Durante una delle mie ultime vacanze in Cadore, passando per Longarone visitai il cimitero delle vittime della tragedia del Vajont, accaduta il 9 ottobre del 1963.
La prima volta che eravamo passati di lì in macchina, il mio compagno mi disse: “Guarda, lassù c’è la diga del Vajont”. Non avevo fatto in tempo a vederla, la diga, ma quella parola comunque mi ricordava vagamente qualcosa che era accaduto quando ero molto piccola, troppo per ricordarmene direttamente. Quella volta non ci fermammo ma lo facemmo l’anno dopo.
Le quasi 2000 vittime dell’onda di fango che sommerse tre paesi, Erto, Casso e Longarone riposano in località Fortogna, vicino alla nuova Longarone. La cosa che più mi colpì di quella visita, che compimmo di mattina, nel cimitero deserto, fu quella data, la stessa, 9 ottobre 1963 che ti inseguiva implacabile da una croce all’altra, da un cippo ad un altro, da una fila all’altra.
Quando tornai a casa volli documentarmi e colmare la mia ignoranza sulla tragedia. Guardai lo spettacolo che Marco Paolini aveva dedicato al Vajont “Orazione civile”, lessi il libro di Tina Merlin “Sulla pelle viva”.
Non si era trattato di una fatalità, ma di un disastro assolutamente prevedibile, provocato dall’incoscienza di chi aveva voluto una diga ultramoderna “che non sarebbe mai crollata” nel luogo dove non avrebbe mai dovuto esserci. La diga non si ruppe, è vero, ma fu la montagna alla quale era stata abbarbicata a forza che cedette. Milioni di tonnellate di montagna franarono sull’invaso e l’onda risultante piombò sui paesi vicini, distruggendo cose e spezzando vite.
Nessuno aveva ascoltato i montanari, cosa vuoi che capiscano più degli ingegneri. Quella diga s’ha da fare. A tutti i costi. Nessuno aveva ascoltato, a diga ormai completata, il borbottìo sempre più inquieto del monte Toc che faceva tremare le case di Erto e Casso e le preoccupazioni delle popolazioni che erano stato raccontate solo da una coraggiosa giornalista, Tina Merlin. Turbativa delle quiete pubblica, fu la denuncia che si beccò, ma Tina continuava a scrivere e a mettere in guardia contro quel mostro che poteva risvegliarsi in qualunque momento. Subito dopo la tragedia scrisse: "Oggi tuttavia non si può soltanto piangere, è tempo di imparare qualcosa".
A quarantatre anni di distanza, abbiamo imparato la lezione?
Per chi vuole approfondire:
Il sito sul disastro del Vajont
Lo spettacolo di Marco Paolini “Vajont, orazione civile” parte I - parte II
Un articolo di Tina Merlin e un’intervista
Il documentario sul Vajont di “La storia siamo noi”
Il "dopo" Vajont, un resoconto delle speculazioni sui fondi destinati ai superstiti, sulle ruberie e i soprusi che quella popolazione ebbe a subire dopo la tragedia. Un grazie di cuore a Caio per la segnalazione.
La prima volta che eravamo passati di lì in macchina, il mio compagno mi disse: “Guarda, lassù c’è la diga del Vajont”. Non avevo fatto in tempo a vederla, la diga, ma quella parola comunque mi ricordava vagamente qualcosa che era accaduto quando ero molto piccola, troppo per ricordarmene direttamente. Quella volta non ci fermammo ma lo facemmo l’anno dopo.
Le quasi 2000 vittime dell’onda di fango che sommerse tre paesi, Erto, Casso e Longarone riposano in località Fortogna, vicino alla nuova Longarone. La cosa che più mi colpì di quella visita, che compimmo di mattina, nel cimitero deserto, fu quella data, la stessa, 9 ottobre 1963 che ti inseguiva implacabile da una croce all’altra, da un cippo ad un altro, da una fila all’altra.
Quando tornai a casa volli documentarmi e colmare la mia ignoranza sulla tragedia. Guardai lo spettacolo che Marco Paolini aveva dedicato al Vajont “Orazione civile”, lessi il libro di Tina Merlin “Sulla pelle viva”.
Non si era trattato di una fatalità, ma di un disastro assolutamente prevedibile, provocato dall’incoscienza di chi aveva voluto una diga ultramoderna “che non sarebbe mai crollata” nel luogo dove non avrebbe mai dovuto esserci. La diga non si ruppe, è vero, ma fu la montagna alla quale era stata abbarbicata a forza che cedette. Milioni di tonnellate di montagna franarono sull’invaso e l’onda risultante piombò sui paesi vicini, distruggendo cose e spezzando vite.
Nessuno aveva ascoltato i montanari, cosa vuoi che capiscano più degli ingegneri. Quella diga s’ha da fare. A tutti i costi. Nessuno aveva ascoltato, a diga ormai completata, il borbottìo sempre più inquieto del monte Toc che faceva tremare le case di Erto e Casso e le preoccupazioni delle popolazioni che erano stato raccontate solo da una coraggiosa giornalista, Tina Merlin. Turbativa delle quiete pubblica, fu la denuncia che si beccò, ma Tina continuava a scrivere e a mettere in guardia contro quel mostro che poteva risvegliarsi in qualunque momento. Subito dopo la tragedia scrisse: "Oggi tuttavia non si può soltanto piangere, è tempo di imparare qualcosa".
A quarantatre anni di distanza, abbiamo imparato la lezione?
Per chi vuole approfondire:
Il sito sul disastro del Vajont
Lo spettacolo di Marco Paolini “Vajont, orazione civile” parte I - parte II
Un articolo di Tina Merlin e un’intervista
Il documentario sul Vajont di “La storia siamo noi”
Il "dopo" Vajont, un resoconto delle speculazioni sui fondi destinati ai superstiti, sulle ruberie e i soprusi che quella popolazione ebbe a subire dopo la tragedia. Un grazie di cuore a Caio per la segnalazione.
http://www.dispersoneiboschi.it/vajont-quelli-del-dopo.html
RispondiEliminaHo comperato un libro di Corona l'altro giorno: "Nel legno e nella pietra" ma anche questo mi interessa, grazie!
RispondiElimina49 anni dopo, eller hur? :)
RispondiElimina"sciacalla", dissero alla tina.
un po' tutte le grandi opere hanno storie simili, anche se il vajont fu estremo. del resto ancora oggi chiunque si oppone a scempi di ogni genere e grado, viene additato come nemico del progresso del benessere e via discendendo, secondo una logica pre-infantile, "amico dei terroristi".
vajont, ricordiamoci delle (poche) prove di invaso e dei modellini che mostrarono come il ponte sarebbe franato. e della diga di pontesei che precedette il vajont. ma ti sono giunte anche a te voci che si vorrebbe riattivare l'impianto?