Miniraccontino di fantascienza
Uscire di casa era diventato quasi impossibile se non trovavi modo di ripararti sotto un portico o il tendone di un negozio. Attraversare una piazza e qualunque altro spazio aperto era diventata un’impresa.
Erano apparsi qualche giorno dopo l’arrivo delle astronavi ed erano sempre più numerosi.
Ci chiedevamo come potesse quel reticolo di cavi e quelle specie di lampade metalliche rimanere per ore ed ore sospesi sulle nostre teste.
Qualcuno cominciò a notare che quelle specie di faretti seguivano i nostri movimenti come le telecamere a circuito chiuso, sembravano osservarci e studiarci. Un giorno vedemmo l’occhio di uno di quegli oggetti accendersi improvvisamente di una luce verde molto intensa.
Aveva iniziato a puntare un nostro amico e, mentre si avvicinava sempre di più a lui, emetteva un suono strano, un sibilo come quello di una miccia che stesse per far esplodere un qualche ordigno. Improvvisamente dall'occhio verde partì un raggio che colpì il ragazzo dietro l'orecchio con una scossa elettrica che non lo uccise ma lo lasciò stordito e dolorante.
I folgoratori, cosi vennero chiamati da quel momento in poi, comparvero ovunque e non passava giorno che qualcuno non venisse colpito dalle loro scariche, mai mortali ma dolorosissime.
Eravamo costretti ad andare in giro coperti anche d’estate, perché i bastardi ci colpivano in ogni centimetro di pelle scoperta.
Uscivi di casa e il primo folgoratore della giornata era lì, con la testa girata verso di te a guardarti. Se riuscivi a ripararti eri salvo ma solo fino all’angolo, dove ti attendeva il secondo folgoratore, e poi via via fino alla fermata del metro e ovunque andassi. Vi erano folgoratori nascosti anche tra gli alberi nel parco.
La sera il reticolo degli invasori illuminava e ricopriva tutta la città.
Si stava con le finestre chiuse, ma dietro le tende e le imposte potevi ancora vedere il tuo folgoratore che muoveva l’occhio cercandoti, quasi annusandoti, e quella luce verde che andava su e giù, a destra e a sinistra sibilando.
Uscire di casa era diventato quasi impossibile se non trovavi modo di ripararti sotto un portico o il tendone di un negozio. Attraversare una piazza e qualunque altro spazio aperto era diventata un’impresa.
Erano apparsi qualche giorno dopo l’arrivo delle astronavi ed erano sempre più numerosi.
Ci chiedevamo come potesse quel reticolo di cavi e quelle specie di lampade metalliche rimanere per ore ed ore sospesi sulle nostre teste.
Qualcuno cominciò a notare che quelle specie di faretti seguivano i nostri movimenti come le telecamere a circuito chiuso, sembravano osservarci e studiarci. Un giorno vedemmo l’occhio di uno di quegli oggetti accendersi improvvisamente di una luce verde molto intensa.
Aveva iniziato a puntare un nostro amico e, mentre si avvicinava sempre di più a lui, emetteva un suono strano, un sibilo come quello di una miccia che stesse per far esplodere un qualche ordigno. Improvvisamente dall'occhio verde partì un raggio che colpì il ragazzo dietro l'orecchio con una scossa elettrica che non lo uccise ma lo lasciò stordito e dolorante.
I folgoratori, cosi vennero chiamati da quel momento in poi, comparvero ovunque e non passava giorno che qualcuno non venisse colpito dalle loro scariche, mai mortali ma dolorosissime.
Eravamo costretti ad andare in giro coperti anche d’estate, perché i bastardi ci colpivano in ogni centimetro di pelle scoperta.
Uscivi di casa e il primo folgoratore della giornata era lì, con la testa girata verso di te a guardarti. Se riuscivi a ripararti eri salvo ma solo fino all’angolo, dove ti attendeva il secondo folgoratore, e poi via via fino alla fermata del metro e ovunque andassi. Vi erano folgoratori nascosti anche tra gli alberi nel parco.
La sera il reticolo degli invasori illuminava e ricopriva tutta la città.
Si stava con le finestre chiuse, ma dietro le tende e le imposte potevi ancora vedere il tuo folgoratore che muoveva l’occhio cercandoti, quasi annusandoti, e quella luce verde che andava su e giù, a destra e a sinistra sibilando.
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