Credo che questa involuzione delle capacità linguistiche, a partire dalla semplice comprensione del testo, si possa imputare alla decennale colonizzazione culturale che ha portato con sé un certo puritanesimo, l'ossessione woke del "mi sento offeso per tutto", un atteggiamento depressivo in generale verso la vita, l'elogio dell'ignoranza di ritorno e una concezione utilitaristica del linguaggio che non deve essere sprecato per cose inutili ed improduttive come la creatività che si esprime anche nella metafora e nelle altre figure retoriche.
Il linguaggio figurato viene infatti utilizzato ogniqualvolta una parola viene usata come metafora, metonimia, sineddoche e antonomasia oppure quando l'intera frase crea un'immagine che, per associazione, rimanda al concetto che vogliamo esprimere ma in modo più vivido, con l'intento di colpire l'attenzione e stimolare l'immaginazione, facendo infine cogliere l'allusione voluta.
La scrittura creativa utilizza da sempre il linguaggio figurato per arricchire di immagini evocative il racconto, avvicinandosi così, nei casi più nobili, alla poesia. Il "si sta come d'autunno sugli alberi le foglie" di Ungaretti, che tra l'altro riprende la tradizione dell'haiku giapponese, forma poetica estremamente sintetica che restituisce un mirabile fermo immagine metaforico della realtà, trasmette il senso della precarietà della condizione del soldato in trincea molto più efficacemente di una sua eventuale più cruda descrizione.
Il linguaggio figurato che potrebbe sembrare una tecnica sopraffina e destinata solo alle forme più alte di letteratura, è in realtà la cifra della cultura popolare dei proverbi e dei modi di dire. Per fare solo un paio di esempi: "La gatta frettolosa fa i gattini ciechi" non parla di felini domestici ma della calma necessaria per conseguire degli obiettivi importanti. "Avere le farfalle nello stomaco" è un'ottima rappresentazione del turbamento anche fisico che si prova quando si è innamorati. Sperando che in tempi di alimentazione non convenzionale non diventi una frase di senso letterale.
Esiste un uso pedagogico del linguaggio figurato che è ad esempio la parabola, un intero racconto basato su analogie e metafore. L'amore di Dio per i suoi figli e la sua misericordia che li accoglierà sempre qualora ritornino a lui con vera fede e ravvedimento è narrata agli apostoli da Cristo con la parabola del "Figliuol prodigo". La parola di Cristo nel Vangelo è tradotta in una forma che si riteneva evidentemente più comprensibile alle genti del tempo ma anche a quelle future, perché la natura umana è propensa a fondere la parola con l'immagine, tanto che la dimensione simbolica del pensiero è non solo la più antica ma anche la più efficace a livello comunicativo, e lo sarà sempre. Gli uomini hanno sempre trovato più facile comunicare tra loro tramite le metafore; nascondendo divinità dietro a forme animali o fantastiche oppure umane ma in forma ideale. Un metalinguaggio primario dal quale tutto discende.
Il 27 gennaio è il compleanno di W. A. Mozart e, a proposito di metafore, mi piace ricordarlo con uno dei momenti che ho sempre gustato di più del film "Amadeus" di Milos Forman, che riprendeva una pièce teatrale di Peter Shaffer incentrata sul rapporto - più metaforico che reale - tra Mozart e il suo contemporaneo Antonio Salieri, visto come antonomasia del conflitto tra genio e mediocrità, tra santità e dannazione.
In questa scena del film, che riproduco qui sotto, Mozart si complimenta con Salieri dopo la rappresentazione dell'opera di quest'ultimo. Salieri gli chiede se gli sia piaciuta la sua opera e Mozart risponde con tre splendide e chiarissime anfibologie:
Mozart - "Non avrei mai creduto che si potesse scrivere musica come questa".
Salieri - "Vuole adularmi?"
Mozart - "No, no...
Nell'udire certi suoni uno può dire solamente: "Salieri".
Temo che un giovane o anche adulto di oggi rischi seriamente di credere invece che Mozart volesse veramente complimentarsi con Salieri lodando la sua opera. E magari, di fronte a qualcuno che volesse spiegargli l'anfibologia contenuta in quel dialogo, ne chiederebbe le fonti, accusando di complottismo chi cogliesse un doppio significato, un ambiguus che per altro si ritrova anche in frasi innocenti come "ho visto mangiare gatti".
Non stupisce quindi che ben altre anfibologie, non frutto della fantasia di un drammaturgo ma reali e di valore storico come quelle utilizzate da Benedetto XVI per "complimentarsi con Bergoglio" o trovandosi in stato di necessità poter solo alludere al proprio impedimento canonico senza dover mentire, non siano comprese o vengano liquidate come pure fantasie con pervicace ostinazione.
Come è avvenuto per l'arte, oramai dispersa nell'assoluta banalità dell'orrido, anche il linguaggio abbandona il figurativo dei geni creativi per una forma di astrattismo che è la celebrazione del nulla senza fine di un mondo destinato alla sterile mediocrità dei mestieranti.
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Il "papa" qui è Francesco, naturalmente. |