Se volete la percezione diretta della peggior distruzione di ricchezza dai tempi di guerra e del crollo della domanda interna di un paese, andate per strada e contate i negozi chiusi della vostra città. Io l'ho fatto compiendo il solito tragitto che faccio tutti i giorni da casa al lavoro e ne ho contati almeno una quindicina, percorrendo solo un paio del corsi principali del centro.
Visto che qualche anima bella sostiene che la chiusura dei "negozietti" dei centri storici è dovuta all'avanzata inesorabile del progresso incarnato dalla grande distribuzione figlia della globalizzazione e quasi sta loro bene, ai bottegai, mi sono spinta fino ad un vicino centro commerciale che, porello, sarà nato disgraziato, nonostante sia costato 50 milioni di euro, ma ha già fatto strage di negozi.
Le immagini che ho scattato nel pomeriggio di un sabato primaverile da cani parlano da sole. Non è la tristezza dei negozi sfitti e abbandonati, delle saracinesche abbassate, e neppure a Cinaaa, perché pure i cinesi aprono e chiudono. E' soprattutto la mancanza dei compratori, il deserto delle vie dello shopping, l'atmosfera da post-catastrofe. Che cosa offri se non c'è domanda?
Post scriptum: il nostro piangere fa male al sindaco (nonostante il balsamo dell'IMU).
"Il 24 aprile è stata emanata un’ordinanza firmata dal sindaco di Faenza Giovanni Malpezzi avente per oggetto: “Decoro vetrine dei locali destinati ad attività commerciali e servizi non utilizzati affacciati sulle strade”. Sono vari i motivi per i quali il primo cittadino manfredo ha emesso tale ordinanza che sostanzialmente “ordina” a chi possiede locali commerciali e di servizio sfitti o non utilizzati al piano terra degli immobiii affacciati sulla strada del territorio comunale di tenere pulito. La sanzione pecuniaria per gli inadempienti andrà da Euro 25,00 ad Euro 500,00. È ammesso il pagamento in misura ridotta di Euro 50,00." (fonte)
E' una situazione orrenda. A Milano, anche in zona centrale (l'area da piazza Diaz a Porta Romana, per esempio), non si contano più i negozi chiusi; o meglio, si potrebbero contare ma non lo faccio perché mi verrebbe ancora di più da piangere.
RispondiEliminaIn provincia, la distruzione dei piccoli esercizi commerciali è iniziata prima della Crisi, quando con l'esplosione dei prezzi del settore immobiliare tutti i centri storici, anche dei comuni più piccoli, si sono riempiti di agenzie immobiliari (anche 4-5 nello spazio di cento metri!) e di filiali di banche; poi si sono aggiunte le sale slot e i compro oro, che adesso sembra siano anch'essi in crisi nera. I nuovi esercizi, che qualche "coraggioso" osa ancora aprire, durano in media uno-due anni: li vedo nascere, sopravvivere nella più completa desolazione - con i gestori che tentano di essere ottimisti: "ci saranno tempi migliori, abbiamo appena aperto -, e poi morire come mosche, perché quei tempi non sono arrivati.
Se poi si parla di determinati settori, come quello della cultura, allora la tragedia si vede sempre di più. Sono ancora sotto shock da quando ho saputo che, dopo sessanta (sessanta!) anni di vita sta per chiudere la migliore libreria di Saronno; è la seconda che se ne va, su quattro, in meno di due anni.
Non per difendere l'euro, ma hai fatto un esempio dove ha un gran peso anche l'offerta: oltre ad avere meno soldi da spendere in libri, la gente oggi compra qualche libro al supermercato, acquista gli ebook e trova da leggere cose interessanti, gratuitamente online (sapendole cercare...). In generale, ho l'impressione che tanti settori dell'economia sono condizionati dagli effetti di lungo periodo di vari shock tecnologici. Ma come non demonizzo l'euro, non demonizzo neppure le novità. Il problema è sempre umano: non c'è una volontà politica di ripartire i benefici che queste innovazioni potrebbero dare (a livello mondiale) e qui in Europa (in particolare in Italia) chi aveva il potenziale per primeggiare in questi campi d'avanguardia ha perso vari treni (situazione che va a deprimere anche la domanda). Per recuperare (o solo per difendersi) non serve un cambio di valuta: bisogna trovare risorse per la formazione a tutti i livelli e sostenere la conoscenza. Strada difficile, non è ben tracciata e la meta si raggiunge dopo anni di faticoso cammino
EliminaQuesto bellissimo post dovrebbe essere dedicato agli ipocriti predicatori della produttività. Mi ricorda il confronto tra i due baristi di Alberto Bagnai: è messo meglio quello che prepara venti caffè senza venderli, oppure quello che ne vende dieci. E ovvio che siamo di fronte a una crisi nera di domanda, ma ai ciechi non servono certo le immagini. Loro sanno di sapere.
EliminaNon sequitur... Parlavo entrare in o sviluppare settori produttivi dove c'è domanda, non di aumentare la produttività tanto per il gusto di farlo (in tanti settori in Italia, nei quali la domanda è effettivamente calata, c'è addirittura un eccesso di produttività). Sono gli ultras anti-euro ad avere un miraggio davanti agli occhi, cambiare valuta non significherebbe tornare automaticamente all'era della lira, il mondo è un posto completamente diverso oggi rispetto a due decenni fa (includo nell'era euro anche il periodo di serpente e dello SME, che ci ha tutelato da attacchi speculativi che non avremmo potuto più reggere; quelle forze erano delle brezze paragonate alle tempeste del mercato finanziario attuale)
EliminaEgregio anonimo, a parte che é regola darsi un nome qui, ma non mi venga a raccontare balle sullo SME, che é stata la prova generale del disastro attuale del vincolo esterno. Qui si é studiato e le menzogne non reggono al fact checking. Mi consenta.
EliminaSig. anonimo,
Eliminanon cerco nemmeno di farle cambiare idea sull'euro sia perché in poche righe sarebbe impossibile, sia perché i suoi argomenti sono già stati abbondantemente affrontati (e, a mio parere, smentiti) da persone ben più autorevoli, brave e competenti di me.
Tornando alla sua prima risposta, sulle librerie ha ovviamente ragione: è un settore in cui la diversificazione dell'offerta, il progresso tecnologico e la crisi di domanda hanno creato un mix letale. Ma il mio esempio voleva solo far riflettere su una tendenza in atto: i piccoli comuni, che pure hanno avuto un passato relativamente vivace, si stanno sempre più trasformando in nonluoghi (nel senso, criticabile ma comunque suggestivo, che Marc Augé dà a questa parola).
Che si possa considerare "progresso", ammesso e non concesso che questa parola abbia qualche significato in sé, al di là delle varie ideologie che nel tempo hanno cercato di impossessarsene, a me sembra opinabile.
Le idee che "è il progresso che avanza", "sono le nuove forme di consumo a cui non ci si può opporre", "non si può andare contro la modernità", applicabili a piacere a ogni ambito, si sono risolte in una forma di (quando va bene) laissez faire continuamente affermato dagli amministratori locali che, pur essendo teoricamente neutro, di fatto favorisce il c.d. nuovo (ad esempio, con la proliferazione di centri commerciali, tra l'altro sempre più vuoti anch'essi) rispetto al c.d. vecchio (i negozi di paese, ormai in gran parte morti e sepolti).
Anche quando la politica locale si dichiara neutrale, e sostiene di voler lasciare agire il mercato, in realtà sta facendo una scelta di campo ben precisa... che, alla lunga, ha portato inevitabilmente alla desolazione (la Crisi nei piccoli comuni ha affrettato un progetto già in atto, come scrivevo prima).
I cittadini in genere non si rendono conto della situazione, e quando lo fanno ormai è tardi... ma nei rari casi in cui si mobilitano per tempo, accadono vere e proprie tragedie come nel caso del centro commerciale di Arese, davvero emblematico della sospensione di ogni principio democratico nel nostro Paese. Se vi interessa, ve lo posso raccontare per sommi capi, anche se qualcosa si può trovare in rete: aspetto però un ok di Lameduck perché si tratta di un "fuori tema" gigantesco.
@Anonimo delle 15,15
Eliminahttp://www.huffingtonpost.it/2013/05/12/george-soros-lo-speculato_n_3262351.html
Ventuno anni fa, con il suo fondo Quantum, contribuì a portare la lira, e la nostra economia, a un passo dal baratro. Ora, George Soros, finanziare americano di origini ungheresi con un patrimonio da 14 miliardi di dollari e una seconda vita da filantropo, è fresco vincitore del premio Terzani, ricevuto ieri a Udine per il suo saggio "La crisi globale e l'instabilità finanziaria europea". Da lì, parlando con Repubblica e La Stampa, ripercorre la massiccia operazione speculativa che mise in ginocchio nel 1992 il Paese. E difende, non senza un certo cinismo, tutte le sue mosse.
"L'attacco speculativo contro la lira - esordisce Soros - fu una legittima operazione finanziaria". "Mi ero basato sulle dichiarazioni della Bundesbank, che dicevano che la banca tedesca non avrebbe sostenuto la valuta italiana. Bastava saperle leggere". Nessun segreto, insomma. Nessuna informazione riservata o soffiata nei salotti dell'alta finanza. Solo una lucida, ma spietata, comprensione della realtà, che Soros sintetizza con una formula particorlamente efficace: "Gli speculatori fanno il loro lavoro, non hanno colpe. Queste semmai competono ai legislatori che permettono che le speculazioni avvengano. Gli speculatori sono solo i messaggeri di cattive notizie".
Hai letto caro anonimo, che ci dice Soros, che lui non ha esitato a speculare sulla lira perchè sapeva bene che la Bundesbank non avrebbe sostenuto la valuta italiana, questo significa che la lira era nello SME che non ci ha affatto difeso dalle speculazioni che non avremmo potuto reggere, le ricordo che in quella tremende giornate le perdite furono ingentissime (48 miliardi di dollari polverizzati per difendere la lira grazie a quei geni di Ciampi e Draghi) e se quelle forze (Soros) erano brezze allora io sono la regina d'Inghilterra. Comunque nonostante la tragedia e il fatto che Ciampi e Draghi siano dove siano, alla fine il Paese resse bene e gli italiani sono riusciti con il loro lavoro a tirare avanti ed anzi proprio perchè usciti dallo SME anche ad avere l'ultima crescita economica prima di ritornare nel grande recinto europeo che ci ha ridotto come è ovvio solo per chi vuole capire e vedere.
Le librerie sono in crisi ovunque e ovunque non si contano più i negozi chiusi. I supermercati proliferano facendosi guerra sui prezzi l'un l'altro ma non su conta il cibo invenduto che sprecano perché nessuno compra.
RispondiEliminaIl guaio è che se provi a far capire ai proprietari che è colpa delle élites europee che attraverso l'€ si sono appropriati del potere macroeconomico (per farne un uso pessimo) ti guardano come un marziano che non sa che in Italia ci sono gli sprechi, la casta e, soprattutto, la corruZZZZione.
Noooo, non è colpa dell'euro, è merito dell'euro. Cosi proliferano centri commerciali gestiti da multinazionali guardacaso quasi sempre estere che i profitti li portano a casa loro. Certo qui lasciano le briciole, Accontentiamoci. Anche nel mio paese, centro di quasi 10 mila abitanti nell' Hinterland di Lecco, è una moria di negozi, il centro storico è una desolazione, praticamente morto. Certo non siamo ancora arrivati alle multe per il mantenimento del decoro pubblico. Cosa non si fà per finanziare i bilanci comunali. Certo no, non è colpa dell'euro, è colpa di chi ce lo ha imposto e di chi lo difende a fronte di questo sfacelo. Ricordiamocelo, quando tutto sarà passato (spero), onde evitare di ricascarci.
RispondiEliminaCara Barbara, sono anni che questo pensiero mi accompagna. Eravamo un Paese operoso, pieno di buona volontà, anche se ci suggestionano ogni giorno col tarlo dell'indolenza innata che avremmo. Fiorivano i corsi professionali (quelli veri, non i finti coi soldi dell' europa), seguiti da giovani volenterosi ed insegnanti motivati.Capacissimi dal punto di vista tecnico, adesso sembra che per saldare o costruire una casa devi essere per forza alieno. La sensazione precisa che avevi uscendo di casa era di una società laboriosa dal primo mattino ed avevi un ventaglio di lavori per i giovani pagati a sufficienza per affitto, bollette, auto ed autonomia. Hanno chiuso tutto, interi complessi dedicati all'insegnamento delle professioni, laboratori ed officine persino negli istituti tecnici industriali, scuole serali, come se gli Italiani si fossero mangiato tutto nel gioco d'azzardo. Una nazione di deficienti? Qualcosa che mettono nel cibo? Uhm...
RispondiEliminaSenza sembrare troppo ideologici, si potrebbe dire:"è il capitalismo bellezza"!;un mostro famelico che ha un continuo bisogno di distruzione e di ricostruzione, a cui non interessa affatto della vita vissuta concretamente dagli esseri umani in carne ed ossa;quando il profitto langue e si produce troppo non per soddisfare bisogni reali,si distrugge, e per sfamare la bestia che assorbe risorse e vite,si impoverisce sempre più chi il profitto lo crea,in un vortice infernale che deve preludere,necessariamente, ad una palingenesi sempre più vicina.Ma quelle terre non erano il fiore all'occhiello del partito "massimamente moralizzatore",modello da esibire e di cui vantarsi?;non era lì che il laboratorio sociale emiliano/romagnolo aveva dato prova della sua fattibilità e lungimiranza,dove la stella polare della "cooperazione"aveva guidato per anni giunte comunali "democratiche"e vicine al popolo?E' davvero crollato un mondo.Luciano
RispondiEliminaCaro amico Luciano,
RispondiElimina"è il capitalismo bellezza"!"
non so cosa tu intendi per capitalismo, ma mi sembra che usi questo vocabolo (che in realtà non significa niente) per indicare tutto quello che è male. Però dato che non esistono più stati comunisti (tranne forse la Corea del nord) tutto è capitalismo. Però se tutto è male non vale pena più di discutere su niente.
Ciao Davide
Andate a leggervi qualcosa sull'ERF, e poi capirete che non c'è limite al peggio.
RispondiEliminaDavide scrive giustamente: basta con le battute anacronistiche sul capitalismo. Qui siamo di fronte qualcosa di infinitamente peggiore: manovre abilmente dissimulate (perciò incomprensibili per gran parte degli elettori) destinate a gettare paesi come l'Italia in un baratro senza fondo, con il solo scopo di garantire alla Germania di non privarsi di un solo centesimo. La "R" di ERF sta per "redenzione": questo la dice tutta sul viscido moralismo da nazisti che anima gli ideatori di questo scellerato progetto, che minaccia di passare tra l'indifferenza generale, al parti del Fiscal Compact.
Forse questo fa parte della natura intrinseca del capitalismo, può darsi. Ma non è questa l'ora: la casa brucia. Prima proviamo a spegnere l'incendio. Se ne usciremo vivi cercheremo chi l'ha appiccato, in modo che non ci riprovi.
Rialziamo la testa e l'orgoglio nazionale, prima che sia troppo tardi. Altrimenti l'Europa si trasformerà, da culla di civiltà, in un sordido covo di odii insanabili. Chi è sinceramente europeista dovrebbe rigettare quest'orrenda caricatura di Europa.
Ma tanto a loro che gli frega se le attività commerciali chiudono. Per loro ora c'è l'IMU una tassa sull'immobile e quello resta, i proprietari mica l'abbattono.
RispondiEliminaMa poi la proprietà una volta non era un furto? Ed allora cosa c'é di meglio che tassarla.
Non da più reddito? .zz. loro (i proprietari), se non possono pagarla c'è sempre l'esproprio
Il Sol dell'avvenire sta per sorgere.
Poveri coglionazzi!
Chissà cosa racconteranno ai loro elettori fessi quando (tassati e requisiti puri i risparmi .....hoops che sbadato le rendite finanziarie) non ci saranno più soldi per pagare stipendi e pensioni.
Che si inventeranno?
Se fai notare che chiudono troppi negozi ti rispondono che è perchè tanti non sanno fare gli imprenditori... Peccato che molti hanno lavorato per generazioni e guarda caso tutti chiudono solo ora. Purtroppo non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. Non basta neppure l'evidenza dei fatti per certa gente. E' deprimente.
RispondiEliminaPerfetto!
EliminaAnche a Terni città dove vivo è una moria di negozi. Qualcuno prova anche ad avviare nuove attività ma dopo poco tempo chiude. Non c'è scampo, qui poi siamo tutti col fiato sospeso per la nostra acciaieria ritornata a Thyssen Krupp azionista di maggioranza, a rischio di «parcheggio», visto il recente piano di disimpegno di ThyssenKrupp dall’inossidabile, chissà quale futuro con questi incompetenti che ci governano. A parte l'acciaieria che comunque è il motore della nostra città, parecchi negozi hanno chiuso e venduto ai cinesi, che quando hanno intenzione di comprare non sono avari per niente,"li hanno fatti mette a ride" si dice qui in città, il fatto è che se i compratori sono pochi Cina o non Cina non vendi e se non vendi è ovvio che finisce la tua attività. Perciò hai voglia a formazione, ricerca quando non c'è domanda a un disoccupato o a un cassintegrato gli puoi somministrare tutta la formazione del mondo che il lavoro non viene come per le monete di Pinocchio, prendo un pezzo di lavoro, lo sotterro gli do l'acqua e poi vedi che fiorire di aziende, tutte in primavera. Quanto a sostenere la conoscenza sono d'accordo infatti quelli-de-sinistra sarebbe ora che smettessero di sentirsi Pico della Mirandola e comincessaro con umiltà a conoscere le vere ragioni della nostra crisi.
RispondiEliminaStessa cosa succede a Verona.
EliminaDal sito L'arena.it:
" Nel 2013 abbiamo raccontato un triste fenomeno: la chiusura delle librerie. Chiusa la più antica: Ghelfi e Barbato, di cui resta ancora l'insegna dorata in via Mazzini. Chiusa Rinascita, punto di riferimento per la sinistra. Chiusa Gheduzzi di corso Sant'Anastasia, chiusa infine la Ghelfi di via Roma. Traslochi, cambi di gestione e nuovi indirizzi hanno ripresentato sotto nuova veste le storiche librerie veronesi, ma l'effetto della crisi economica sul settore continua..."
La più antica libreria di Verona, Ghelfi e Barbato, mia meta obbligata quando andavo in centro, è stata costretta a chiudere in quanto i proprietari si sono visti aumentare l'affitto a ben 30.000€ al mese!! Aumento chiesto dal proprietario del locale a causa degli aumenti IMU di montiana memoria. Quanti libri dovevano vendere in un mese per pagare solo l'affitto?
Per me, assiduo frequentatore di librerie, è stato un dirissimo colpo!!
Non parliamo dei negozi di alimentari. A Dicembre scorso, il negozio dove abitualmente mi sono servito per più di 30 anni, ha chiuso. Non vi racconto le lacrime del proprietario che ha visto sfumare non solo il suo lavoro, ma anche quello di suo padre che aprì il negozio oltre 50 anni fa! Ho visto questo negozio sempre pieno ( certe volte mi scocciava andarci perché dovevo fare la fila ), poi via via sempre meno pieno fino ad avere pochissimi clienti. Adesso non rimane che il supermercato ( prendere la macchina - moneta per carrello - camminare tra gli scaffali - fila alle casse ).
Ma se volete capire davvero la crisi, fatevi un giro in auto in qualche area industriale anche piccola. Un disastro!!
Zugzwuang
Se il Nord soffre... il Sud sta esalando l'ultimo respiro. Perché parlo del sud? Perché sono nato al sud ( Palermo ) e vivo da più di 30 anni al Nord.
EliminaAl sud ho lasciato i ricordi di infanzia e gioventù, il MARE, gli odori e i sapori.
Amici carissimi di famiglia, proprietari di due negozi di abbigliamento, hanno dovuto chiudere l'attività creata 50 anni fa. Ma non è un fatto personale. Leggendo qua e là la cronaca di questa crisi, e parlando con gli amici rimasti nella mia città natale, ho scoperto che il commercio a Palermo è stato quasi spazzato via. Negozi storici - Buffetti De magistris 106 anni di attività andati in fumo - ci fanno capire molto. Non sto a farvi l'elenco di tutti quei negozi che hanno chiuso, a voi non dicono nulla, a me si. Come è possibile che dopo 106 anni di servizio, quei commercianti non sappiano più fare i commercianti? Negozi e attività vecchi di 106 anni, 50 anni, 47 anni, 35 anni... di crisi economiche in passato ne hanno viste ma non hanno mai chiuso. Hanno resistito all'epoca. Ma non oggi! Oggi hanno issato bandiera bianca e si sono arresi all'ineluttabile.
Il piddino medio, dotato di un cervello mono-neuronale, che volete che capisca? Siamo nelle mani di questi esseri nella cui teca cranica il povero neurone viaggia impazzito come una particella sub atomica senza peraltro fare nessun salto quantico.
Zugzwuang
I negozi, chiudono anche -visto con questi occhi- nei celeberrimi "Porta di Roma" e "Roma Est", ossia nei più alti templi del nuovo commercio del XXI secolo.
RispondiEliminaMa, come detto da altri, col piddino è inutile ragionare. Sono tutti evasori (e la soluzione è farli fallire?), non sanno "fare impresa" come i tedeschi, etc......
Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, siamo stati pigri, inefficienti e corrotti e adesso non abbiamo più soldi da spendere. Anzi, non noi, ma i negozianti e i clienti che votavano Berlusconi. Così il piddino spiega la crisi di domanda. Col suo moralismo di piccolo-borghese che stravede per la grande finanza, l'antiberlusconismo come spiegazione dei mali del mondo, la grettezza di chi si sente tutelato e se ne fotte di chi sta male, l'autorazzismo da popolo colonizzato che adora lo straniero, il cervello idiotizzato dalla propaganda mediatica, trova sempre una ragione per non cambiare idea
RispondiEliminaFrancesco tocca il più rivoltante "vizietto" del piddino: "... stravede per la grande finanza". Questa triste verità è la pietra tombale di ogni illusioni sulla ex-sinistra.
RispondiEliminaSe poi ci aggiungiamo il vergognoso anti-italianismo da salotto chic, mi chiedo: "sinistra de che?"
Come disse la signora in TV "se tu sei di sinistra, io so' Che Guevara!".
Ogni outing ha il suo perché. Siete di destra? Intimamente, visceralmente, sentimentalmente di destra, con tutte le trippe di fuori e tutte turgide e tese nello sforzo? Lo siete sempre stati e non ve ne rendevate ancora conto? Ebbene, urlatelo forte nelle vostre vie deserte con i negozi chiusi. Rivendicatelo, con forza onore e dignità. Siamo di destraaaaa... Ci ha deluso, la sinistra. Ma forte però, non tipo a mia insaputa, facevo altro, incontravo gente, guardavo film(s). Tizio mi ha tradito! Tizio è uno stronzo! Che si sappia in giro. Da oggi in poi solo Destra, e che Destra! La migliore. La sinistra non va cambiata, va distrutta (cit.) Una prece, per i futuristi del nuovo millennio :-(
RispondiEliminaResta da vedere se Tizio non abbia anche lui la sua opinione, in proposito...
Fabrizio
Attorno a me (Vallassina, provincia di Como), la situazione non è diversa. Un paese che, fino a soli 10 anni fa contava un discreto numero di negozi (vestiti, profumeria+merceria, cartoleria, cartolria 2, macelleria, polleria) che ora non esistono più. Si salva solo il bar-pasticceria e il piccolo supermercatino. Oltre che un negozietto aperto da qualche anno in cui si vende roba varia e che resiste solo perché in famiglia ormai c'è solo quel reddito (marito lavorava in piccola ditta costruttrice di barche - fallita).
RispondiEliminaPersonalmente cerco di fare il mio dovere civico - perché sì, lo reputo dovere civico - comprando il più possibile nei negozietti. Il mio "discount" è il supermercato Bennet (catena di supermercati del Nord-Ovest), e il mio latte "low-cost" non è il UHT made in Austria ma quello alla spina. Purtroppo è anche colpa nostra se i centri storici sono morti: siamo stati noi, più che lo stato-politica-tasse, ad ammazzarli, quando abbiano iniziato a prederire il pane del supermercato a quello del panettiere sottocasa, o la carne già tagliata e confezionata del supermercato al macellaio che ti taglia la fettina di carne al momento. Siamo noi che abbiamo preferito comprare i libri superscontati su internet e lasciar chiudere la libreria dove siamo sempre andati, dove magari ti fermavi a conversare col proprietario o scoprivi titoli sconosciuti girando per scaffali. Siamo noi che abbiamo iniziato a comprare l'aglio spagnolo, che costa meno, fino al punto che ormai se cerchi quello italiano lo trovi solo - super caro - nei negozi biologici (stando al fruttivendolo del paesino dei miei nonni, pure loro non riescono a trovare l'aglio italiano). Mi spiace, ma è troppo comodo dare la colpa alle tasse che sì, hanno una colpa, ma se i negozi chiudono chiudono perchè la gente non entrare più a comprare.
Il problema non siamo noi che compriamo l'aglio che costa meno. Il problema è il perché l'aglio spagnolo costa meno di quello italiano. Il latte austriaco costa meno di quello italiano. Io qualche rispostina ce l'avrei.
RispondiEliminaZugzwuang
Sappiamo i motivi per cui i prodotti esteri costano meno (tassazione differente, moneta unica che non ci permette di scaricare le differenze dei costi sulla svalutazione ecc ecc), ma anche la domanda-offerta conta: se non comprassimo il latte Austriaco, i supermercati non lo terrebbero. Andate a chiedere in USA o in Germania se scelgono il prodotto straniero che costa meno anziché il prodotto nazionale e scoprirete che noi siamo i peggiori sostenitori della nostra economia. Uno può anche mangiare una volta in meno... non so, le fragole, ma prenderle italiane invece che importate dalla Spagna, o arance siciliane invece che marocchine. Oppure olio con olive italiane invece che (come tutti gli oli da supermercato) con olive "EU". Poi non possiamo lamentarci se la ditta italiana chiude, se noi siamo i primi a non sostenerla.
EliminaCapisco la famiglia che deve fare economia e che può risparmiare molto anche su prodotti poco costosi ma destinati a consumo quotidiano come il latte, ma la cosa succede anche su prodotti di uso più sporadico o beni destinati a durare (ho sempre fatto l'esempio delle mutande Ita versus Import ma ormai trovare mutande fatte in Italia è un miracolo).
Nel mio paese, hanno chiuso 46 esercizi commerciali solo nel periodo dicembre 2013. Parliamo di un paese di circa 20000 abitanti, non parliamo una città che poteva vantare diverse centinaia di esercizi commerciali e, anche in tal caso, si sarebbe comunque trattato di una bella fetta.
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