lunedì 15 marzo 2021

IL MARCHESEDELGRILLISMO TECNICO E LA FINE DELLA POLITICA


Come scrivono Maria Micaela Bartolucci e Pier Paolo Dal Monte in un articolo pubblicato sul blog di Frontiere, un governo tecnico non può mai essere politico.

E' vero perché esso non ammette dialettica né al suo interno, né nei rapporti con l'esterno, e quindi rappresenta l'antitesi della politica che è mediazione, smussatura, compromesso, concertazione e soprattutto, in democrazia parlamentare, motore del dialogo tra diverse parti sociali su diverse istanze, oltre che il luogo ove potersi scontrare tra opposte visioni del mondo. 

Il governo tecnico non è politico perché le decisioni che deve prendere sono già state decise altrove e, non è prevista alcuna modifica dei testi delle leggi e stravolgimento delle tabelle di marcia. Al pari dei piani quinquennali sovietici, il governo tecnico arriva con il programma già fatto e  a quel punto si tratta solo di metterlo in pratica con la perseveranza dello schiacciasassi.

La tipica squadra di tecnici è un catalogo di esecutori di ordini provenienti da ambienti che possono fare a meno della mediazione della politica perché ne hanno superato la ragion d'essere, gestendo ormai in prima persona, attraverso loro uomini e donne fidati, il proprio interesse.  L'amministrazione, la gestione di una nazione è ormai caduta in balìa di questo sistema parassitario piramidale dove la cuspide è intuibile ma innominabile. Un sistema che è francamente ossessionato dal dover deviare il corso della storia, creando invasi e dighe sempre sul punto di crollare a meno che qualche migliaio di sacrifici umani non giungano a sventare la catastrofe e a placare l'ira del dio denaro. Entità che ordinano ai loro sicari di esprimersi  utilizzando imperativi categorici futuribili ed ineluttabili: "In futuro le cose cambieranno", "è necessario cambiare", "la nostra vita non sarà più quella di prima", "bisogna fare le riforme".  Questi proclami sono idealmente simili a quelli che una ipotetica razza aliena ostile appena sbarcata proporrebbe ai terrestri per scioccarli e domarli in attesa di cibarsene.

Non bisogna farsi suggestionare dall'uso di termini inclusivi come "noi", "nostro", "dobbiamo", perché sono scelti solo per instaurare un fittizio rapporto di solidarietà tra oppressi ed oppressori, con questi ultimi che dicono; "Non temere, anche noi viaggeremo sulla vostra stessa scialuppa del Titanic." E' lo sberleffo, l'irrisione verso chi non merita rispetto da parte di chi attua il più irridente marchesedelgrillismo. In realtà tutto ciò che è contenuto nel manuale di istruzioni che gli esponenti del governo tecnico devono seguire alla lettera, riguarda i popoli intesi come gente comune, sempre più percepiti come colonie batteriche da debellare con il più potente antibiotico. Inoltre l'affermazione secondo la quale un tecnico sarebbe più competente e "bravo" di un politico è falsa, perché per eseguire degli ordini  incontestabili non è assolutamente richiesta abilità tecnica ma solo freddezza nell'esecuzione di ciò che deve essere fatto a tutti i costi, anche con la prospettiva di dover camminare sui cadaveri. Anzi, l'idiozia sapiente del grigio esecutorie materiale si abbina alla franca sociopatia degli esponenti del grado superiore dei mandanti.

Essendo ciò che resta della politica troppo mondano per missioni tanto nobili quali il "salvare il Pianeta" quasi che esso fosse una donzella in periglio, i tecnici diventano i "volonterosi carnefici". Possono agire come abili cecchini appostati sul tetto, in grado di eseguire esecuzioni mirate di aziende indegne di essere imprese o di gruppi sociali da rieducare alla durezza del vivere.  A titolo di esempio, ecco un passaggio spesso citato dal documento del Gruppo dei Trenta, una delle famose tabelle di marcia studiate per rovinare la vita della gente colpevole solo di essere contemporanea di questi psicopatici. 


Non è detto che il governo tecnico esprima però sempre e comunque dei meri pigiatori di pulsanti e delle riserve come Conte. A volte scendono in campo i titolari, come nel caso del neo ministro della (d)Istruzione Bianchi, di cui la rossolabbruta Azzolina è stata solo la la ragazza del ring, incaricata di portare in giro il ballon d'essai dei banchi a rotelle in attesa del clou. Per non parlare del nuovo premier Mario Draghi, addirittura tra i trenta distruttori creativi di cui sopra.

Se quello tecnico è l'unico modello di governo locale ormai utile al sistema globale, qual è allora il ruolo della politica, dei partiti, dei movimenti, delle persone che nelle ormai rarefattesi occasioni di voto ci vengono presentate come i nostri candidati? E perché il sistema si ostina ancora a comprenderli nel governo? Parlare di politica oggi, in piena guerra covid che ha visto saltare tutte le regole democratiche, equivale ad un atto di spiritismo o di goezia, di evocazione di demoni. Anche perché dovremmo finalmente realizzare che in Italia la politica dei partiti, delle ideologie, dei leader, dei programmi e delle differenze tra schieramenti è morta nel 1992 e questi che vediamo oggi sono appunto fantasmi, presenze sottili al servizio anch'essi della dissoluzione. 

In modo silente ma costante e non facendocene accorgere grazie all'introduzione del bipolarismo che distrasse l'elettorato per un buon ventennio durante l'era del Berlusconi-che-ci-avrebbe salvato-dal-comunismo vs. la Sinistra-che-ci-avrebbe-salvato-da-Berlusconi, la politica è stata decommissionata e ora ne rimangono solo le scorie. La lotta alla corruzione nella politica è servita ad eliminare la politica e ad elevare la corruzione dell'anima a Sistema.

Se un governo tecnico comprende oggi ancora per poco una componente politica, dove la politica ha la stessa funzione dell'accensione a benzina in un motore ibrido, questo è nient'altro che un paravento, un contentino per i nostalgici del palio tra le contrade ideologiche morte, combattuto in tempi andati a nerbate e ora nient'altro che una mazzetta di colori tra i quali scegliere una delle cinquanta sfumature di rumore bianco del temporeggiare pallido e assurdo. Una commedia replicata in attesa di poter demolire definitivamente il teatro del gatekeeping con la dinamite del grande reset.

La figura del politico, ovvero dell'individuo che in determinate condizioni e grazie a sue caratteristiche personali  poteva distinguersi come statista seguendo un'ideologia e perfino, pensate un po', degli ideali, è totalmente scomparsa per essere sostituita, per la parte manovalanza attiva, da avventizi intercambiabili a piacere e destinati a non lasciar alcuna traccia storica di sé e, per la parte di facciata, per la farsa della rappresentanza, da frontman più avvezzi alla comparsata in televisione che alle raffinatezze della dialettica politica appresa in lunghi anni di "scuola" di partito. L'evidenza della totale inadeguatezza a governare la complessità attuale di tali personaggi selezionati con il medesimo tipo di casting che presceglie i concorrenti dei reality show, è esplosa con la crisi del covid, che è destinata a spazzarli via definitivamente.

Quando ci lamentiamo che i "politici" non ascoltano il grido di dolore del popolo colpito da provvedimenti di inaudita violenza antidemocratica; quando captiamo le contraddizioni, le menzogne, le confabulazioni che tentano di giustificare l'ingiustificabile, e soprattutto la totale mancanza di empatia, chiediamoci quante volte abbiamo sentito dire da uno qualsiasi di costoro nel corso dell'ultimo anno una frase come: "Poveri italiani, non sapete quanto ci dispiace che dobbiate subire tutto questo." 

Non avendo costoro una vera coscienza politica perché non hanno avuto alcuna formazione politica, essendosi formati in anni in cui la politica era qualcosa di immondo da dimenticare al più presto in favore dell'avvento della gestione moderna del "sistema paese" e non avendo tanto meno una coscienza tout court, sono in grado di affermare qualcosa e di smentirla il giorno dopo senza nemmeno accorgersene. Sono quelli che si bagnano nella folla ma ritengono accettabile chiudere tutti in casa, chiudere le scuole e tollerare la serrata della sanità pubblica che non cura più le malattie normali.

Guai però a lamentarsi con loro. Non sono più tenuti per contratto a difendere gli interessi del popolo (pensiamo anche ai rappresentanti sindacali o delle categorie) e sono come quegli agenti che ti vendono il contratto con il gestore telefonico e poi spariscono se hai qualche reclamo da fare. La fidelizzazione dell'elettore dopo l'accaparramento iniziale ormai è come quella del cliente, non è più necessaria.

Però in compenso richiedono dalla categoria ormai anch'essa in estinzione degli elettori una stupefacente assoluta fedeltà e fiducia in quello che non faranno.  I circoli di partito sono sostituiti dai fan club, dalle sardine e dalle varie "bimbe di", incaricati di alimentare una serie di culti della mancanza di personalità. I rapporti con gli elettori e i simpatizzanti sono all'insegna o della bullaggine, o del donmilanismo, della pratica dello sberleffo nei confronti di chi persevera nel richiedere atti politici a chi non è in grado di produrli; da una gestione narcisistica del rapporto con l'elettore, fino all'aperta dichiarazione di impotenza del "non possiamo farci nulla" di chi si è ormai impropriamente identificato nell'aristocrazia 4.0 che sta rappresentando e frequenta banchieri mentre una volta il suo partito lottava assieme agli operai. Addirittura si suggerisce che il richiedere un'azione di coraggio al politico quando il popolo è in pericolo, sia come chiedergli di immolarsi. Peccato che se passa il principio che il popolo possa essere sacrificato per proteggere i politici, non vi sarà alcun limite ai sacrifici che potranno essere richiesti al popolo.

Questo atteggiamento denota inequivocabilmente la rinuncia di tutta la politica a contare qualcosa, ad avere voce in capitolo e soprattutto a voler sopravvivere. Sembrano tutti in attesa di un rompete le righe, di poter finalmente tornare ad occuparsi dei fatti propri. La sostituzione del politico con il tecnico quindi è un processo assolutamente irreversibile e in un certo senso meno penoso della rappresentazione di una commedia democratica con sempre meno spettatori perché gli attori sono sempre più cani. Dovesse instaurarsi veramente un governo apolitico non sapremmo più davvero quale volto avrebbero i governanti. Forse non ne conosceremmo nemmeno i nomi. Una gestione disumana della società asocializzata non potrebbe che essere gestita da invisibili disumani. 

La politica orgogliosa della sua impotenza è ormai l'ultimo sottile diaframma tra il popolo e i suoi carnefici ma non è più un corpo intermedio e solido ma un ectoplasma di materia attenuata. La politica che non sa di essere morta non ha capito che assieme al popolo sparirà anch'essa e per giunta tra le maledizioni di coloro che non è stata capace di difendere. Non ha capito che i responsabili delle atrocità commesse dai governi tecnici saranno cercati tra i politici e non tra i tecnici, e che è ciò che il sistema voleva: usarli un'ultima volta come capri espiatori e utili idioti. E loro, tra una fine comunque ma almeno dignitosa hanno scelto di non scegliere.

Inutile dire che se ci toccherà l'onere di ricostruire, la lezione di questi ultimi mesi sarà stata la miglior scuola di partito che si potesse immaginare per stabilire cosa deve essere e soprattutto cosa non deve essere un politico.

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