Secondo me ci sono troppe sinistre in giro. E’ come in quei film di fantascienza con androidi talmente perfetti che li scambi per umani e ti accorgi che sono finti solo all’ultimo quando li apri in due, ne sbudelli i meccanismi e l’occhio a molla gli penzola fuori dall’orbita.
C’è tanta gente che si definisce di sinistra, anzi ci tiene proprio ad autocertificarsi come tale, ma poi se guardi da vicino ciò che dice e scrive ti accorgi che, o tu sei definitivamente un vecchio arnese del passato ancora legato alla sinistra di Peppone o qualcuno non ha le idee ben chiare su cosa significhi essere di sinistra.
Dovete capirmi. Ai miei tempi c’erano grosso modo due sinistre: quella parlamentare e quella extraparlamentare. I comunisti erano ancora comunisti. Il segretario del PCI era Enrico Berlinguer. C’era perfino l’Unione Sovietica con il CCCP e l’Albania si faceva fatica ad indicarla sulla cartina.
C’era anche una sinistra estrema, e poi l’anarchia (quella vera, non gli anarcoinsurrezionalisti fantasma di Pisanu), e i violenti, “gli innominabili”, come direbbe Gaber.
I socialisti, fino a Craxi, parlavano ancora di socialismo e di operai. Poi arrivò Bettino e, complici gli anni ottanta, la sinistra si scoprì piaciona, godereccia e puttana.
Nonostante le differenze però era ancora facile districarsi nel significato di sinistra. Fermi i capisaldi della difesa dei lavoratori e delle classi disagiate, le differenze erano essenzialmente nei metodi. Le conquiste sociali c’era chi le voleva ottenere legalmente governando e chi era disposto ad usare la violenza, a fare la rivoluzione, si sarebbe detto.
Oggi districarsi tra le varie anime della sinistra è un casino. Alcune le riconosci, usano ancora i vecchi simboli, parlano di uguaglianza, diritti civili e giustizia sociale, quelli che per me sono i valori della sinistra.
Altre anime che si autocertificano di sinistra mi rendono perplessa perché vorrebbero, ad esempio,
opporsi al neoliberismo senza cadere nelle maglie dell’antimperialismo acritico. Una versione molto snob della botte piena e della moglie ubriaca.
Ecco, io penso che un elemento imprescindibile della sinistra sia ancora proprio l’antimperialismo, assieme alla ricerca di un sistema economico (modo di produzione) più equo del capitalismo, soprattutto della sua versione hard, il liberismo.
Ho l’impressione invece che la cosiddetta sinistra riformista non si ponga il problema del capitalismo e del suo superamento (in senso democratico e alternativo e non rivoluzionario e violento) ma che cerchi di rendercelo solo più digeribile masticandolo a lungo prima di farcelo ingoiare. O rendendocelo meno penoso come nel detto cinese “se proprio devi essere violentata cerca di trarne piacere.”
Le riforme che vogliono e che ritengono indispensabili per noi (grazie, e chi ve le ha chieste?) riguardano sempre gli altri. La flessibilità del lavoro sbandierata dai vari economisti riformisti che guardano alla Danimarca con il culo bene al caldo non riguarda loro o i loro figli ma solo i lavoratori subordinati, le donne e i lavoratori immigrati.
La loro benevolenza nei confronti dell’attuale sistema è totale perché in realtà difendono un’oligarchia della quale fanno parte. Per loro non vi è alternativa possibile a questo sistema economico e quindi sono conservatori, non progressisti.
Stranamente hanno preso qualcosa dalla vecchia sinistra: il peggio, il metodo stalinista della caccia al dissidente. O sei con loro o contro di loro, con i terroristi.
A proposito di imperialismo, tutte le guerre degli ultimi sei anni erano già scritte del
Project for a New American Century fin dal 1997 ma se lo si dice vi daranno nell’ordine: del cospirazionista, dell’antiamericano, antisemita e del busone.
Già, mi ci vorranno cent’anni ma forse un giorno capirò il perché del livore che gli amici ebrei e israeliani hanno adesso nei confronti della sinistra, dopo averci militato storicamente per decenni. Se Fini va a Gerusalemme sarà merito dell’acqua di Fiuggi oppure è il sionismo che si è spostato decisamente a destra?
La cosa più di sinistra che abbiamo avuto negli ultimi anni per me è stato il grande movimento che si raccoglieva attorno alla frase “
un altro mondo è possibile”. Un movimento fatto di persone di diversa provenienza politica ma accomunate dalla consapevolezza che la globalizzazione non porta affatto i vantaggi che millantano i suoi fautori.
Questo sistema economico sta distruggendo il pianeta, rende i ricchi più ricchi e i poveri più poveri. Chi dice che non è vero è in malafede o è cieco. La comunicazione decide letteralmente della vita e della morte di interi popoli. Se una guerra non interessa o non è funzionale al grande masterplan non se ne parla e tu non ne saprai mai nulla, anche se muoiono milioni di persone. Basta vedere come la Palestina è sparita dai tele/giornali, assieme al Darfur, alla Cecenia e alla Somalia.
Era bello il movimento dell’altro mondo possibile. Ma è finito, colpito dalle mazzate di Genova, e coperto dall’oscuramento dei media e dalla nube piroclastica di Ground Zero. No global è diventato sinonimo di delinquente, terrorista.
Se abbiamo imparato una cosa da Genova è che questo sistema non sopporta di essere messo in discussione, soprattutto quando sta ridisegnando la geopolitica a sua immagine e rassomiglianza, armato fino ai denti contro i mulini a vento che gli servono per dominare il mondo.
Spariti i no global, o quasi, oggi se la prende contro il Sudamerica che cerca una via diversa di sviluppo. E, come quarant’anni fa Castro, oggi il babau è Chavez.
Da noi sono spariti anche i girotondi, e tutto il movimentismo che voleva dare una scossa ai burocrati di partito. Si farà il Partito Democratico con Rutelli e Fassino, de gustibus.
Io continuo a sperare in un vero progressismo, dove essere di sinistra significhi di nuovo qualcosa di meglio dell'assomigliare a Tony Blair.