sabato 17 agosto 2024

Di titoli, papi, re, abdicazioni, volpi, leoni e cani


E' noto che è il titolo a fare la notizia ed è l'unico che passerà alla storia. Tanto che il titolista è quella figura specifica in redazione incaricata di trovare un titolo che al tempo stesso acchiappi l'attenzione e sintetizzi il succo dell'articolo che in alcuni casi, vista la volubile e volatile attenzione del lettore, non verrà da egli neppure letto. Scorrendo i titoli di una prima pagina ci si può fare un'idea precisa non solo di come la pensi quel giornale - ed oggi si tratta solo di capire a quante tacche di fedeltà al pensiero unico esso arrivi, ma in quale ordine di priorità le notizie debbano arrivare all'opinione pubblica e quali messaggi precisi debbano veicolare.

Tempo fa andai a ricercare le prime pagine dei giornali italiani che il 12 febbraio 2013 riportavano come notizia principale quella delle dimissioni di Papa Benedetto XVI, annunciate con la famosa declaratio da lui pronunciata in latino il giorno prima davanti ad alcuni cardinali in concistoro e che era stata lanciata  come notizia bomba dall'Ansa alle 11.46 di quell'11 febbraio, che qui riproduco.


E' interessante perché quel flash rimandava inevitabilmente al celebre papa abdicatario Celestino V di cui è andato perso l'atto ufficiale di abdicazione, ovvero la relativa bolla pontificia, ma che lo storico domenicano del Cinquecento Alfonso Chacón, un autore per altro non considerato sempre attendibile, nel suo "Vitae et res gestae Pontificum Romanorum" ricostruì come segue:
"Ego Coelestinus Papa V, motus ex legitimis causis, idest causa humilitatis, et melioris vitae, et conscientiae illaesae, debilitate corporis, defectu scientiae, et malignitate plebis, et infirmitate personae, et ut praeteritae consolationis vitae possim reparare quietem, sponte ac libere cedo Papatui, et expresse renuncio loco, et Dignitati onere, et honori, dans plenam et liberam facultatem ex nunc sacro Coetui Cardinalium eligendi et providendi dumtaxat canonice universali Ecclesiae de Pastore". 
Prendendo per buona la versione di Ciacconio, è chiaro che Celestino, da quel momento in avanti ritornato Pietro Angelerio, con questo atto cedeva il Papato per intero, con effetto immediato, rinunciando altresì a tutti i titoli, oneri e onori che competono al Pontefice e che lo faceva liberamente di sua sponte.
Ciò nonostante pare che, quando fu riacciuffato dagli sgherri di Bonifacio VIII che lo inseguivano nel suo tentativo di fuga, mentre lo conducevano alla sua prigionia, Celestino abbia rivolto questa frase al suo "sucesor":
«Otterrai il Papato come una volpe, regnerai come un leone, morirai come un cane».
Tornando ai giorni nostri ed ai titoli di quel 12 febbraio 2013, detto che alcuni parlano di rinuncia, come da diritto canonico che predilige questo termine a quello di abdicazione, e che altri invece utilizzano il "lascia il Pontificato", ciò che però ha attirato la mia attenzione durante la recente  rilettura di quelle pagine, è il commento di Massimo Gramellini su "La Stampa" dal titolo "Che tu sia Benedetta". L'autore,  commentando il gesto di Benedetto XVI, si rivolgeva idealmente ad Elisabetta II, regina del Regno Unito, invitandola, prendendo spunto da Benedetto XVI, ad abdicare in favore del figlio Carlo. What?! Un attacco di albionite acuta o una di quelle straordinarie libere associazioni mentali che tanto libere poi non sono e che a posteriori acquisiscono un certo retrogusto rivelatorio?
Che c'entra l'abdicazione di un re con quella, fin da allora dai contorni non chiari, di un Papa?

Sappiamo che ad un Papa, secondo ciò che ci ha raccontato ufficialmente la storia degli ultimi nove anni, basta leggere una dichiarazione ad un gruppo di cardinali, annunciando che sgombrerà l'appartamento pontificio a fine mese come se avesse ricevuto un avviso di sfratto per morosità. Non deve specificare causa e motivazione precise della sua decisione né è tenuto ad fornirne, anche in seguito, un'interpretazione autentica, e soprattutto non deve firmare alcun atto ufficiale pubblico successivo che sia disponibile alla consultazione. 

Così, grazie alla pulce fuggita all'ammaestratore, finita su Gramellini e infine nel mio orecchio, mi sono chiesta: come funziona l'abdicazione di un re? Come comunica egli la decisione al suo popolo e quale tipo di documento certifica la sua rinuncia al trono? E' tenuto a giustificare il suo gesto e a fornirne le motivazioni o basta che comunichi la sua decisione verbalmente al gran ciambellano o all'erede al trono designato?

Visto che nel secolo scorso tra gli altri proprio un re inglese rinunciò al trono in maniera piuttosto clamorosa, anche se per motivi di certo imparagonabili a quelli di un Papa, sono andata a cercare un po' di materiale sull'abdicazione di Edoardo VIII, zio di Elisabetta II, tentando di capire perché al Gramellini fosse scattata quell'associazione.  

La vicenda precedente all'abdicazione del re Edoardo è piuttosto nota ed è stata rappresentata in vari film, da "Il discorso del re" alla serie Netflix "The Crown". Edoardo era succeduto al trono al padre Giorgio V ma sembrava aver sempre prediletto più la bella vita che i doveri di un futuro regnante. Quando fu chiaro che il divemtare re accettandone oneri e doveri sarebbe stato incompatibile con la sua volontà di sposare la sua amante Wallis Simpson, una spregiudicata americana divorziata, anche perché con quel matrimonio si sarebbe rischiato lo scisma all'interno dei paesi componenti l'Impero Britannico, oltre ad altri problemucci di geopolitca, Edoardo, avendo perso la testa, scelse il cuore e abdicò ancor prima dell'incoronazione ufficiale. 

Il 10 dicembre lesse e firmò il seguente "Strumento di abdicazione":

"Io, Edoardo VIII, di Gran Bretagna, Irlanda e dei domini al di là del mare, Re, Imperatore d'India,

qui dichiaro la mia volontà irrevocabile di rinunciare al Trono per me ed i miei discendenti, e il mio desiderio che questo strumento d'abdicazione abbia effetto immediato. In pegno di ciò ho apposto la Mia mano questo dieci dicembre millenovecentotrentasei, alla presenza dei testimoni le cui firme sono sottoscritte."

Firmato a Forte Belvedere alla presenza di Albert, Henry e George [i fratelli di Edoardo, NdA]. 




In queste poche righe il Re, dopo aver dichiarato le proprie generalità e qualifiche, comunicava la volontà irrevocabile di rinunciare al Trono con effetto immediato e non procrastinabile come richiede un atto puro come l'abdicazione. A questo atto era allegata una dichiarazione nella quale Edoardo, senza entrare nei dettagli dei suoi sentimenti personali,  spiegava quanto fosse stato difficile giungere alla decisione e quanto fossero state tenute in conto le conseguenze del suo gesto. 
Quest'atto ufficiale venne ratificato, sempre in data 11 dicembre, dalle camere e dai parlamenti del Commonwealth dal documento "His Majesty’s Declaration of Abdication Act 1936". 
Dal momento della firma dell'atto, Edoardo non fu più re e il trono passò automaticamente al primo della linea di successione al trono e padre della futura Elisabetta II, ovvero al fratello Albert, che assunse il nome di Giorgio VI.

Il giorno seguente, 11 dicembre 1936, Edoardo indirizzò alla nazione e a tutto l'Impero britannico un discorso radiofonico di addio, qui sotto riprodotto, che conteneva la confessione della vera motivazione dell'abdicazione che sarebbe passata alla storia come la più romantica e zuccherosa:
“ Dovete credermi se vi dico che ho trovato impossibile farmi carico delle responsabilità e dei doveri di sovrano come avrei voluto senza l’aiuto e il sostegno della donna che amo”.



Mi scuso se, per seguire una pulce, sono finita nel gossip, seppure storico, ma devo confessare che non riesco ancora a trovare l'aggancio che permise a Gramellini in quel lontano 2013 di mettere assieme Papa Benedetto ed Elisabetta II, se non per qualche atto negromantico ispiratogli dal mago di Elisabetta I, John Dee. 
Penso che resteremo tutti nel dubbio amletico, sempre in omaggio ad Albione.

Ad ogni modo l'esercizio non è stato vano perché in un altro articolo di allora del teologo Vito Mancuso, intitolato: "I due Pontefici in Vaticano La scelta laica di Benedetto XVI. Con le sue dimissioni il Pontefice segna la distinzione tra "fare" ed "essere" Papa", pieno di gustose inversioni  assai rivelatorie, si comprende come l'interpretazione più  modernista e laica del gesto di Benedetto XVI - che forse aveva ispirato Gramellini, sia stata quella che più rapidamente ne colse le motivazioni politiche, al contempo paradossalmente rivelando, ma solo a chi avesse avuto la fede, il logos per coglierle, quelle escatologiche che portavano un ben altro ed alto significato di testimonianza cristiana. Come la  successiva presenza di Benedetto ed il suo essere sempre e per sempre un esempio per i fedeli.

Lo ripeto, prestate attenzione ai titoli. Cliccate sul link che raccoglie le prime pagine dei giornali di quel 12 febbraio, leggeteli rapidamente tutti, uno dopo l'altro, anche quelli dei relativi editoriali e alla fine, quando tutte le parole si aggiusteranno e riordineranno nel loro unico possibile senso logico e le suggestioni offriranno logiche risoluzioni all'enigma, capirete come è andata la storia. La verità è scivolosa, sfugge comunque alle mani di chi vuole rinchiuderla per potersi finalmente disvelare. E spesso quella che viene sempre subito riconosciuta per prima come verità lo è veramente.

E' un vero peccato che a distanza di anni coloro che allora colsero immediatamente quell'anomalia del doppio papato e in alcuni casi le sue implicazioni escatologiche abbiano dimenticato tutto e, come ricercatori della verità, si siano posti, come direbbero i massoni, in sonno, guardandosi bene dal denunciare, soprattutto dopo la morte di Benedetto, la situazione di grave incertezza riguardo alla legittimità del - come lo definisce Viganò, "contropapa Bergoglio". Il quieto vivere, tranne che per pochissimi coraggiosi, è diventato il nuovo dogma di fede. 

Eppure se nessun atto ufficiale contenente una valida abdicazione è mai stato firmato da papa Ratzinger - se no perché non mostrarlo per tacitare le voci sull'invalidità della rinuncia stessa, è pur vero che la "bolla di Benedetto XVI" è sempre stata idealmente lì sulla sua scrivania, in bella mostra come la lettera rubata di Poe, ma visibile solo a chi avesse prestato attenzione ascoltando finalmente e con umiltà la fino ad allora inascoltata voce del Papa. 


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