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Piano piano, unendo tutti i puntini, si incomincia ad individuare nel mondo cattolico uno schema che iniziò a delinearsi almeno da dicembre 2024, quando la salute di Bergoglio aveva iniziato a declinare tra ricoveri, sparizioni e riapparizioni a sorpresa - clamorosa quella in poncho, fino all'ultimo giro trionfale in papamobile proprio il giorno prima della scomparsa avvenuta il 21 aprile del 2025.
Uno schema che preparava accuratamente il dopo Bergoglio non come momento atteso di disvelamento della verità ma di occultamento e cancellazione definitiva di prove e costruzione di altre fasulle.
Di negazione dell'evidenza e di omertà assoluta sul segreto più inconfessabile della storia della Chiesa: la rinuncia nulla e invalida di Benedetto XVI e la sua sede impedita.
Il clima di timore reverenziale che ancora oggi Bergoglio ispira all'interno del Vaticano, destino affine a quello dei tiranni passati a miglior vita, dimostra che egli sembra essere rimasto "in forma diversa" a presidiare quello che fu per dodici anni il suo regno assoluto ed incontrastato. E ciò accade perché evocandolo continuamente come l'"amato predecessore" e l'"amato papa Francesco" di fatto non lo lasciano andare. Cosa inspiegabile perché oltretutto la folla dei fedeli, che è femmina, lo ha già sostituito con il papa americano.
Non guardate male i bergogliani, però, perché non sono loro a trattenerlo ma il variopinto mondo tradizionalista che sulla carta aveva osteggiato Bergoglio ma in realtà mai ha osato definirlo antipapa - che è termine tecnico, per altro, non necessariamente denigratorio, essendovi stati antipapi santi. Un mondo tradizionalista che ancora oggi infligge sonore bacchettate a chi osa ricordare come il buon papa Francesco fosse capace di azioni malvagie.
In effetti la scomparsa fisica di Francesco ha obbligato il clero conservatore ad uscire dalla zona di conforto che gli aveva offerto il papa eretico ma non troppo, ovviamente modernista quanto basta per poter continuare a fingersi tradizionalisti duri e puri, attribuendo ogni male più ai papi postconciliari che lo avevano preceduto che a lui, e con quel pizzico di zolfo che insaporiva il tutto rendendolo colpevolmente peccaminoso, restando su quel vertiginoso confine precario tra beatitudine e dannazione.
Bergoglio giustificava inoltre certe pretese di primogenitura e rivendicazioni di verginità teologica che poi, morto lui, sono inevitabilmente crollate nel bluff che erano sempre state. Vanità, attitudine al compromesso ed al voltafaccia, se non al tradimento vero e proprio, sono vizi clericali che l'antipapato di Bergoglio ha rivelato come il Luminol steso sulla scena di un delitto.
Se Benedetto XVI intendeva purificare la Chiesa, bisogna dire che Francesco ha svolto perfettamente il ruolo che gli era stato assegnato dal disegno divino.
Un timore reverenziale manzoniano nei confronti del risveglio della propria coscienza ha reso quindi di fatto gli autocertificati "veri cattolici" i migliori amici dell'usurpatore e i fedeli custodi del suo innominabile segreto e del relativo scandalo, ricoperto per dodici lunghi anni da un silenzio di piombo. E pensare che subito dopo il 2013 chiunque andasse per caso in Vaticano poteva trovare chi spontaneamente gli raccontava che il papa Benedetto XVI era "prigioniero" - condizione identificata in seguito da Andrea Cionci come sede impedita, e che "quello là" (Francesco) era un usurpatore vendicativo capace di licenziare in tronco i dipendenti solo perché erano stati fedeli collaboratori di Benedetto XVI e Giovanni Paolo II: facendolo con la stessa noncuranza con la quale avrebbe poi estirpato la vigna di Castel Gandolfo del predecessore, facendo piangere l'anziano Papa Ratzinger. Si, queste sono malvagità, reverendi padri.
Ebbene, venendo allo schema al quale mi riferivo all'inizio esso è ormai delineato da tutta una serie di manovre mediatiche, paradossalmente non di stampo bergogliano ma tradizionalista, tese a sigillare per sempre la verità sulla questione della sede impedita di Benedetto e dell'usurpazione del trono petrino, ricoprendola con un sarcofago di cemento pari a quello che racchiude il reattore esploso il 26 aprile 1986 a Chernobyl.
Hanno atteso il nuovo conclave ma, subito dopo l'elezione di Leone XIV, papa dubius in attesa di conferma o ribaltamento del risultato, si sono cominciati a notare, con progressione implacabile e tempistiche inequivocabili, una serie di riposizionamenti da parte di chi aveva pur appoggiato la rivelazione del vero significato escatologico e purificatorio del gesto di papa Benedetto XVI. Ovvero quello di porsi in sede impedita per continuare a fungere da katéchon e compiere un atto di riparazione per la Chiesa occupata dalle forze gnostiche che l'avevano profanata.
Come se lo scandalo dell'usurpazione del 2013 non fosse stato abbastanza grave, il fatto è che la scomparsa del katéchon a seguito della morte di Benedetto ne aveva creato uno ancora più grave, rappresentato dal silenzio della Chiesa sul fatto che il "papa" Francesco con il quale si celebrava in unione non aveva mai ricevuto il munus e tantomeno lo aveva avuto ora in eredità dal suo predecessore. Dal 1° gennaio 2023, chiunque esercitasse in pratica il ministerium, Francesco o un amministratore apostolico, il munus era comunque ritornato a Gesù Cristo e nessuno in terra poteva rivendicarlo.
E' questo il doppio scandalo e la vergogna che dovevano essere evitati da chi sapeva e probabilmente aveva sempre saputo, quindi era necessario demolire tutto l'impianto della sede impedita e tentare di ripartire dalle dimissioni di Ratzinger, validandole falsamente a posteriori per legittimare inevitabilmente anche Bergoglio. Tanto si sarebbe potuto sempre dire, come affermato dal cardinale Ruini in quest'articolo del 27 aprile 2025, che "Il pontificato di Benedetto XVI è stato insidiato dalla sua scarsa attitudine a governare". Il ritorno del Ratzinger sbadato e pasticcione che non passa mai di moda. Una catastrofe teologico-canonica paragonabile appunto al risultato delle manovre sconsiderate compiute dai tecnici della centrale che finirono per provocare l'incidente nucleare.
Tra i liquidatori della Chernobyl vaticana che si stanno sacrificando incuranti delle radiazioni provenienti dal nocciolo della quaestio che inevitabilmente esploderà comunque, o per la famosa "bomba di luce" della verità sulle dimissioni di Benedetto XVI o per l'emersione di rivelazioni devastanti su Bergoglio, una menzione particolare la merita mons. Nicola Bux, più volte definitosi collaboratore prima del cardinale e poi del papa Ratzinger.
Bux ha finalmente partorito in un libro a quattro mani con Vito Palmiotti intitolato "Realtà e utopia nella Chiesa" la famosa lettera ricevuta da Benedetto XVI nel 2014 da lui già sbandierata in diverse occasioni, ad esempio in un'intervista del dicembre scorso sul canale Visione TV, come prova definitiva dell'inconsistenza della tesi della sede impedita.
Lettera che, nonostante il sicuramente non spontaneo cancan mediatico e la relativa lapidazione di Andrea Cionci - unica voce rimasta a non riempire di improperi e sberleffi uno dei più grandi papi della storia e a volerne difendere la memoria del sacrificio, non contiene alcuna clamorosa rivelazione e si è già sgonfiata nel ballon d'essai che è evidentemente sempre stata.
Tuttavia, sempre nell'intervista del dicembre scorso di Toscano, mons. Bux non parlava di singola lettera sulla questione delle dimissioni ma di carteggio, ovvero di uno scambio di lettere con Benedetto sull'argomento e rivelava che anche mons. Viganò era al corrente del carteggio. Se di tale prezioso materiale è stata pubblicata solo una missiva dove non si parla affatto di abdicazione - al contrario di ciò che hanno titolato certe bettole di comari beghine, e che non dimostra assolutamente nulla, dobbiamo attenderci altre clamorose lettere ad orologeria in un inutile e snervante tira e molla teso ad allontanare invano l'esplosione del reattore o era tutto qui lo scoop talmente clamoroso da dover attendere la morte di due papi per essere divulgato?
Ah, se siete curiosi di leggere la lettera dovrete acquistare il libro, a proposito di "Cionci vuole solo fare i soldi con i libri".
Un'ultima nota a margine sul trucco mediatico di annunciare con i tromboni in un titolo un contenuto che poi non si riscontra nel testo dell'articolo. Lo fanno perché la gente si ferma al titolo. In secondo luogo, vige la falsa convinzione che "se una cosa viene annunciata come vera, deve esserlo per forza". Soprattutto se viene pubblicata in un libro stampato. Questa è la propaganda.
In ogni caso ogni inutile e pretestuosa polemica sull'affaire Bux può essere pietosamente chiusa sul davanti con la spilla da balia dell' articolo del 2018 pubblicato sul blog di Aldo Maria Valli "Duc in Altum", dove il prelato dimostrava di non escludere affatto l'ipotesi dell'invalidità della rinuncia di Benedetto XVI, invocando addirittura la necessità di uno studio sull'argomento. Studio poi eseguito da Andrea Cionci ma che per qualche motivo dev'essere rigettato assieme all'ipotesi originaria di invalidità della rinuncia stessa. I misteri delle cattedrali. Ecco la citazione dall'articolo:
Ripeto, è un articolo del 2018. E come faceva mons. Bux ad avere dei dubbi sulla validità giuridica della rinuncia di papa Benedetto XVI nel 2018 se la lettera autografa del papa emerito che svelava tutta la verità era in suo possesso già dal 2014? Era sul tavolo e non l'aveva notata, come la lettera del racconto di E.A. Poe?
A proposito di mons. Viganò, oggi egli ha pubblicato una preghiera per la liberazione della Chiesa, definendo Leone XIV imprigionato da catene ed invocando l'aiuto divino per la sua liberazione.
Forse Leone XIV (anche lui impedito?) per liberarsi dalle catene avrebbe bisogno, oltre alle preghiere, anche di qualche prelato che con coraggio prendesse un paio di tenaglie e scendesse nell'arena ad aiutarlo. Magari ammettendo finalmente l'impedimento di Benedetto XVI che farà esplodere la verità e ripulirà le coscienze. Ma si sa che il coraggio è meglio lasciarlo ai laici.