi storiche rivoluzioni vittoriose (comprese quelle comuniste) contro le aristocrazie e il clero che aveva sempre fornito la giustificazione metafisica al primato del ricco sul povero, un "ce lo chiede Dio", per intenderci, propagandando le menate sulla virtù della morigeratezza e della continenza, ma solo per i poveri; ha rivendicato libertà ed indipendenze di interi popoli ma nel quotidiano ha soprattutto conquistato posizioni sociali, mettendo in discussione il principio che la ricchezza deve restare saldamente in pochissime mani.
Inevitabilmente le élite dovettero cominciare a condividere il posto in società con il salumiere, il ciabattino, il letterato, l'insegnante, il mercante e tutte le altre categorie che avrebbero composto la società moderna, fino all'inclusione, nella cosiddetta classe media novecentesca, di amplissimi strati di classe operaia ed impiegatizia.
La borghesia è riuscita a costruire una vita diversa per sé e per la propria discendenza e a reclamare benessere non solo per sé ma per le moltitudini di disperati abbandonati a loro stessi, visto che è stata talmente cogliona da preoccuparsi perfino dell'infelicità altrui e desiderare di alleviarla. Con quale riconoscenza lo stiamo vedendo.
La più grande intuizione del mondo moderno borghese è stata comunque quella che se distribuisci la ricchezza, non riuscendovi mai in maniera totalmente equa purtroppo, ma comunque la distribuisci, anche a costo di creare consumismo, il benessere generale cresce e abbiamo progresso sociale.
Infatti, invece di lottare contro la normale pulsione umana all'accumulazione dei beni non è più conveniente e logico volgerla a vantaggio del maggior numero di individui possibile, trasformandola in tendenza al benessere diffuso?
E' stata in fondo una conseguenza della rivoluzione industriale, di quando l'evoluzione del commercio su larga scala e la produzione intensiva hanno avuto bisogno di qualcuno che comperasse i beni prodotti. Quando esisteva ancora l'economia e non le riforme, vigeva il principio del più produci, più vendi, più guadagni, quindi si rese necessario allargare sempre più la platea dei consumatori. Oggi si direbbe: "creare moltitudini di debitori che vivono al di sopra dei loro mezzi:"
La borghesia ci ha dato infine, e scusate se è una cosina da nulla, la Democrazia, ovvero la partecipazione di tutti, uomini e donne, alla costruzione della società civile.
E' così che si è usciti dalla parte oscura del Medioevo, che piaccia o meno ai compagnucci della parrocchietta.
La diseguaglianza montante di questo nuovo millennio nasce dal fatto che le élite neoaristocratiche, che hanno sempre cercato di arrestare il Progresso, la corsa inarrestabile del mondo verso la Democrazia, ovvero verso il diritto di ciascun individuo di autodeterminare il proprio destino, modificandolo se se ne hanno le opportunità, anche in senso economico, elevando la propria condizione sociale, stanno colpendo la borghesia, che oggi comprende quella enorme classe media formata da ex emarginati della classe operaia ora portatori di un'eredità di benessere e prosperità frutto di anni di lotte e sacrifici, e lo fanno nel tentativo di fermare l'orologio della storia ed annientare l'unica forza rivoluzionaria in grado di fermarle.
Non bisogna meravigliarsi del furore che provocano in questi borghesi minacciati di retrocessione sociale certe proposte liberticide spacciate per socialismo, come la tassazione per principio e con volontà punitiva dell'eredità, pensate unicamente per colpire gli uni ed educare le centinaia.
Perché è egualitarismo, certo, ma verso il basso, di quello che mira a creare un 99% con tanti e tanti nove dopo la virgola da dominare con la frusta del negriero. Come ha detto qualcuno, commentando il mio post precedente, è come se ci dicessero: "Eliminiamo i vantaggi acquisiti ad ogni generazione, azzeriamo i contatori per farvi ricominciare ad assaporare la durezza del vivere".
Il furore nasce dal fatto che chi ha conquistato qualcosa con tanta fatica non ha alcuna intenzione di rinunciarvi e se si sente in pericolo di perderla diventa una belva. Si chiama difesa del territorio e funziona con qualsiasi specie animale, dall'anellide all'uomo. E' inoltre lo stesso principio per cui gli ultraricchi vorrebbero essere gli unici a possedere la ricchezza. Per questo chi non ha niente non può capire.
Chi sono infatti i nientedarperderisti del titolo? Quelli che non hanno niente da perdere. "Se non le proprie catene", come diceva Marx? No, lui era un borghese di merda ma odiatore della propria classe e i suoi peggiori errori furono credere che la rivoluzione l'avrebbero fatta i proletari e che il nemico del popolo, ovvero dei proletari, fosse la borghesia intesa come "tutto ciò che non è classe operaia". Per questo alla fine hanno finito per prevalere, anche nei paesi cosiddetti comunisti, le solite élite.
Quelli che non hanno niente da perdere perché non hanno proprio niente, soprattutto la percezione di non avere niente da salvare e niente da trasmettere ai posteri, quelli che "tanto, a me chemmefrega, non c'ho un cazzo in banca" sono i più socialmente pericolosi.
Sono pericolosi perché possono essere facilmente convinti che la proprietà è un furto e che loro sono onesti perché non hanno niente, sottintendendo che chi ha qualcosa è perché sotto sotto non se l'è guadagnata onestamente.
Pensate all'indottrinamento continuo sull'evasione fiscale come origine di tutti i mali. Evasione che non ha mai impedito la crescita del benessere fino a quando l'élite non ha preteso di sostituire le regole dello strozzinaggio alle normali leggi dell'economia.
Se siamo in territorio tedesco, questi parabolani della virtù della continenza li si può perfino convincere di essere ontologicamente superiori ad altri popoli troppo attaccati ai beni materiali, fino al punto di desiderare di vivere in una casa di proprietà da lasciare in eredità, orrore, ai propri figli. Tra parentesi, questi popoli virtuosi, morigerati e distaccati dai beni materiali, che vivono in affitto, che offrono una giustificazione, ohibò, etica al loro non avere niente da tramandare, se se ne dà loro la possibilità, riempiono i forzieri di beni sottratti agli altri, ai non virtuosi. A volte, per impeto, riempiono perfino stanze di pennelli da barba e occhiali. E, naturalmente, conservano al loro interno élite particolarmente rapaci come quelle di ogni latitudine, dimostrando che l'unica globalizzazione veramente e pienamente realizzata è quella dell'ultraricchezza.
I nientedaperderisti, una volta convinti che la proprietà sia peccato, diventano i migliori alleati delle élite in questo rush finale della lotta di classe, ovvero nella grande crociata contro la borghesia. Se si riesce a mettere il popolo sempre più impoverito ed affamato contro gli unici che potrebbero guidarlo nella ribellione e nella rivendicazione dei propri diritti, è fatta.
E' questione anche di numeri. Capite perché riempiono le nostre città di nientedaperderisti di importazione, incapaci di attaccare la vera ricchezza, quella di coloro che li arruolano, ma capacissimi di praticare la bassa razzia ai danni del bottegaio, dell'artigiano e del pensionato nella villetta? Quelli da educare. Un lento ma continuo attacco microcriminale alla proprietà privata attraverso il furto e il danneggiamento e un potere politico che, invece di difendere i suoi cittadini, li esaspera dichiarandone l'ineluttabilità e predicando l'accoglienza incondizionata, la condivisione con chi in fondo, cari bocconiani dei miei stivali, ha fatto ancor meno per meritarsi quei beni dell'erede legittimo di un babbo morto.
Guardate chi predica la cessione della proprietà altrui, ma solo di quella appartenente alla classe media. Sono signore dell'élite, tracotanti superbia nei confronti dei propri concittadini ma rigorosamente collocate a sinistra, dalla parte del "popolo".
Massacrare i propri concittadini, metterne in pericolo la sopravvivenza ma dichiararsi di sinistra. Professare un progressismo che è l'antitesi di quello vero, bestemmiandolo, è la nuova e più praticata perversione degli intellettuali, classe che ogni tanto nella storia qualcuno ha proposto non a caso di sterminare.
Per questo non possiamo più credere alla "sinistra", a Roma come ad Atene, ma solo difendercene. Sarà dura ma ce la faremo anche stavolta.