giovedì 28 marzo 2019

Lasciate che noi veniamo ai bambini



Marcello Veneziani ha già detto tutto ma io ci provo lo stesso ad aggiungere qualche ragionamento, perché la sua è una visione persino troppo ottimistica dell'abuso, più che uso, pretestuoso dell'infante in quella che chiamo la pedopropaganda del regime novordomondialista. Per saperne riconoscerne il significato ancora più oscuro, che oramai si appalesa sempre più sfrontatamente in questa battaglia finale della hỳbris dei volonterosi maggiordomi di Satana, occorre averne appreso il linguaggio, essere passati attraverso il fuoco.

La sacerdotessa frigida del riscaldamento globale Greta è stata messa momentaneamente nel congelatore, metaforicamente, s'intende, forse in attesa di un restyling di immagine o prepensionamento visto lo scarso appeal che ha dimostrato. Greta, con le trecce totalitarie tirate allo spasimo e con malagrazia da una mamma-frigorifero ("vedete che l'autismo è colpa della mamma?" suggeriscono), è stata smascherata. Accostarla agli Juncker e alle Lagarde ha svelato il trucco degli sceneggiatori. Al tempo dei social il quarto d'ora si accorcia a meno di cinque minuti. E' girata perfino una foto dove la improbabile bambina pareva conversare con il noto figuro clintoniano in odore di satanismo John Podesta, ma era per fortuna - per lei - solo un politico polacco che gli assomigliava.

Messa in "stand-bye bye" Greta ecco però pronto un altro mostriciattolo anch'esso, immagino, corredato di un paio di genitori disfunzionali e affetti da gravi turbe mentali.

Genitori folli che sono sempre esistiti ma che una volta erano minoranza risibile e non certo in grado di poter contare su un Apparato psicomedico in grado di soddisfar loro tutte le perversioni, dipendente da un Sistema politico che decretasse per legge la normalizzazione delle ubbìe come diritto umano. 
Quanti orrori sono celati nelle due righe di questo tweet? Un povero esserino di 11 anni già convinto che il suo futuro sarà uguale a quello di una vecchia baldracca che una provvidenziale mano dal cielo ha impedito mettesse le grinfie sul pulsante nucleare.

Bisogna urlarlo. A undici anni non puoi essere nessuna cazzo di lesbica perché non hai ancora completato il tuo sviluppo psicosessuale. A diciotto anni potrai saperlo con buona probabilità di certezza e nessuno potrà criticare la tua scelta ma non a undici.  Anch'io a quell'età mi innamorai di una supplente ma durò due giorni e poi mai più. Ognuno di noi può aver fatto le sue esplorazioni in entrambe le direzioni, anche solo platonicamente durante l'adolescenza ma senza che nessuno ci mettesse in testa che, alla prima deroga dall'eterosessualità, occorresse andare a farsi tagliare il pisello o amputarsi le tette o riempirsi di ormoni per illudersi psicoticamente di poter cambiare il sesso. Questi proregressisti invece non solo vogliono la sessualizzazione dei bambini ma si assicurano che la trasformazione in piccoli oggetti di trastullo sia irreversibile. Tanto di gente vogliosa di sostituirsi alla Ragione o a Dio, che possano offrire la propria complicità, ne sono piene le università ad indirizzo ahimé scientifico.

I bambini vengono attirati nella Neverland (terra che non c'è, o Nulla) del gran finale pedofilo della Storia. Non solo come piccoli oggetti sessuali ma come malatini congeniti - anche qui dalle malattie irreversibili -  o Kindersoldaten, soldatini delle battaglie fasulle dalle quali usciranno massacrati soprattutto psicologicamente. Si promette loro un mondo meraviglioso dove, l'hanno notato in pochi, non si va a scuola perché si sciopera. Come nel Paese dei Balocchi, appunto.
Ricordate il 31° capitolo di Pinocchio dove lui e Lucignolo vengono tradotti nel Bel Paese per diventarvi infine ciuchini da pubblico ludibrio e poi pelle di tamburo? Credo che non esista una descrizione migliore della pedofilia in letteratura. E' una lettura che, una volta intesane la chiave, diventa quasi intollerabile. Scritta da qualcuno che sa e che conosce come si muovono gli Omini di Burro.

Anche i piccoli eroi loro malgrado dell'attentato terroristico del bus sono caduti nelle grinfie dei melliflui imbonitori di Neverland che li hanno usati per realizzare una sceneggiatura da appiccicare post hoc ad un evento che avrebbe potuto essere solo una immane tragedia, al fine di diluirne il messaggio da grave avvertimento per la nostra sicurezza a momento di piccoloeroismo da neo libro Cuore, piccola vedetta lombarda compresa, con il quale riempire paginate e orate di trasmissioni pomeridiane. Nella speranza che l'incidente possa essere presto rimosso.  Il Sistema ha provato a selezionare, secondo la propria ideologia zootecnica, i "nuovi italiani" come i favoriti da imporre al pubblico ma l'effetto curioso e non voluto (ma che forse qualcuno ha saputo sfruttare abilmente a proprio vantaggio) è stata la rivolta di quest'ultimo contro l'esclusione dal podio di quelli che, alla fine dei giochi, risulteranno essere stati quelli dal comportamento più proattivo e maturo. Ovvero quelli che si voleva venissero esclusi su base autorazziale. Un apparato propagandistico che parte con un tam tam per lo ius soli e finisce per far innamorare tutti del piccolo lombardo che grida "ti amo Dio" è un bello smacco.

Ci si chiede in tutti questi casi: è parte del gioco degli MdS lo scegliere spesso i propri testimonial tra i francamente odiosi? E'  perché il messaggio che deve passare dalla propaganda è sempre violento e deve essere percepito come imposizione? Un Burioni simpatico effettivamente non serve, non è pedagogico. E' l'impotenza di fronte all'intoccabilità di chi ti fa del male che ti rende folle di rabbia e disperazione, non il poterlo affrontare a viso aperto e ad armi pari.
Sembra, presentando piccoli testimonial da schiaffi come quelli da adorare, si voglia evocare sempre ambivalentemente sia l'istinto protettivo che l'impulso infanticida che albergano in ognuno di noi. Giusto per abituarci all'idea che si, bellini, carucci o lenze, ma alla fine i bambini dovranno essere sacrificati in vari modi fantasiosi e per Quelli Là sicuramente piacevoli.  La fine dei Kindersoldaten, dei nanetti da trastullo e delle bambole vive è sempre lo scannatoio dell'insospettabile.

Parliamoci chiaro, ciò che stanno escogitando è il padre di tutti i genocidi, è la sconfitta definitiva di Dio, l'ultimo sfregio al quale sarà la cancellazione della discendenza della sua creatura. Si sarebbe potuto fare comodamente con le numerose testate nucleari, in una Piedigrotta Armageddon di cui però nessuno avrebbe potuto fare la telecronaca fino alla fine. Così, credono di potere, infine, riuscire a camminare sulla devastazione da trionfatori, sentendosi finalmente vittoriosi sulla propria stessa natura. 

Cosa vi sarebbe da salvare, dopotutto? L'arte ha già esaurito tutto il suo modernismo nel secolo scorso (cit. Faye). L'architettura non riesce ad andare oltre il brutalismo carcerario, la musica è morta, la letteratura pure, il cinema è pura propaganda, la scienza non scopre più nulla, la medicina fa ammalare. "Non resta", immagino abbiano concluso "che la distruzione del mondo".

domenica 24 marzo 2019

Televisione subprime



Il Grande Occhio oggi suggerisce: "Non compratevi casa, compratevi un loculo". Oppure adattatevi a vivere in una cella, in affitto, in mezzo al suk multikulti, pagandola come paghereste una suite al Danieli di Venezia nell'incertezza di riuscire a pagare la prossima mesata perché il contratto di lavoro settimanale vi scade domani. Questo è il prezzo da pagare per "salvareilpianeta", chissà per chi, mentre chi lancia questi messaggi, ovviamente, ha a disposizione 200 metri quadri solo per l'alloggio dei cani. Naturalmente il messaggio piace da matti ai soldellavveniristi per i quali la proprietà immobiliare è sempre segno di insopportabile privilegio borghese. 
Era proprio così sbagliato risparmiare una vita per comprarsi casa e poter vivere in uno spazio proprio adeguato ai propri bisogni? Evidentemente si, e si sta facendo di tutto per abituarci al concetto della mancanza di spazio vitale. Il Lebensraum al contrario. La cremazione poi risolverà a suo tempo anche il problema del privilegio del loculo.

A proposito di immobiliare, se volete capire come andò con i mutui subprime e come probabilmente la faccenda non possa essere affatto finita, guardate una puntata di "Fratelli in affari". E' una serie che va in onda su Sky, su un canale che si chiama Lei, in omaggio all'angel* del focolare, e che rispecchia l'idea che hanno Essi della donna (o wannabe donna) che guarda la televisione. Il programma, americano, sulla falsariga di tutti gli altri del Truman-format "facciamo finta di fare qualcosa" mostra due gemelli canadesi, Drew e Jonathan, con la missione di dare la possibilità ad una coppia di "avere la casa dei vostri sogni". Si presentano come agente immobiliare l'uno e costruttore specializzato in ristrutturazioni l'altro, e pare che, nella vita reale, abbiano effettivamente iniziato la loro carriera in quel campo. Poi sono diventati attori e autori televisivi e uno dei due è noto anche come illusionista. Insomma, il confine tra realtà e finzione è sottile.

Il format funziona così. Si individua la coppia, di solito formata da due individui non particolarmente svegli, con almeno due figli, che hanno appena venduto la propria casa e ne stanno cercando un'altra, con un certo budget di spesa (di solito si parla di cifre sui 500.000 dollari). 
I gemelli portano i malcapitati a visitare una casa bellissima, ricca di tutti i comfort, in un quartiere chic e i due si ingolosiscono. Poi la doccia fredda: "Vi piace, eh? Peccato che per questa casa dei sogni chiedano.... 800.000 dollari." La delusione è cocente ma intanto il tarlo inizia a scavare nella storia, come la talpa.
"Peccato, non ve la potete permettere" - sottotesto: siete due sfigati di merda - "ma possiamo proporvi qualcosa che faccia al caso vostro", dicono i due. Basta affidarsi alle amorevoli cure dell'impresa di Jonathan che, con quattro pìccioli, è in grado di far diventare le vele di Scampia la Reggia di Caserta. Ricordo che costui è anche illusionista. 
Detto ciò, i fratelli conducono i tapini a visitare delle topaie immonde, tipo casa abbandonata del serial killer con i cadaveri ancora sepolti nel seminterrato. La coppia recalcitra perché ricorda la bella casa mostratale all'inizio (effetto prime); questa catapecchia fa schifo, quest'altra è piena di muffa. Il bello è che le topaie costano quasi quanto il budget a disposizione della coppia e alla fine càpita che i poracci finiscano per dover spendere di più del preventivato. Ed ecco il trucco, signori. "Beh, possiamo sempre chiedere un mutuo" dice di solito Eva (effetto subprime).

Parte la ristrutturazione e, dopo aver fatto personalmente demolire alla coppia a colpi di martello qualche inutile tramezzo in cartongesso a scopo liberatorio, si passa rapidamente al risultato finale, perché il messaggio è stato lanciato e lo scopo è stato raggiunto. "Ecco la casa dei vostri sogni", dicono i marpioni accogliendo la coppia alla loro prima visita nella nuova casa, ed è tutto un "wow!, omioddio!, noncipossonocredere!, maèenorme! (il soggiorno), è proprio la casa dei nostri sogni! Grazie!"
Si, vi siete svenati, avete contratto un mutuo magari di quelli famigerati per una casa vecchia rabberciata con materiali scadenti (perché mica potevate pretendere la prima scelta) ma il sogno è assicurato. Sogni bagnati si, ma di sangue.

Ah, c'è un altro programma, italiano, sullo stesso canale dove coppie italiane fingono di acquistare la seconda casa di lusso in un mondo meraviglioso dove non esiste l'IMU, i metri quadri e gli ettari abbondano e il budget a disposizione è dai 500,000 euro in su, con botte da un milione e passa. Contratti stipulati alla fine senza battere ciglio. Alla faccia della crisi del settore immobiliare e del dimezzamento netto del valore degli immobili in Italia.
Quale sarebbe il messaggio stavolta? Ma quale crisi, se le agenzie immobiliari di lusso sono sempre piene! 


venerdì 15 marzo 2019

Maria piena di Grazia e le serpente


E' sempre più vero che, grazie al trascorrere del tempo, ogni mistero procede, attraverso vere e proprie trasmutazioni di stato e di senso, al proprio finale disvelamento.
Oramai si ha sempre più speranza di giungere a comprendere cose che una volta parevano incomprensibili non solo alla mente razionale ma a quella più nascosta che, volendo, si potrebbe chiamare anche anima.
Sta diventando tutto così chiaro. Complice il Kali Yuga nel quale siamo immersi che, volenti o nolenti, rende il cervello fino, il disegno sullo sfondo sta iniziando ad esplodere di mille colori e riusciamo perfino a mantenere gli occhi sempre più aperti nonostante i mille tentativi di accecamento che subiamo quotidianamente.

Premetto che queste mie riflessioni a seguire non intendono sconfinare nel discorso teologico ( "Domine non sum digna"), provenendo per giunta da un'agnostica che non osa più pronunciare certezze in campo metafisico e che della trascendenza ha sempre più rispetto, avendo avuto sentore, per vie traverse, formative ed esperienziali, di profonde e misteriose vie che potrebbero condurre al somewhere else.

L'attualità che mi fornisce lo spunto è l'articolo di due femministe cattoliche, Anne Soupa e Christine Pedrotti, pubblicato su "Le Monde". Ne ho trovato una versione integrale in portoghese.  Il titolo è "Chiediamo la decanonizzazione di Giovanni Paolo II".
Così, in scioltezza, con quella sfrontatezza che ha il sentore inconfondibile del fiammifero appena sfregato, si chiede di revocare la santità a un pontefice che, nel bene e nel male, ha segnato un'epoca e, alla luce dell'odierna sconcertante passività della gerarchia di fronte all'Eresia e con il senno di poi, è stato indubbiamente l'ultimo (perdonate l'ardire) Papa con le palle del Cattolicesimo.
Per quale motivo Papa Wojtyla non dovrebbe essere più santo, ammesso e non concesso che le patenti di santità sono un fatto politico più che religioso? Prima vi esporrò le motivazioni delle due signore (e quindi di chi le ispira) e poi vi dirò, in umiltà, le mie.

Le signore sostengono che identificare la Chiesa con la Donna significa condannare la donna ad un ruolo limitato al matrimonio, alla procreazione o al servizio di Dio nella Chiesa stessa. La donna non può essere solo moglie e madre. E Karol che colpa avrebbe? Quella di aver enfatizzato questa identificazione, parlando contro la contraccezione e consacrando il proprio pontificato a Maria, "figura di silenzio ed obbedienza".

Credo che la tesi piccolofemminista di Soupa e Pedrotti possa essere riassunta in queste quattro righe. Tutto qui? No di certo. Per corroborare la loro teologia zuccherofilata esse lanciano lo spin-off #MeToo delle molestie alle religiose (sempre in senso uomo verso donna, s'intende, mica parleranno delle molestie delle monache alle ragazzine) e sfruttano per l'ennesima volta la denuncia della piaga della pedofilia nella Chiesa che, lasciatevelo dire da una che conosce l'argomento, sta diventando l'ultimo rifugio delle canaglie eretiche.
Non è tanto sconvolgente ritrovare il solito leit motiv inconfondibile scandito dall'ostinato "diabolus in musica" del femminismo rivendicatorio di una intoccabilità selettiva (se sei bianco, cattolico, occidentale, noli me tangere, se sei tutto il resto ti offro queste vergini e questi bimbi miei in sacrificio).  Sconvolgente è sentir ridurre Maria, la rosa in che 'l verbo divino / carne si fece, a una donnetta al pari di queste due carampane e della loro sterile ira funesta.
La sacralità della figura della Madre di Dio ma anche di figure gigantesche come Caterina da Siena, compresse in una scenetta da colazione nel Mulino Bianco: mamma, babbo, bimbo, bimba, cane, gatto e tutto il mondo fuori. Il ruolo materno concepito solo come espressione dell'odiato mondo borghese che ormai si è interiorizzato come psicoma; il senso del femminino incistato nello stereotipo che si è state addestrate a demolire fin da piccole. E' il piccolofemminismo, l'idea che il massimo della punizione debba essere fare la fine delle proprie domestiche.
La tendenza culturale maligna che, partendo dall'uccisione sessantottina del padre, finisce con l'assassinio della madre (e del figlio) ed è ben rappresentata da quelle figurette inquietanti ed ossessive come la mostricciattola che in questi giorni ci compare a tradimento anche in fondo al corridoio: "Vieni a scioperare con me?"

Se il ruolo della donna non è quello di madre (il significato della maternità che va ben oltre quello di generare e partorire un figlio), quale dovrebbe essere, di grazia? Scrivere fregnacce parateologiche sentendosi delle Caterine non essendo degne nemmeno di portarle le pantofole, mirando con la fionda alle statue dei santi, sperando di épater les bourgeois? Guardate ragazze che, nell'inchinarvi a Mammona, non vi si vede solo la sottoveste rossa ma anche la coda biforcuta.

Ormai non mi stupisco più di niente perché so che l'attacco è frontale e decisivo. Era scritto anche che dovessi rivalutare il Papa polacco.
Ai tempi del pontificato di Papa Wojtyla mi ero sempre chiesta, pur sempre da ancor più agnostica qual ero, che senso avesse il suo continuo riferirsi a Maria. Confesso che questa ostinazione a voler sempre mettere prima la madre rispetto al Figlio mi pareva irrispettosa e fastidiosa, oltre che espressione di una possibile "fissazione materna" di tipo psicoanalitico.

Ora, per tornare ai misteri che si disvelano, a mio modo di vedere il senso di quella invocazione alla protezione materna diventa chiarissimo. Perfino quel dover "consacrare il mondo alla Madre", che allora pareva il delirio dell'oscurantismo cattolico più reazionario, assume un valore storico.
La via misteriosa è forse quella per la quale si suggerisce l'esistenza di Dio fornendo le prove dell'esistenza del Male?
L'attacco alla Madre, come quello al Padre, è rivolto alle figure che ci proteggono. Chi sostiene di difendere i poveri bimbi e le donne dagli abusi (ricordate sempre l'inversione del senso) vuole in realtà privarli di una protezione ancora più "alta". 
Perché colpire le figure religiose in tempi di disperazione? Perché la religione può essere un sollievo, per chi riesce ad aver fede. Ogni attacco al trascendente, alla possibilità dell'esistenza di un altrove, ogni riduzione dell'esperienza alla fredda materialità ed alla ineluttabilità di un nulla dopo il niente, non è altro che l'ennesima enunciazione del "non vi è alternativa". Ci vorrebbero soli, disperati, di fronte al muro nero. Dannati. E per farlo pensano che sia ancora una volta suadente la voce del serpente. O delle serpente.
E se vi dico che non ci riusciranno?



mercoledì 6 marzo 2019

Eh, ma Faye è di destra!

courtesy @boschbot 

"Sotto l'aeroporto di Francoforte, sepolto nello spessore del cemento, da qualche parte tra il parking e il business center sotterraneo, è stato costruito un night club. Sotto l'aeroporto di Johannesburg, c'è un night esattamente uguale. A Oslo, ancora lo stesso. Idem a Tokyo e a Chicago. Ben presto, a Nairobi, Atene, Roma, Rio de Janeiro... In questo stesso night club, si sente ovunque la stessa musica, suonata sugli stessi giradischi, scientificamente selezionata dagli stessi music marketers. Risaliamo in superficie: nelle grandi città mondiali e progressivamente nelle province e campagne attigue, il paesaggio si trasforma. Il viaggiatore planetario è sempre meno spaesato: ritrova dappertutto gli stessi blocchi di vetro e di acciaio. La gente è vestita con gli stessi jeans, con gli stessi anorak. Le stesse auto solcano le stesse strade costellate dagli stessi shopping centers, in cui si trovano approssimativamente gli stessi prodotti.
Nelle cellule abitative individuali, siete accolti dalla televisione. Evidentemente le trasmissioni in certa misura cambiano, di città mondiale in città mondiale. Ma presto il programma «Time-Life», diffuso tramite satelliti geostazionari, unificherà tutto ciò. Seduto davanti al video qualcuno legge un giornale. No, in realtà non legge. Si limita a guardare le figure di un fumetto. È Mickey Mouse. Egli chiude la rivista, vi guarda: è giapponese, norvegese, italiano o francese. Non ha importanza. Vi spiega, con voce mielata, in basic english, con un accento senza provenienza, che è di nazionalità occidentale e che ricerca la felicità. Ha due figli, un maschio e una femmina. Questi, da parte loro, hanno l'aria di annoiarsi terribilmente. La ragazza canticchia slogan pubblicitari. Il figlio, un po' inebetito, tamburella su di un football elettronico.
Uscite dalla cellula; attraversate il praticello (ne avete visto uno identico, ieri, attorno alla stessa abitazione, a diecimila chilometri da qui). Salite nella Toyota che avete preso in affitto (ieri ne avevate una uguale). Accendete la radio: trasmette musica. La stessa del night-club. La vostra memoria, macchina meravigliosa, ha adesso rammentato ogni nota. La musica s'interrompe: slogan pubblicitario. Toh, è lo stesso di poc'anzi; ma è anche lo stesso dell'altro ieri, quando, in un "Holiday Inn", avevate acceso la televisione di camera vostra. Ma, di fatto, cosa dice la réclame? Si tratta di un libro. Il titolo vi ricorda qualcosa: una storia d'amore che si svolge durante una catastrofe. Riflettete, pochi secondi al massimo; ma i vostri neuroni non hanno bisogno di funzionare, giacché siete proprio appena passati davanti ad un cinema, la cui insegna reca esattamente lo stesso titolo del libro. Ci siamo: le immagini delle locandine hanno stimolato il vostro cervello: questo film l'avete visto, quattro giorni fa, molto lontano da qui, a ... per farla breve, in un'altra città, in un altro paese, il che non ha dopotutto molta importanza. Ma di che cosa parlava il film? E stupido non ricordarsene: vi torna ora in mente che l'avete visto una seconda volta sull'aereo che vi ha portato qui. Poco importa: era un film americano che raccontava grosso modo una storia d'amore e di catastrofe, esattamente ciò che ha detto la pubblicità.
D'altronde, la musica della pubblicità — questo ve lo ricordate —è la stessa che ritmava il film, evidentemente, la stessa della discoteca, l'altra sera a ..., poco importa. Istruttivo, questo giro del mondo che vi ha pagato la vostra società, la X.X.X. & Co., per visitare i suoi clienti sparsi per il mondo.
Potreste risvegliarvi; tutto questo potrebbe essere un incubo; ma ha già smesso di essere un sogno. In Africa le ultime comunità tribali sono in via di estinzione. In America latina, nelle favelas prodotte dall'ordine mercantilistico occidentale, i giovani dimenticano a tutta velocità la cultura ancestrale. Nelle campagne europee, le balere assomigliano sempre più ai locali della Rive Gauche. Ma voi non siete reazionari. Le contadinelle infiocchettate e le rudi parlate locali non sono eterne. Bisogna stare dalla parte del mondo moderno. Ma quale mondo moderno? Dov'è finita la modernità? I sogni futuristi sono svaniti. La televisione, la sicurezza sociale, i diritti dell'uomo, l'imbottigliamento sulla deviazione A86, le false travi in formica, il mini-stereo a credito, è dunque questo il mondo moderno? Abbiamo smesso di voler andare sulla luna. Se avete la fortuna di non essere disoccupato, tutto attorno a voi trasuda comfort. Il comfort... è confortevole evidentemente, ma non è esaltante. Questo mondo moderno, non lo trovate un po' noioso? Ma per distrarvi c'è sempre il cinema e la televisione. Qui, diventa appassionante il mondo moderno. La tecnica dà tutta la misura di sé; partiamo all'avventura nei pianeti con gli incrociatori dello spazio. Ma sapete bene che tutto ciò non esiste, che tutto ciò non è che un simulacro. Sì, è proprio così, voi vivete nel simulacro. Simulacro della felicità, dell'avventura, dell'amore, della violenza, della religione.
Una cosa almeno è rassicurante: avete la vostra personalità, un po' narcisistica forse, ma se la depressione nervosa è in agguato, uno psichiatra vi aiuterà a riscoprire il vostro io. Se il vostro alloggio e il vostro abbigliamento assomigliano a quelli del vicino, il vostro spirito almeno, quanto ad esso, non assomiglia a quello di nessun altro. E poi siete rispettati. Siete liberi. Il vostro vicino lo è altrettanto, del resto. Il suo io è «rispettato», come i milioni di piccoli «io» di tutti gli Occidentali, vostri vicini e fratelli, che non hanno beninteso niente a che vedere col vostro.
Certo, avete gli stessi gusti musicali dai vicini: comprate tutti le stesse musicassette. Certo, temono tutti, come voi, l'esaurimento nervoso... o il cancro. Si appassionano tutti, come voi, alle venti e trenta, allo stesso sceneggiato. Ma il senso che voi date alla vostra esistenza non è, esso, profondamente originale? Originale?" (fonte)

Mi scuso per la lunghissima citazione ma era necessaria. Vengo subito al dunque. Secondo voi quando è stato scritto questo testo? Non ho voglia di lanciare indovinelli e quindi svelerò immediatamente l'arcano. Questo brano, prologo de "Le système à tuer les peuples" di Guillaume Faye, ed. Copernic, Paris,  fu pubblicato per la prima volta nel 1981. Quanto fa, trentotto anni, giusto?
Incredibile! Profetico!  No, ragazzi. Di esempi così ce ne sono scaffali pieni, nelle librerie dei libri nascosti, quelli che ti tocca per forza comperare sull'Amazonbrutto perché l'egemonia culturale, secondo la quale se qualcuno dice una cosa giusta, prima di condividerla bisogna verificare con la prova del DNA che l'autore sia dei nostri, preferisce che tu legga o niente o le tonnellate di letteratura che pure gli ombrelloni oramai schifano e l'inutile distesa di autobiografie di VIP scritti dai "negri" (ghostwriters, se siete buonaioli e timorati del dio PolCor) e saggi di cosiddetta attualità firmati dai gerarchi del regime o dai pennivendoli da salotto. 

Mi ero per altro già occupata di Faye in questo post dove presentavo un suo scritto sull'imperativo del métissage, come dice Sarkozy, e in questo "Il sistema per uccidere i popoli" (ed. italiana AGA) viene confermata la sua capacità di leggere nei primissimi anni ottanta il futuro del nuovo millennio nei segnali da esso disseminati nel presente d'allora. 
Preveggenza? No, semplice consapevolezza che, al contrario di quel che credono da sempre i progressisti,  il progresso non  è necessariamente positivo e può perfino divenire catastrofico. 
C'è da capire come mai questa deriva catastrofica sia stata negletta dalla cultura dominante progressista accecata dal sol rotante dell'avvenire e intossicata dall'oppio del Potere, altro che oppio dei popoli.

A parte Pasolini e la sua ancor precedente intuizione concettuale sull'omologazione, non mi risulta che la preoccupazione per un futuro di homunculus regrediti alla primitività consumistica ed alienata in nome dell'uguaglianza di sostanza e non di opportunità e comprata con la moneta del diritto cosmetico di cartapesta, fosse negli anni 80 molto diffusa nella curva dove sedevamo noi tifosi partegiustisti. I piddini di allora, insomma, e Dio solo sa quanto mi costi dirlo. 
Basti pensare a cosa facevamo noi in quegli anni ottanta mentre altri stavano già capendo dove sarebbe andato a rotolare il mondo, ossia al frontale contro sé stesso in fondo alla pista ben oliata dal laissez faire culturale, utile paravento di quello economico. 
Certi che la nostra squadra del cuore non ci avrebbe mai delusi compravamo e leggevamo La Repubblica, l'Espresso, Cuore, il Manifesto, assorbendo come spugne il Verbo che già allora propagandava il meraviglioso mondo delle Amélie multiculturali (in realtà monoculturali, one size fits all). Ci preparavamo come buoni soldatini a combattere il reaganismo e l'imperialismo americano, sempre pronti a piagnucolare sul più subdolo inno pacifista di tutti i tempi, quella "Imagine" di John Lennon,  che recitava: " Spero che un giorno vi unirete a noi ed il mondo sarà come un’unica entità." L'esattore inviato a riscuotere di fronte al Dakota Building avrebbe dovuto in seguito insospettirci.
Di lì a poco il berlusconismo, creato in funzione dell'antiberlusconismo,  ci avrebbe tenuti ben ben distanti dal vero terreno di gioco, quello dove si preparava, passo dopo passo, la demolizione controllata dell'Italia nel quadro della liquidazione dell'intero mondo, a cura della Premiata Ditta Utili Idioti. 
Ma quanto siamo stati coglioni a non aver mai avuto un dubbio fino a quando il mondo non ha cominciato a scricchiolare e ad aprircisi sotto i piedi? Anche l'hamburger dallo stesso identico sapore a Monaco come a Singapore avrebbe dovuto configurarsi come sintomo patognomonico. Invece niente. Mettere il discussione John Lennon sarebbe stato impensabile.
E nemmeno adesso, in mezzo alle macerie fumanti, loro, nemmeno con mezzo occhio ormai aperto, si ricredono. Mi par di vederli, con quel loro trasalir pallido e assorto, e di sentirli, in un ultimo spasimo: "Eh, ma Faye è di destra."


sabato 2 marzo 2019

Lili Moplen™




Che dici, guardiamo Bagnai dalla Gruber stasera? La prova è dura, sul mio televisore la ricerca del canale de La7 è ormai da considerarsi impresa assai più mitologica di quella compiuta ieri dalla mia dentista per trovarmi il terzo canale nel secondo molare superiore, ma proviamo. Meglio una leggera sedazione preventiva, perché soffrire inutilmente? Mica dobbiamo fare gli eroi. 
In effetti ci voleva, perché la prima trapanata colpisce direttamente il nervo: 

"Lei è il Roberto Burioni della politica".

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Parliamone. Spieghiamo un attimo il parterre di ieri sera e riveliamo l'identità dell'estensora della sorprendente similitudine. Dunque, il senatore Bagnai è economista, quindi uno si aspetterebbe che andassero a prendere, per tenergli testa, un economista espiatorio giannino o boccolocrinito femmina; una vergine intonsa, sempre tra gli economisti, anche se sono introvabili, oppure un banale armento da sacrificargli. Marattin aveva già dato con i poveri definiti "stock" e quindi era troppo stanco per una prova del genere. Meglio qualcosa di più subdolo: una giornalista della rivista scientifica "Oggi". E, naturalmente, evitiamo accuratamente di fargli domande sulle quali potrebbe farvi male, per esempio di economia.
Quindi citiamogli a freddo Burioni. Chissà se sapevano che i due sono nati lo stesso giorno, mese ed anno? Giurerei che hanno dato tre euro al ragazzo-spazzola in redazione affinché cercasse su Wikipedia o su Astra la ferale coincidenza.
Perché, essi pensavano, se lo provochiamo subito accostandolo ad un nemico perderà l'aplomb e lo attireremo nel centro dell'arena per poi finirlo con calma. Eh no, care Erinni. Bagnai ormai è più Zen di un samurai. E, come il miglior Toshiro Mifune, vi taglia trasversalmente con la katana talmente velocemente che, fino a che le due metà non si separano scivolando l'una sull'altra, non ve ne accorgete e magari riuscite ancora a fare due passi. 
Difatti si è visto che la domina, trovatasi con l'incanto Burionus inefficace è entrata in affanno:




Proviamo allora con l'incanto Nordesticus (il titolo del programma è "Salvini, se il Nord si arrabbia"):

"Il Nord è scontento, sa?"
Risposta:


Si ignora il motivo per il quale si è deciso infine, per la serie: non contenti di stare sulla Beresina, apriamo un secondo fronte, di chiedere al senatore Bagnai, economista e membro della commissione finanze, un parere sulla possibile riapertura delle case chiuse. 
Forse, abituati ai botoli caciaristi da salotto, si sarebbero aspettati la battutaccia sull'ansia da concorrenza di una certa classe giornalistica, ma il nostro ha risposto, schivando l'ennesima bacchetta magica spuntata, con un impeccabile: "Apriamo il dibattito. In Europa si fa" (cito a memoria). La mente vola ad Amsterdam, a St. Pauli - Amburgo ma anche, vista l'aria da smobilitazione pre Bunker, a Lili Marlen.

Da lì in avanti, ciò che io ho ribattezzato #canottoemezzo è stato un evento dalle connotazioni mistico-alchemiche. Lili Moplen™ ha perso ogni speranza di riacciuffare la puntata, nonostante i pezzi da novanta di Oggi e del Fuffington, definitivamente percossi e attoniti. Così, il lavoro di un chirurgo chiaramente traumatizzato da piccolo dalla visione dei cartoni dei Thunderbirds ha acquisito mobilità e l'espressione della sconfitta ha superato l'immota essenza lapidaria del botulino. Tra i meriti di Bagnai aggiungeremo anche quello di aver smentito dal vivo la leggenda dell'indistruttibilità della plastica. Grazie.

Dopo la trasmissione stava per andare in onda "Propaganda Live". Giusto precisare, perché la Gruber invece è registrata. Ospite Saviano. Eh, no. Qui giunse, pietoso, lo zapping.

A corollario, visto il recupero dalla memoria a lungo termine, per associazione e assonanza, di questo nome forse sconosciuto ai più giovani, traggo da Wikipedia questa illuminante storia del Moplen™, come metafora nazionale del giorno.

"Moplen è stato il marchio registrato di una nota materia plastica, il polipropilene isotattico (indicato chimicamente con la sigla PP-H), ottenuta tramite reazione di polimerizzazione a partire dal propilene. Tale materiale è da considerarsi profondamente innovativo perché, sia per le sue caratteristiche di resistenza meccanica, sia per l'economicità di lavorazione, ha rivoluzionato l'industria dei materiali termoplastici.
Il Moplen è, ancora oggi, una delle materie termoplastiche più utilizzate nell'industria, trovando largo impiego nell'ambito idrosanitario come tubi di scarico e sifoni, e uso casalingo come vasche, secchi, ecc. Il polipropilene isotattico fu inventato negli anni cinquanta dal chimico imperiese Giulio Natta. L'invenzione gli valse il Premio Nobel per la chimica del 1963.
Il Moplen era prodotto dalla Polymer e dalla Montesud (controllate della Montecatini, poi Montedison). Lo stabilimento di Terni dove si produceva il polipropilene era gestito dalla controllata Polymer, mentre quello di Brindisi era invece gestito dalla controllata Montesud. Nel 1971, la Polymer si fuse poi per incorporazione nella Montefibre, ma il settore fibre Merak e Neofil fu separato da quello della plastica, che si sviluppò soprattutto per le pellicole trasparenti Moplefan usate nel confezionamento dei prodotti alimentari.[2]
Dopo complesse vicende societarie, il settore è passato alla Basell, formata da BASF e Shell."  (fonte Wikipedia)


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