Càpita a volte che un film che sulle prime ti era sembrato un tantino verboso, del quale magari te ne eri dormita un pezzo, nei giorni successivi ti scavi dentro come una talpa. A me succede spesso e di solito con i film che alla fine mi piacciono e ricordo di più.
E' l'effetto che mi ha fatto "Leoni per agnelli" di Robert Redford.
E' l'effetto che mi ha fatto "Leoni per agnelli" di Robert Redford.
I critici cinematografici con i controcoglioni ci tengono a sottolineare che è un film schierato, di parte, ohibò di quel democratico incallito di Redford. Quindi non gli piace perchè, se è bello e cool scoprire il lato buono dell'ex carognone Ispettore Callaghan ammorbiditosi con l'età, si meravigliano che chi è stato democratico in gioventù non diventi un fascistaccio da vecchio.
Redford magari non ha il coraggio di gridare in faccia quel vaffanculo alla classe dirigente della quale racconta in questo film i misfatti perchè è un signore ma usa comunque allusioni sottili, e un finale che è peggio di una rasoiata che ti porta via l'orecchio.
E' un film in parallelo. Due soldatini volontari (metaforicamente rappresentati dal nero e dall'ispanico) mandati al macello, un giovane senatore 'rrampante con il cuore in pelle di coccodrillo che finisce per credere alle balle che racconta; una giornalista come non se ne fanno più, con i neuroni che si accendono di luce propria e che perlamadonna producono domande! che intervista il senatore per la sua rete televisiva; un professore socratico che cerca di risvegliare lo studentello brillante ma svogliato, quello capace in potenza di grandi cose, "che potrebbe fare di più" ma che ne ha per il cazzo. C'è un America da ricostruire (anche una sinistra?) e bisogna darsi da fare con il materiale che si ha a disposizione.
Qual'è la tesi di fondo del film? Questa guerra, queste guerre, venute dopo l'11 settembre, sono costruite sulle menzogne.
Il grande impero militare americano manda ancora i soldatini allo sbaraglio come nel Vietnam. "Mi sembra militarese per esca" fa notare la Streep al senatore Cruise quando lui spaccia la trovata di mandare piccoli gruppi di militari in mezzo ai talebani in cima ad una montagna come una grande campagna risolutiva della guerra. Campagna studiata a tavolino a Washington da gente che al massimo può rischiare la pelle scivolando nella doccia e che è specializzata nel mandare gli altri a morire per i suoi porci interessi. Quegli altri che riescono ad essere comunque eroi, i leoni del titolo, appunto.
Il duello dialettico tra Streep e Cruise è il pezzo chiave del puzzle, quello che mette a nudo il ruolo della politica e della stampa come complici nel trascinare il destino dei popoli nel baratro della guerra. E' solo quando i due agiscono in sinergia che il trucco funziona alla meraviglia.
"Quand'è che siete diventati così?" chiede Cruise ironicamente alla sua interlocutrice, intendendo "così bravi a bervi qualunque balla".
"Eravamo stati attaccati, c'erano i ragazzi impegnati al fronte", è la giustificazione che dà la Streep e che chiunque darebbe, in certe condizioni e soprattutto essendo americano. Facile pensare che se i leoni venissero a sapere fino a che punto gli agnelli li hanno raggirati non tarderebbero a sbranarli senza pietà.
Quando Meryl torna in redazione e parla al suo capo dell'intervista realizzata con il senatore, delle sue perplessità e dice "non possiamo riportare automaticamente tutto ciò che il governo ci dice", Redford ci mostra un'America ancora disperatamente aggrappata ai valori democratici, che però forse non resisterà alle logiche della scelta dei titoli delle breaking news.
Credo che questo film mi stia scavando dentro perchè, anche se parla dell'America, della guerra in Afghanistan, dell'eroismo dei marines, della patria e dei media a stelle e strisce è un film che riguarda l'Italia e quello che è diventata da noi l'informazione.
In quale buco nero è scomparsa la nostra stampa? Dove sono finiti i giornalisti che facevano le domande e mettevano in buca il potente intervistato, come faceva la buonanima dell'Oriana ai vecchi tempi? Che direbbero "no, questo non lo posso scrivere"?
Potremmo chiederci dove sono finiti i giornalisti e basta, sostituiti da una razza di reggitori di code e microfoni, con la testa che fa si-si come i cagnolini a molla delle automobili anni '60. Cagnolini da riporto di balle preconfezionate.
A questo punto immagini lo stesso film ambientato in Italia. Una giornalista entra nello studio del senatore per intervistarlo. Si sdraia a pelle di leone o si inginocchia e a questo punto non riesci ad immaginare altro, come seguito, che un film porno.
Redford magari non ha il coraggio di gridare in faccia quel vaffanculo alla classe dirigente della quale racconta in questo film i misfatti perchè è un signore ma usa comunque allusioni sottili, e un finale che è peggio di una rasoiata che ti porta via l'orecchio.
E' un film in parallelo. Due soldatini volontari (metaforicamente rappresentati dal nero e dall'ispanico) mandati al macello, un giovane senatore 'rrampante con il cuore in pelle di coccodrillo che finisce per credere alle balle che racconta; una giornalista come non se ne fanno più, con i neuroni che si accendono di luce propria e che perlamadonna producono domande! che intervista il senatore per la sua rete televisiva; un professore socratico che cerca di risvegliare lo studentello brillante ma svogliato, quello capace in potenza di grandi cose, "che potrebbe fare di più" ma che ne ha per il cazzo. C'è un America da ricostruire (anche una sinistra?) e bisogna darsi da fare con il materiale che si ha a disposizione.
Qual'è la tesi di fondo del film? Questa guerra, queste guerre, venute dopo l'11 settembre, sono costruite sulle menzogne.
Il grande impero militare americano manda ancora i soldatini allo sbaraglio come nel Vietnam. "Mi sembra militarese per esca" fa notare la Streep al senatore Cruise quando lui spaccia la trovata di mandare piccoli gruppi di militari in mezzo ai talebani in cima ad una montagna come una grande campagna risolutiva della guerra. Campagna studiata a tavolino a Washington da gente che al massimo può rischiare la pelle scivolando nella doccia e che è specializzata nel mandare gli altri a morire per i suoi porci interessi. Quegli altri che riescono ad essere comunque eroi, i leoni del titolo, appunto.
Il duello dialettico tra Streep e Cruise è il pezzo chiave del puzzle, quello che mette a nudo il ruolo della politica e della stampa come complici nel trascinare il destino dei popoli nel baratro della guerra. E' solo quando i due agiscono in sinergia che il trucco funziona alla meraviglia.
"Quand'è che siete diventati così?" chiede Cruise ironicamente alla sua interlocutrice, intendendo "così bravi a bervi qualunque balla".
"Eravamo stati attaccati, c'erano i ragazzi impegnati al fronte", è la giustificazione che dà la Streep e che chiunque darebbe, in certe condizioni e soprattutto essendo americano. Facile pensare che se i leoni venissero a sapere fino a che punto gli agnelli li hanno raggirati non tarderebbero a sbranarli senza pietà.
Quando Meryl torna in redazione e parla al suo capo dell'intervista realizzata con il senatore, delle sue perplessità e dice "non possiamo riportare automaticamente tutto ciò che il governo ci dice", Redford ci mostra un'America ancora disperatamente aggrappata ai valori democratici, che però forse non resisterà alle logiche della scelta dei titoli delle breaking news.
Credo che questo film mi stia scavando dentro perchè, anche se parla dell'America, della guerra in Afghanistan, dell'eroismo dei marines, della patria e dei media a stelle e strisce è un film che riguarda l'Italia e quello che è diventata da noi l'informazione.
In quale buco nero è scomparsa la nostra stampa? Dove sono finiti i giornalisti che facevano le domande e mettevano in buca il potente intervistato, come faceva la buonanima dell'Oriana ai vecchi tempi? Che direbbero "no, questo non lo posso scrivere"?
Potremmo chiederci dove sono finiti i giornalisti e basta, sostituiti da una razza di reggitori di code e microfoni, con la testa che fa si-si come i cagnolini a molla delle automobili anni '60. Cagnolini da riporto di balle preconfezionate.
A questo punto immagini lo stesso film ambientato in Italia. Una giornalista entra nello studio del senatore per intervistarlo. Si sdraia a pelle di leone o si inginocchia e a questo punto non riesci ad immaginare altro, come seguito, che un film porno.
Questo film non l'ho visto ma grazie per il consiglio.
RispondiEliminaGrazie mille per il bel commento, CIAO!!! :-D
Tra un cartone animato ed un supereroe con i piccerilli, sono riuscito a vederlo e mi piacque tantissimo.
RispondiEliminaIl finale non me lo scordo più, in pochi minuti riesce a raccontarti l'orrore di una guerra come altri non sono riuciti con un film intero.
Anche "Nella valle di Elah" mi piacque tantissimo.
Ma la ricreazione è finita: domenica si va tutti dal vecchio Indy... ;-)
C'è il problema che la denuncia non basta. Un Obama cambierebbe qualcosa ? Clinton lo ha fatto ? Non ha fatto anch'egli una guerra farlocca contro la Serbia, bombardando l'ambasciata cinese ?
RispondiEliminaIo non credo che gli Usa potranno essere mai un paese veramente democratico sino a quando non avranno un partito che farà proprie le istanze dei lavoratori.
Nè si può pensare ad una stampa coraggiosa se dietro non ha le manifestazioni operaie
L'ispettore Callaghan però era Clint Eastwood!
RispondiEliminaNegli Stati Uniti non si può sperare in una stampa coraggiosa?! Gli Stati Uniti sono la patria del giornalismo d'inchiesta (Nixon fu costretto alle dimissioni da un'inchiesta del Washington Post)! Nel 2008 Washington Post e New York Times hanno vinto 8 Pulitzer insieme, grazie ad articoli e inchieste su questioni scottanti come il sistema di potere a cui fa capo Dick Cheney, la questione dei contractor in Iraq o le condizioni in cui versano i veterani di guerra.
RispondiEliminaIn TV, poi, vanno in onda trasmissioni come 60 Minutes che noi possiamo solo invidiare.
Un esempio della stampa: aggressione al Pigneto, tutta la stampa sbraita sull'ennesima aggressione naziskin e razzista.
RispondiEliminaTutti i "sinceri democratici" (comunisti) si mobilitano e fanno anche cortei.
Poi si viene a scoprire che il capo aveva il tatuaggio di Che Guevara e che nella banda c'era anche un nero.
Quanti giornali hanno titolato:-Aggressione comunista al Pigneto-?
Vi ponete il problema della stampa e dei giornalisti solo quando ne avete l'interesse diretto!!
L'aggressione al Pigneto è un'aggressione di tipo razzista, perché aggredire in modo indiscriminato persone immigrate solo per la ragione che appartengono alla stessa etnia di chi ha rubato un portafoglio, quasi per una colpa collettiva, è un atto di razzismo. Che poi l'autore della rappresaglia razzista abbia tatuato sull'avambraccio Che Guevara, Rocco Buttiglione o Madre Teresa di Calcutta e si definisca comunista, focolarino o buddista non cambia la qualificazione del suo gesto.
RispondiEliminaE' comunque sempre giusto ricordare a chi ha la memoria corta che in passato c'è stato un partito che ha fatto del razzismo un manifesto politico e che alcuni importanti esponenti dell'attuale maggioranza vogliono onorare con l'intitolazione di una strada un personaggio che scriveva frasi ignobili sui "meticci e sugli ebrei".
credo anche io che non esistano più giornalisti all'Oriana, almeno non in Italia. Quando vedo interviste ai potenti è diventato impossibile sentire una domanda che possa essere un po' scomoda; a volte i giornalisti deviano addirittura sul gossip e su domande personali, quelle ovviamente ammissibili e probabilmente concordate.
RispondiEliminaSugli USA ritengo che nonostante gravi pecche alla sua democrazia (come la pena di morte) esso rappresenti il Paese dove la libertà di espressione è ancora altissima anche se è chiaro che verità scomode siano sempre un po' impopolari e osteggiate.
Dayan, perchè sprecare energie per spiegare certe cose ai seguaci di Feltri e Gasparri?
RispondiEliminascusate se mi intrometto nel discorso aggressione razzista, anzi presunta razzista. Fermo restando che atti del genere sono abominevoli, e fermo restando che un aggressione anche quando non è motivata da ragioni razziali ma da altre "ragioni" è sempre da condannare, ho letto su diversi organi di stampa on line che l'episodio non avrebbe avuto il carattere di un aggressione indiscriminata degli stranieri e pertanto razzista. I bersagli sarebbero stati, invece, ben definiti. Pare infatti che molti senegalesi che vendevano cd sui marciapiedi non siano stati assolutamente toccati, il che confermerebbe l'ipotesi di una ritorsione che non ha nulla a che fare con il razzismo.
RispondiEliminaSe quanto ho letto dovesse essere vero allora onestà intellettuale vorrebbe che anche questo episodio vada incluso nel lunghissimo elenco di strumentalizzazioni messe in atto dagli organi di informazione.
Si ma quella specie di fantoccio di dylan non riuscirà mai a capirlo
RispondiElimina@ Anonimo
RispondiEliminaVediamo di capire, a parte il Che, hai detto: “nella banda c'era anche un nero”. Prendi questa circostanza come prova sicura che non sono stati dei fascisti o “destri” generici a commettere l’aggressione, precisando che la destra é per definizione razzista e quindi un nero, un diverso dall’ariano conforme alle norme della razza, non può essere preso in considerazione se non per essere pestato e schiacciato.
Non credi sia peggiore la scusa dell’accusa, Franz?
Il film l'ho visto e mi è piaciuto moltissimo nella sua schiettezza anche se ai concetti ti ci guida con sottigliezze.
RispondiEliminaSecondo me merita e concordo con Cima su "nella valle di Elah".
La stampa americana comunque npon ha nulla a che vedere con quella italiana.
La Streep fa' capire che sia erano schierati totalmente con le decisioni prese dal governo dopo l'11 settembre come un popolo afflitto e ferito e che prendeva per buono tutto.
Ci può stare, ma dopo mil comportamento dei media è cambiato abbastanza diventando parecchio critico.
Per questo non mi pare si possa fare un pagarone con l'Italia.