“Ma li hai visti quei cinesi? Hai visto che facce avevano?” (Non vi sto a dire le facce che avevano loro, n.d.a.). Le avevano viste in tv, anzi nemmeno, gliele avevano raccontate i lettori di fuffa dal fosco cipiglio, la fronte aggrottata e il tono allarmato delle grandi occasioni.
E’ incredibile il potere di suggestione della televisione. Il giorno prima ti erano simpatici, ti sembravano tranquilli e laboriosi, molto discreti, manco li notavi e ti facevano comodo perché da loro la roba costa niente e oggi diventano improvvisamente una minaccia ancora peggiore dei terroristi islamici.
L’urlo di Chen terrorizza anche Milano, la Cina è vicina, il pericolo giallo, sembra un revival anni settanta e invece tutto ciò è al passo con il nuovo millennio, vedremo alla fine perchè.
C’è una via a Milano che è stata venduta, dai milanesi suppongo, alla comunità cinese la quale, negli immobili affittati ed acquistati a peso d’oro, ha aperto negozi e imprese di vario tipo.
La cosa buffa è che molti dei cino-milanesi “di cientopecciento” intervistati in questi giorni sono in Italia da tanti anni e parlano addirittura con il “se ghé?” del ghisa di Totò e Peppino.
Da cosa è nata la rivolta dei giorni scorsi? Dal fatto che i vigili farebbero troppe multe, infliggendole soprattutto ai cinesi, per qualsiasi futile motivo. I pochi meneghini rimasti nel quartiere ci raccontano che è un continuo caricare e scaricare di carretti colmi di mercanzia e che i cinesi “stanno tutti per conto loro”. O bella, è la prima volta che sento un italiano lamentarsi perché gli stranieri non lo cagano.
Insomma, tra ghisa, forze dell’ordine miste e cinesi sono volate manganellate, schiaffi, sputi e improperi e tutto per colpa di una Masaniella con gli occhi a mandorla che ha infiammato il tumulto.
“L’Italia lascia il segno”, fa dire Rutelli al suo slogan cazzuto con il cetriolone verde, ed è vero. Il segno blu-violaceo delle ecchimosi ormai marchia affettuosamente teste e arti degli stranieri che osano interagire vivacemente con noi italiani. Spaghetti e manganello.
Questa volta però anche i cinesi hanno menato, e le cinque dita di violenza hanno colpito diversi agenti.
Il pericolo giallo dunque. L’invasione cinese. Le triadi. I cinesi che non muoiono perché nessun necroforo ne ha mai visti e che forse finiscono negli involtini primavera o rispediti in Cina nei containers che tornano in patri svuotati dalle mercanzie.
Forse ci fanno paura perché dopo tutto sono ancora comunisti? L’Oriente è ancora rosso? No, in realtà li temiamo perché sono troppo capitalisti. Più di noi.
Avete presente quelli che si convertono ad un’altra religione e diventano i più fanatici ed osservanti?
I cinesi hanno fatto un corso accelerato di capitalismo e hanno letto, alla pagina 1, che la concorrenza è l’anima del sistema e che chi fa i prezzi migliori vince la sfida del mercato. Qualche pagina più avanti hanno letto che la libertà di impresa non deve essere ostacolata in alcun modo e che chi non sta al passo con il mercato soccomberà naturalmente.
Pronti, la camicia da loro costa cinque eulo perchè si accontentano di un ricarico modesto, forse hanno perfino sentito parlare di “etica protestante del capitalismo” in qualche corso serale.
Dal negoziante italiano a fianco, che l’ha acquistata dallo stesso grossista cinese, la camicia ne costa trenta, di euro. Qui vige il principio che il ricarico è una curva che si approssima all’infinito.
Il negoziante italiano si incazza e urla che il cinese gli fa concorrenza sleale, perché il cliente italiano guarda, soppesa, si accorge che quella è la stessa identica camicia e la compra dal cinese, magari bofonchiando che “gli italiani sono i soliti ladri”.
Per i cinesi il principio della concorrenza è ancora fondamentale, per noi è un dettaglio. Infatti da noi i prezzi non diminuiscono nonostante la varietà degli operatori sul mercato perché i medesimi fanno il cartello e si mettono d’accordo nel mantenere i prezzi alti. Questo è il capitalismo applicato rispetto al capitalismo teorico. I cinesi ci devono ancora arrivare. Forse nelle materie del prossimo anno.
Se noi in fondo siamo un po’ ipocriti a lamentarci della concorrenza cinese allora vuol dire che non esiste in generale un problema di immigrazione e integrazione degli stranieri? No, esiste e andrebbe affrontato, scoprendo per esempio chi muove veramente i fili dei burattini ed organizza i vari flussi migratori anche, diciamolo, a scopo destabilizzante. Le tensioni tra immigrati e indigeni sono sempre funzionali al principio del divide et impera.
Anche un certo livello di caos è indispensabile a non indignarsi per come più si parla del furore dalla Cina che colpisce ancora e meno si parla di Mafia e Sistema e dei loro loschi traffici, sempre più vasti.
Ma già, quelle sono cose con le quali bisogna convivere.
E’ incredibile il potere di suggestione della televisione. Il giorno prima ti erano simpatici, ti sembravano tranquilli e laboriosi, molto discreti, manco li notavi e ti facevano comodo perché da loro la roba costa niente e oggi diventano improvvisamente una minaccia ancora peggiore dei terroristi islamici.
L’urlo di Chen terrorizza anche Milano, la Cina è vicina, il pericolo giallo, sembra un revival anni settanta e invece tutto ciò è al passo con il nuovo millennio, vedremo alla fine perchè.
C’è una via a Milano che è stata venduta, dai milanesi suppongo, alla comunità cinese la quale, negli immobili affittati ed acquistati a peso d’oro, ha aperto negozi e imprese di vario tipo.
La cosa buffa è che molti dei cino-milanesi “di cientopecciento” intervistati in questi giorni sono in Italia da tanti anni e parlano addirittura con il “se ghé?” del ghisa di Totò e Peppino.
Da cosa è nata la rivolta dei giorni scorsi? Dal fatto che i vigili farebbero troppe multe, infliggendole soprattutto ai cinesi, per qualsiasi futile motivo. I pochi meneghini rimasti nel quartiere ci raccontano che è un continuo caricare e scaricare di carretti colmi di mercanzia e che i cinesi “stanno tutti per conto loro”. O bella, è la prima volta che sento un italiano lamentarsi perché gli stranieri non lo cagano.
Insomma, tra ghisa, forze dell’ordine miste e cinesi sono volate manganellate, schiaffi, sputi e improperi e tutto per colpa di una Masaniella con gli occhi a mandorla che ha infiammato il tumulto.
“L’Italia lascia il segno”, fa dire Rutelli al suo slogan cazzuto con il cetriolone verde, ed è vero. Il segno blu-violaceo delle ecchimosi ormai marchia affettuosamente teste e arti degli stranieri che osano interagire vivacemente con noi italiani. Spaghetti e manganello.
Questa volta però anche i cinesi hanno menato, e le cinque dita di violenza hanno colpito diversi agenti.
Il pericolo giallo dunque. L’invasione cinese. Le triadi. I cinesi che non muoiono perché nessun necroforo ne ha mai visti e che forse finiscono negli involtini primavera o rispediti in Cina nei containers che tornano in patri svuotati dalle mercanzie.
Forse ci fanno paura perché dopo tutto sono ancora comunisti? L’Oriente è ancora rosso? No, in realtà li temiamo perché sono troppo capitalisti. Più di noi.
Avete presente quelli che si convertono ad un’altra religione e diventano i più fanatici ed osservanti?
I cinesi hanno fatto un corso accelerato di capitalismo e hanno letto, alla pagina 1, che la concorrenza è l’anima del sistema e che chi fa i prezzi migliori vince la sfida del mercato. Qualche pagina più avanti hanno letto che la libertà di impresa non deve essere ostacolata in alcun modo e che chi non sta al passo con il mercato soccomberà naturalmente.
Pronti, la camicia da loro costa cinque eulo perchè si accontentano di un ricarico modesto, forse hanno perfino sentito parlare di “etica protestante del capitalismo” in qualche corso serale.
Dal negoziante italiano a fianco, che l’ha acquistata dallo stesso grossista cinese, la camicia ne costa trenta, di euro. Qui vige il principio che il ricarico è una curva che si approssima all’infinito.
Il negoziante italiano si incazza e urla che il cinese gli fa concorrenza sleale, perché il cliente italiano guarda, soppesa, si accorge che quella è la stessa identica camicia e la compra dal cinese, magari bofonchiando che “gli italiani sono i soliti ladri”.
Per i cinesi il principio della concorrenza è ancora fondamentale, per noi è un dettaglio. Infatti da noi i prezzi non diminuiscono nonostante la varietà degli operatori sul mercato perché i medesimi fanno il cartello e si mettono d’accordo nel mantenere i prezzi alti. Questo è il capitalismo applicato rispetto al capitalismo teorico. I cinesi ci devono ancora arrivare. Forse nelle materie del prossimo anno.
Se noi in fondo siamo un po’ ipocriti a lamentarci della concorrenza cinese allora vuol dire che non esiste in generale un problema di immigrazione e integrazione degli stranieri? No, esiste e andrebbe affrontato, scoprendo per esempio chi muove veramente i fili dei burattini ed organizza i vari flussi migratori anche, diciamolo, a scopo destabilizzante. Le tensioni tra immigrati e indigeni sono sempre funzionali al principio del divide et impera.
Anche un certo livello di caos è indispensabile a non indignarsi per come più si parla del furore dalla Cina che colpisce ancora e meno si parla di Mafia e Sistema e dei loro loschi traffici, sempre più vasti.
Ma già, quelle sono cose con le quali bisogna convivere.
che dire, mi viene da pensare a Grosso guaio a Chinatown. La cosa sorprendente - a cui oggi dedico un post - è la rivolta scatenata dagli italiani contro tutti gli stranieri sovversivi e parassiti.
RispondiEliminaè incredibile come nel tessile, ad esempio, non si produce più niente in Italia da vent'anni (+o-) e nessuno ha detto mai un cazzo tranne prendersela da qualche anno con i cinesi perchè vendono le stesse cose ad 1/5 del prezzo. Gli vendono i jeans a 100 euro e la gente li compra!! ma che minchia ha in testa la ggente io non so. Io dei cinesi veramente mi lamento solo che vendono un sacco di porcheria; una volta volevo prendere una felpa, che mi stava giusta, a parte le maniche che arrivavano ai gomiti.
RispondiEliminaCome diceva Grillo all'assemblea degli azionisti di Telecom: i veri comunisti siamo noi ! ( non i cinesi ).
RispondiEliminacondivido lameduck.
RispondiEliminaChe poi, per ogni italiano che si lamenta della concorrenza sleale dei cinesi ce n'è un altro che sui loro salari bassi e orari lavorativi lunghi ci guadagna un bel po', e non a caso si dice tanto che "devono rispettare la legge", ma non se ne erano mai preoccupati prima, quando la stessa illegalità portava un bel po' di soldi a Milano
RispondiElimina@ bulbo oculato
RispondiEliminame lo andrò a leggere.
@ arituro
non me ne parlare! Ma perchè fanno quelle robine striminzite? Noi abbiamo i nostri culoni, le gambone, le braccione, le tettone... come facciamo a entrare nelle loro xxxsmall gabellate per xl?
@ skeight
già, la coerenza è merce rara ormai.
Il giorno dopo il fattaccio mi capita di ascoltare un'intervista radiofonica al vicesindaco di Milano il quale argomentava che, trattandosi di zona in pieno centro storico, dedalo di vicoli e viuzze, un numero così elevato di attività all'ingrosso era insostenibile per questioni di viabilità. La domanda mi sorgeva spontanea (ma al giornalista no...): signor vicesindaco, nella mia città le licenze commerciali le rilasciano gli uffici del comune, a Milano invece come funziona??
RispondiElimina@ anto
RispondiEliminagià, bella domanda! ;-)