giovedì 5 giugno 2008

Esegesi di Ahmadinejad for dummies

Solo un idiota si metterebbe a gridare che vuole la distruzione di Israele, avendo tutti gli amici di Israele attorno, con gli M16 puntati alla sua testa e una pattuglia di B52 che gli svolazza sopra.
O Ahmadinejad è un idiota o è un pupo che interpreta una parte, quella del feroce Saladino che regolarmente va a sbattere con rumore di ferraglia contro i crociati venuti a combatterlo. In ogni caso è un mistero perchè faccia di tutto per fare la fine di Saddam Hussein. Esistono forme di suicidio decisamente stravaganti.

Però è anche vero che le parole di Ahmadinejad, non sembrando mai abbastanza forti per lo scopo che ci si è prefissati, l'attacco all'Iran già deciso anche se al posto di Ahmadinejad ci fosse lo Scià redivivo, vengono aggiustate sulla stampa occidentale in modo truffaldino, tanto nessuno crede al "nuovo Hitler" ma ai paladini della libertà, che non importa si facciano rappresentare da un Orlando sempre più fuori di senno.

Per esempio, Ahmadinejad dice che "presto il regime sionista sarà spazzato via". Nella traduzione, anzi nell'esegesi, diventa "Israele sarà spazzato via". Si noti che Ahmadinejad viene intervistato in TV e ripete, in modo che tutti possiamo sentirlo, "il regime sionista è giunto alla fine" riferendosi appunto al sistema di potere di Tel Aviv ma alla fine andremo a letto con la certezza che lui intendeva "cancellare Israele", pompelmi compresi.
Qui trovate la traduzione integrale dell'intervista che ha rilasciato al TG1. Il pensiero di Ahmadinejad è come il gioco del "campo minato". Dice cose anche giuste disseminate di minchiate che esplodono all'improvviso distruggendo tutto il discorso. Ad esempio, quando dice "ammettiamo che qualcosa sia successo (riferendosi all'Olocausto), bbooom"! E' per questo suo suggerire il negazionismo che i suoi esegeti vanno a nozze e si prendono delle libertà con le traduzioni. Quindi, augurarsi la fine del sionismo equivale a voler cancellare Israele.

Sarebbe come se il deputato Schulz (ricordate, il famoso kapò del film sui campi di concentramento nazisti) dicesse che "il potere di Berlusconi presto giungerà alla fine" e il Giornale scrivesse che "La Germania vuole buttare a mare gli Italiani." Lo so, è un paragone cretino ma non me ne viene in mente uno più intelligente, visto il livello della propaganda in gioco.
Io non sono abituata ad identificare i regimi politici (dittatoriali o meno) con i popoli che da essi si fanno rappresentare, volenti o nolenti. Un iraniano qualunque non dovrebbe mai pagare per le parole di un pupo come Ahmadinejad. Come non ritengo il mio amico israeliano responsabile delle vaccate di Olmert e Sharon.

P.S. Sto leggendo "Lepidezze postribolari" di Luttazzi, dove si fa notare come sia Bush che Ahmadinejad abbiano gli occhi talmente vicini che uno finisce per rassomigliare all'altro. La vignetta è ancora più esplicita. Succede lo stesso tra moglie e marito e tra cane e padrone.




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mercoledì 4 giugno 2008

Obama bama bama, sai perchè mi batte il corazón?

"Allora vedo che non ha capito. Io non sono qui per salvare Rambo da voi. Io sono qui per salvare voi da lui". (Trautman)

Nonostante la resistenza ad oltranza di Hillary che non se ne vuole andare come gli ubriachi a tarda notte nei bar (e speriamo non sia necessario chiamare la forza pubblica), Barack Obama si avvia a diventare il candidato ufficiale per il Partito Democratico (quello originale, americano) alle presidenziali di autunno.

Diciamo la verità. L'unica cosa sicura di questo prossimo cambio di gestione alla White House è che George W. Bush si leverà dai coglioni. Sul resto c'è grande incertezza.
Un'altro fatto quasi ormai assodato è che avremo da una parte un candidato che si chiama come le patatine surgelate e dall'altra uno che ha una pericolosa assonanza con ben due nemici pubblici numero uno d'America. La prima cosa è un vantaggio, la seconda un terribile handicap.
E' già successo che dei giornalai televisivi siano stati colpiti dal lapsus improvviso. "Obama Bin Laden....oops, scusate. Osama." Il secondo nome di Obama è Hussein, come Saddam. Vedrete come giocherà sporco l'inconscio.

Il candidato repubblicano McCain mantiene finora un basso profilo, tenendosi in disparte in attesa che la ex-first lady ceda e il suo giovane contendente democratico si getti nella mischia per passare finalmente al dunque.
Secondo me McCain è comunque avvantaggiato, da qualunque angolazione si guardi la faccenda.
Alle primarie repubblicane non ha dovuto combattere con altri candidati pericolosi, visto che i contendenti erano perfino troppo per i nazisti dell'Illinois.
Lui è stato da subito il più presentabile e presidenziabile: repubblicano si ma non il solito falcaccio ottuso alla Charlton Heston. Un falco dal volto umano, piuttosto.
Un vecchio si, ma ex soldato, che potrebbe rappresentare la riscossa dei reduci, in una nazione che ne conta migliaia, tornati più o meno malconci da guerre combattute non si sa perchè e per conto di chi e sempre a migliaia di chilometri da casa. In fondo sarebbe Rambo presidente. Il Rambo preso a cornate e ingratitudine che vince finalmente la sua guerra.

John è uno che si è fatto cinque anni di prigionia in Vietnam, che cazzo, mica come gli imboscati Reagan e Dubya, uno intento a stanare comunisti dei condotti per l'aria condizionata negli uffici di Hollywood e l'altro a scaldare una sedia grazie alla raccomandazione di papi.
McCain è in grado, vedrete, di convincere gli americani che si può essere ancora repubblicani nonostante le balle di Bush, la guerra fallimentare in Iraq (che lui non a caso non approva) e tutto ciò che questa amministrazione ha fatto di male.
McCain ha un altro vantaggio. Potrà scegliersi, se eletto, il vice che vuole. Non ha Laura Bush attaccata ai maroni.
E infine, si diceva, non sottovalutate le patatine, sono un messaggio subliminale importante. A tutti piacciono le patatine fritte.

Ma perchè poi sto parlando di McCain quando il post è su Obama?
Barack è giovane, bello, di una tonalità di nero giusta, accettabile anche nei saloni della borghesia WASP.
Certo, a differenza di McCain ha questa palla al piede, la signora Clinton, che si era illusa di rappresentare il nuovo dopo ben otto anni vissuti alla Casa Bianca. Se democratici, gli americani vogliono la novità. Il primo presidente nero, appunto, non la terza volta di Hillary.
Barack ha idee molto belle e nobili, per esempio le solite promesse sulla sanità pubblica per tutti e il ritorno a casa dall'Iraq.
Peccato che sulle questioni tipo pace in Medio Oriente non si discosti di una virgola dal solito armamentario dei candidati americani repubblicani o democratici purchessia: "Oh, io amo Israele, Israele ha diritto di difendersi, combatteremo per la sicurezza di Israele, manderemo aiuti ad Israele, noi siamo i migliori amici di Israele, Israele può fare di me e di noi ciò che vuole".
Non una parola sulla Palestina, muso duro con l'Iran e sostanziale appoggio all'agenda estera neocon. Con tutto ciò gliela menano ancora con Farrakhan e le origini musulmane del babbo, poi divenuto ateo convinto.

Tra qualche mese ci caveremo la curiosità di sapere chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. Speriamo non si finisca al solito con il testa a testa e la mappata di voti afroamericani che sparisce nei diabolici circuiti delle macchinette della Diebold in qualche stato chiave. Florida 2000, Ohio 2004 e il prossimo? Alabama?
Un presidente afroamericano sarebbe bello, come riscatto per una parte enorme della popolazione americana e soprattutto per le facce che farebbero i KuKluxKlan del cazzo ma, provando ad immaginare la scena dell'inauguration, non so, la cosa non mi convince.

Ho paura delle patatine fritte.


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venerdì 30 maggio 2008

La pioggia sporca nel Pigneto

Visto che l'argomento interessa, tanto che ci sono stati diversi OT nel post precedente, dirò la mia e dirò che c'è puzza di bruciato in questa storia. Anzi c'è sentore di agents provocateurs.
Per carità, prima che salti su la solita testina di cazzetto anonima, sono esistiti ed esistono picchiatori comunisti, chi lo nega. Mica per niente quando ero piccola si sentiva cantare "il fascio è ancor più bello con la spranga nel cervello".

Però, però, però, questo signore dello sgub di Repubblica sembra uscito da un film di Verdone, da una delle magistrali interpretazioni dell'indimenticato Mario Brega, oppure da un gruppo di comparse di Cinecittà. Poteva vestirsi da gladiatore (nel senso di quelli che stazionano fuori dal Colosseo con la spada e l'elmo di latta) e sarebbe forse stato più credibile.




Prima di tutto il tatuaggio. O ha cercato di farselo cancellare oppure sembra falso. Me lo diceva oggi un amico che se ne intende, visto che credo abbia rimasto solo un decimetro quadro di pelle libera da scritte e simboli. Addirittura abbiamo rievocato assieme quei tatuaggi che si comperavano in edicola da bambini.
Poi la creazione del personaggio.
"Eccome qua, io sarei il nazista che stanno a cercà da tutti i pizzi. Guarda qua. Guarda quanto so' nazista...". La mano sinistra solleva la manica destra del giubbetto di cotone verde che indossa, scoprendo la pelle. L' avambraccio è un unico, grande tatuaggio di Ernesto Che Guevara. "Hai capito? Nazista a me? Io sono nato il primo maggio, il giorno della festa dei lavoratori e al nonno di mia moglie, nel ventennio, i fascisti fecero chiudere la panetteria al Pigneto perché non aveva preso la tessera".
Un communista tanto vero da sembrare finto. Comunque sentiamo come sono andate le cose secondo lui. Ricordo che il raid contro il negozio dell'extracomunitario è stato compiuto la settimana scorsa da una quindicina di incappucciati sprangamuniti, non dal solo cavaliere solitario, come dalla nuova versione da lui riportata.
Alle 17 di sabato, dunque, arriva "Ernesto". Ma non da solo.
«Eh no. Fermati. Fermati qui. Io arrivo da solo. Perché io voglio andare a gonfiare il marocchino da solo. Io quando devo fare a cazzotti non mi porto dietro nessuno. Il problema è che quando arrivo all' angolo con via Macerata non ti trovo una quindicina di ragazzi del quartiere? Tutti incazzati e bardati. Te l' ho detto. Mi vogliono bene. Avevano saputo della tarantella ed erano due giorni che sentivano questa storia di questo portafoglio. Evidentemente volevano starci pure loro e si sono presentati. Non l' ho mica chiamati o invitati».
"Ernesto" fa un cenno al cameriere. Chiede un whiskey di malto scozzese. Un "Oban". Strizza l' occhio. «Lo vedi questo? E' cresciuto con me al Pigneto». «Che stavo a dì? Ah sì, i pischelli. Io davvero non riesco a capire come si sono inventati la storia della svastica. Ma quale svastica? Io questi pischelli non li conosco personalmente, ma mi dicono che sono tutto tranne che fascisti. E, comunque svastiche non ce n' erano. Quei pischelli, per quanto ne so, si fanno il culo dalla mattina alla sera. E hanno solo un problema. Si sono rotti il cazzo di vedere la madre, la sorella o la nonna piangere la sera, perché qualche vigliacco gli ha sputato o gli ha fischiato dietro il culo.
Te lo ripeto, io non l' ho chiamati. Io ce li ho trovati. E poi, scusa tanto sa, ma hai mai visto tu un raid nazista senza una scritta su un muro? Qualcuno si è chiesto perché, se era un raid, nessuno ha toccato per esempio i sette senegalesi che vendevano i cd taroccati in via Macerata? Lo vuoi sapere perché? Perché i senegalesi non avevano fatto niente. Perché sono amici. Perché portano rispetto e quando stava per cominciare il casino al negozio dell' indiano, gli ho detto di mettersi da una parte».
Insomma, un caso di telepatia perchè di solito non ci si porta sempre dietro i passamontagna e le spranghe perchè potrebbero tornare utili. Ci si concia in quel modo con premeditazione per andare a menare. La possibilità che si siano incontrati per caso, suvvia, fa ridere i polli.

Magari è tutto vero, l'episodio dimostrerebbe che gli opposti estremismi a volte si toccano ma Ernesto sparalesto, secondo il tenente Colombo, non la racconta giusta. Fa pensare che cerchi pubblicità, oppure vuole coprire gli altri con la trovata del Che tatuato per far capire che lui è "communista così" e i quindici passavano di lì per caso. Quando le cose puzzano, puzzano.

Intanto, con questa trovata, da oggi in poi qualunque raid neonazista sarà attribuito ai comunisti. Perchè i fascisti non esistono, sono solo nei nostri brutti sogni.

P.S. Anche Maradona fa parte della banda?


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giovedì 29 maggio 2008

Il cinema, il cinema ribelle

Càpita a volte che un film che sulle prime ti era sembrato un tantino verboso, del quale magari te ne eri dormita un pezzo, nei giorni successivi ti scavi dentro come una talpa. A me succede spesso e di solito con i film che alla fine mi piacciono e ricordo di più.
E' l'effetto che mi ha fatto "Leoni per agnelli" di Robert Redford.

I critici cinematografici con i controcoglioni ci tengono a sottolineare che è un film schierato, di parte, ohibò di quel democratico incallito di Redford. Quindi non gli piace perchè, se è bello e cool scoprire il lato buono dell'ex carognone Ispettore Callaghan ammorbiditosi con l'età, si meravigliano che chi è stato democratico in gioventù non diventi un fascistaccio da vecchio.
Redford magari non ha il coraggio di gridare in faccia quel vaffanculo alla classe dirigente della quale racconta in questo film i misfatti perchè è un signore ma usa comunque allusioni sottili, e un finale che è peggio di una rasoiata che ti porta via l'orecchio.

E' un film in parallelo. Due soldatini volontari (metaforicamente rappresentati dal nero e dall'ispanico) mandati al macello, un giovane senatore 'rrampante con il cuore in pelle di coccodrillo che finisce per credere alle balle che racconta; una giornalista come non se ne fanno più, con i neuroni che si accendono di luce propria e che perlamadonna producono domande! che intervista il senatore per la sua rete televisiva; un professore socratico che cerca di risvegliare lo studentello brillante ma svogliato, quello capace in potenza di grandi cose, "che potrebbe fare di più" ma che ne ha per il cazzo. C'è un America da ricostruire (anche una sinistra?) e bisogna darsi da fare con il materiale che si ha a disposizione.

Qual'è la tesi di fondo del film? Questa guerra, queste guerre, venute dopo l'11 settembre, sono costruite sulle menzogne.
Il grande impero militare americano manda ancora i soldatini allo sbaraglio come nel Vietnam. "Mi sembra militarese per esca" fa notare la Streep al senatore Cruise quando lui spaccia la trovata di mandare piccoli gruppi di militari in mezzo ai talebani in cima ad una montagna come una grande campagna risolutiva della guerra. Campagna studiata a tavolino a Washington da gente che al massimo può rischiare la pelle scivolando nella doccia e che è specializzata nel mandare gli altri a morire per i suoi porci interessi. Quegli altri che riescono ad essere comunque eroi, i leoni del titolo, appunto.

Il duello dialettico tra Streep e Cruise è il pezzo chiave del puzzle, quello che mette a nudo il ruolo della politica e della stampa come complici nel trascinare il destino dei popoli nel baratro della guerra. E' solo quando i due agiscono in sinergia che il trucco funziona alla meraviglia.
"Quand'è che siete diventati così?" chiede Cruise ironicamente alla sua interlocutrice, intendendo "così bravi a bervi qualunque balla".
"Eravamo stati attaccati, c'erano i ragazzi impegnati al fronte", è la giustificazione che dà la Streep e che chiunque darebbe, in certe condizioni e soprattutto essendo americano. Facile pensare che se i leoni venissero a sapere fino a che punto gli agnelli li hanno raggirati non tarderebbero a sbranarli senza pietà.
Quando Meryl torna in redazione e parla al suo capo dell'intervista realizzata con il senatore, delle sue perplessità e dice "non possiamo riportare automaticamente tutto ciò che il governo ci dice", Redford ci mostra un'America ancora disperatamente aggrappata ai valori democratici, che però forse non resisterà alle logiche della scelta dei titoli delle breaking news.

Credo che questo film mi stia scavando dentro perchè, anche se parla dell'America, della guerra in Afghanistan, dell'eroismo dei marines, della patria e dei media a stelle e strisce è un film che riguarda l'Italia e quello che è diventata da noi l'informazione.
In quale buco nero è scomparsa la nostra stampa? Dove sono finiti i giornalisti che facevano le domande e mettevano in buca il potente intervistato, come faceva la buonanima dell'Oriana ai vecchi tempi? Che direbbero "no, questo non lo posso scrivere"?
Potremmo chiederci dove sono finiti i giornalisti e basta, sostituiti da una razza di reggitori di code e microfoni, con la testa che fa si-si come i cagnolini a molla delle automobili anni '60. Cagnolini da riporto di balle preconfezionate.

A questo punto immagini lo stesso film ambientato in Italia. Una giornalista entra nello studio del senatore per intervistarlo. Si sdraia a pelle di leone o si inginocchia e a questo punto non riesci ad immaginare altro, come seguito, che un film porno.

martedì 27 maggio 2008

Finkelstein, il Prometeo moderno

Chissà perchè ogni tanto i paesi democratici, per allentare la tensione e lo sforzo di sembrare appunto democratici, come in preda ad un impulso irrefrenabile, si comportano come se democratici non lo fossero assolutamente.

Norman Finkelstein, professore americano di scienze politiche e autore di testi molto critici sulla politica di Israele verso i palestinesi e teorico di quello che lui definisce lo sfruttamento della Shoah a fini utilitaristici, per giustificare cioè qualunque atto dello stato di Israele, è stato fermato venerdì scorso all'aeroposto di Tel Aviv da agenti del servizio segreto Shin Bet, arrestato, trattenuto 24 ore e infine notificato del divieto per i prossimi 10 anni a entrare in Israele.

Finkelstein, che è figlio di un'ebrea polacca sopravvissuta ai campi di sterminio e quindi come tale avrebbe diritto, per la cosiddetta "legge del ritorno", a diventare automaticamente cittadino israeliano, è stato trattato come terrorista e interrogato su presunti legami con Al Qaeda ed Hamas. Pare che in questi casi basta che i servizi decidono che una persona è non grata per bypassare qualunque legge.
Il giornale progressista "Haaretz" si è domandato perchè negare l'ingresso in Israele a uno studioso, pur controverso, e lasciare invece campo libero agli estremisti di destra kahanisti. Forse Haaretz finge di essere ingenuo. I kahanisti non mettono in dubbio la bontà intrinseca del sionismo.

Non c'è molto da meravigliarsi su questo clamoroso ostracismo, un pò da ex regime sovietico più che da "unico paese democratico dell'area mediorientale".
Finkelstein è uno che con i suoi scritti ha pestato piedi illustri. Difende i palestinesi (ohibò), ha amici arabi (che avrebbe dovuto incontrare nei territori nel corso del suo viaggio, assieme agli israeliani della associazione B'Tselem), si è inimicato i sepolcri imbiancati come Elie Wiesel e ha smontato pezzo per pezzo un best-seller come i "volonterosi carnefici" di Daniel J. Goldhagen.

Il suo peggior nemico, comunque, è Alan Dershovitz, grande difensore di Israele in primis e avvocato di grido, per arrotondare. La specialità dello studio Dershovitz è riuscire a far assolvere uxoricidi illustri. Grazie ai suoi servigi l'hanno fatta franca O.J. Simpson e Claus Von Bulow.
Dershovitz non dorme la notte per studiare il modo di danneggiare Finkelstein.
E' riuscito, la scorsa estate, a far annullare una serie di lezioni che il rivale avrebbe dovuto tenere alla De Paul University, tanto che alla fine questi ha dovuto dare le dimissioni. E' talmente ossessionato da lui che se uno si apposta sotto le sue finestre e grida "Finkelstein!!!" si sente il suo cavallo nitrire.

Al di là delle dispute accademiche, è comunque inquietante che si venga arrestati per un'opinione e che soprattutto il fatto non diventi notizia. Chi ha sentito parlare di questo fatto in tv? La cosa diventa normale se accade in Israele? La tesi sarebbe interessante da discutere.
Immagino il casino se un intellettuale cubano anticastrista fosse stato fermato all'Avana e bandito per 10 anni dall'isola. Voi no?


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