martedì 3 gennaio 2012

Mala tempora collant


Sempre a margine della vicenda OMSA, ripresa oggi anche da Debora Billi, vorrei segnalare su Facebook  l'iniziativa di boicottaggio Mai più OMSA, ma soprattutto l'intervista ad un responsabile di produzione di Calzedonia Group, altro colosso dell'intimo made in Italy, pardon, Sri Lanka, che ho trovato per caso sul blog Bottleneck
E' particolarmente significativo, per capire il perché questi imprenditori amino tanto delocalizzare le produzioni, questo passaggio dell'intervista, che vi consiglio per altro di leggere per intero:
"D: torniamo in mezzo all’Oceano Indiano, perché la scelta è caduta su quell’isola? 
La localizzazione in Sri Lanka è stata frutto di una accurata indagine e sopralluoghi effettuati qualche anno fa in diverse regioni del Mondo in via di sviluppo, tra cui India, Pakistan, Bangladesh e Cina. Ne ricavammo molte informazioni ma, soprattutto, risaltava in modo particolare il caratteristico ed apprezzato equilibrio e la scarsa conflittualità sociale della popolazione dello Sri Lanka. Naturalmente ha molto influito anche una iniziale intuizione del dottor Sandro Veronesi [ patron di Calzedonia, n.d.r.], poi rivelatasi fondata, sull’elevata capacità di apprendimento delle maestranze indigene con riflessi evidenti sugli indici qualitativi e di produttività. 

L’assenza o quasi di vincoli sindacali garantiscono una flessibilità sulla numerosità degli organici assolutamente impensabile nel mondo industrializzato. Sotto questo punto di vista le localizzazioni dell’est Europa hanno già segnato il passo, determinando rapidi dietrofront sulle decisioni di nuovi insediamenti o ampliamenti dei siti produttivi. "
D: e nel Belpaese non si produce più nulla? 
Poco purtroppo! In Italia utilizziamo talvolta qualche terzista per produzioni integrative a quelle estere, soprattutto in situazioni di emergenza (consegne urgenti, problemi produttivi negli stabilimenti esteri, etc,). E’ una collaborazione assai limitata che rappresenta solo un pallido esempio di quella esistente fino a pochi anni fa., con funzione di back up alle produzioni principali che si avvantaggiano dei bassi costi della manodopera di quei paesi. Qui ad Oppeano rimane il centro distributivo composto dal magazzino di prodotto finito."
In fondo, viva la sincerità. L'unico problema quindi, l'unico ostacolo alla famosa Crescita è il costo della manodopera. Se si riesce a mantenere basso, perché quello delle materie prime è un po' più complicato da abbattere, a parità di prezzo da far pagare all'utente finale, il gioco è fatto. Che siano queste le famose riforme, ciò che brama di ottenere a suon di piedini pestati per terra la Senhora Marcegalha?
Gli asiatici si spaccano la schiena 20 ore al giorno, campano con un pugnetto di riso scotto, trombano e figliano assai per garantire sempre fresca forza lavoro minorile e soprattutto non rompono i coglioni con i sindacati. Non hanno le Camusso che si piazzano davanti al padrone e fanno "Aaaarrgghhh!" come Chewbecca.

Il prode Nerino Grassi delocalizza in Serbia, come abbiamo visto. Ma perché proprio nel paese bombardato anni fa da D'Alema & i suoi Nato Boys? Su un altro blog ho trovato questo articolo di Marco Cobianchi, autore di "Mani bucate". La Serbia, come altri paesi dell'Est, offre alle imprese che decidono di investire sul suo territorio condizioni che queste non possono rifiutare, un po' come le proposte che faceva ai Tattaglia Don Vito Corleone: niente tasse oppure sgravi fiscali stratosferici, terreni sui quali edificare gli stabilimenti praticamente gratis, vantaggi di ogni tipo e manodopera a basso costo. Tutto al di fuori dei lacci e lacciuoli comunitari europei, o almeno di quelli che ancora rimangono. 
Viene perfino da ridere a pensare ai classici magliari italiani che, per trombarsi le ragazze dell'Est con poca spesa e molta resa, negli anni ottanta andavano  all'avventura con la valigia piena di calze e collant. Ora, se gli italiani vanno all'Est, trovano paesi interi disposti a venderglisi e a fabbricargli pure le calze. Mala tempora collant.

Certo, come dice il logistico di Calzedonia, in Sri Lanka è ancora meglio, non c'è il rischio del riemergere della latente bellicosità balcanica e magari di un rigurgito di socialismo reale, ma non si può avere tutto nella vita.
Che a questo capitalismo piaccia solo vincere facile, come l'omino della pubblicità? E soprattutto che sia  capace solo di vincere facile, con il GOD MODE ed il FULL AMMO, per intenderci, insomma barando come il bimbominkia con il videogioco troppo difficile? Per loro FULL AMMO. Per noi FULL MONTI, dopo che ci saremo tolti l'ultimo collant, appunto. 

14 commenti:

  1. Simplicius00:22

    ATTENZIONE !! I collant OMSA fanno venire 'r canchero a 'r culo !

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  2. Sarò un po'estrema...e se si tassasse oltremodo alla dogana il rientro dei prodotti confezionati all'estero da questi farabut...ehm, signori dell'impresa made in italy? Vero che la mia proposta sembra un ritorno al protezionismo...ma "punire" chi affossa i nostri lavoratori (e la nostra economia, e il nostro stato sociale, ecc) mi sembra un equo contrappasso.

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  3. paolo11:47

    corollari necessari al meraviglioso nuovo mondo in cui la produzione mondiale si concentra in quei paesi sono:
    1) che gli si impedisca di venir qua a rompere i coglioni sperando magari di avere condizioni di vita e lavoro un po' più umane; massimo possiamo accettare qualche domestico o badante, meglio se raccomandato da qualche missionario.
    2)che quà si concentri il consumo del bene prodotto, a prezzi decuplicati (almeno..) rispetto ai costi di produzione, altrimenti come si fa a rendere redditizi gli investimenti..
    3)che qui da noi si tuteli solo quella parte della società che percepisce un reddito funzionale ai punti 1 e 2. Gli altri si fottano.
    Niente di nuovo.

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  4. Adetrax17:18

    ... la scarsa conflittualità sociale della popolazione dello Sri Lanka ...

    Ma una volta non c'erano le "tigri Tamil" ?

    Va bene che si dice che i Tamil siano arrivati dall'India del sud, che siano solo una minoranza, ecc., però da qui a dire che il contesto sociale è perfetto ce ne vuole.

    E' probabile quindi che in certe fabbriche cerchino di assumere essenzialmente cingalesi autoctone istruite, con delle necessità ma non troppo povere, ovvero non povere al punto da essersi storicamente rimbambite.

    ... elevata capacità di apprendimento delle maestranze indigene ...

    Qui si ritorna sempre sui soliti punti, fra cui quello della genetica sociale.

    Non è solo il fatto che oltre il 66% della popolazione supera con successo le scuole superiori, bensì il rapporto fra l'individuo e la realtà sociale e credetemi, non conta solo l'istruzione, la ricchezza, ecc. bensì quel "quid" che si è storicamente preservato nei secoli.

    Poi è chiaro che la posizione dell'isola è strategica, magari vicina ai centri di produzione delle materie prime, vicina all'India che prima o poi diventerà un mercato importante (magari non per le calze ma per tutto il resto), non troppo distante da potenziali futuri mercati asiatici, Cina inclusa, e comunque sulla rotta delle navi che vanno e vengono dalla Cina.

    ... in Sri Lanka è ancora meglio, non c'è il rischio del riemergere della latente bellicosità balcanica e magari di un rigurgito di socialismo reale ...

    Certo, anche perchè si chiama già Repubblica Democratica Socialista dello Sri Lanka :-)

    Insomma, sono anni che si parla della globalizzazione e fino a poco tempo fa qualcuno pensava che riguardasse solo i manifestanti ai convegni del G7, G8, ecc. invece ora si comincia a sentire chiaramente il suo effetto economico (per gli altri c'è ancora un po' di tempo).

    Ora c'è il mercato globale, quindi perchè un'azienda dovrebbe subire la dittatura del proletariato lavoratore ed essere confinata in un misero staterello come l'Italia definito di "m." da un noto e "insuperabile" statista ?

    E' chiaro che quando l'ambiente "indigeno" diventa "ostile", l'azienda che vuole "crescere" o meglio "che non vuole soccombere" deve avere la libertà di spostarsi e qui possiamo richiamare qualche concetto espresso da ministri, politici e pensatori vari che si può così sintetizzare.

    Per lavorare e far lavorare le persone con le mutevoli condizioni socio-ambientali, ci sono tre metodi:
    1) si fa cambiare lavoro ai lavoratori;
    2) si spostano i lavoratori nei siti produttivi;
    3) si spostano i siti produttivi ove ci sono "indigeni" convenienti e poco "ostili" (alle volte si prova anche con quelli "ribelli" ma solo per dovere non perchè ci si crede del tutto).

    Date le premesse la mobilità di persone e strutture diventa fondamentale per rispettare i sopracitati punti (dogmi).

    Da non sottovalutare poi l'oscuro desiderio della "One Corporation", ovvero della multinazionale sempre più grossa che "fa tutto lei".

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  5. Adetrax18:05

    Per quanto riguarda il discorso sul consumo critico / selettivo, è utile evidenziare il fatto che esso non dovrebbe scattare solo per ragioni socio-lavorative, di rivalsa, ecc. quando magari i "buoi" sono già scappati, bensì sempre e a prescindere.

    In breve esso dovrebbe basarsi sull'esito di prove oggettive e financo comparative fra i vari prodotti disponibili, cosa che fra l'altro all'estero è parecchio più frequente che in Italia.

    Come si può altrimenti evitare di acquistare prodotti di scarsissima qualità, inquinanti o con caratteristiche da evitare dato che i produttori cercano di mascherare sempre più la sostanza con l'apparenza ?

    Forse con il solo passaparola o con le "quattro" e insufficienti caratteristiche generiche dichiarate in qualche etichetta o sito web ?

    Probabilmente no.

    Per inciso è un po' tardi (molto tardi) ma ci si può provare lo stesso, anche se in materia di acquisti c'è da una parte una tendenza al Far West, dall'altra una spaventosa ignoranza e cecità del consumatore medio, soprattutto, ma non solo, sotto la soglia di attenzione (che potrebbe situarsi fra i 100 e i 150 euro).

    Tutto questo è stato storicamente favorito dallo scarso interesse che il mercato italiano ha riservato alle prove e alle comparazioni oggettive della maggior parte dei vari prodotti di largo consumo (quindi anche alimentari) disponibili, privilegiando invece aspetti effimeri quali l'involucro, l'estetica, il basso costo, ecc. senza considerare quelli fondamentali quali il fattore inquinante, la riciclabilità, la durata, la sicurezza, ecc.

    Il successo assegnato a pubblicità contenenti solo detestabili messaggi "estetici", "emozionali", ecc. ma prive di qualsiasi riferimento a dati oggettivi (se presenti sono comunque ridotti al minimo possibile) la dice tutta sulla considerazione che i produttori hanno verso la "primitività" del consumatore medio italiano (ma non solo) che da più peso all'estetica delle "perline" che non a tutto il resto e qui si che (purtroppo) aveva ragione B. quando diceva di rivolgersi a "esseri" (purtroppo cittadini) con il cervello fermo alla prima media e nemmeno troppo svegli (nella sostanza) ma che, aggiungiamo, per nemesi storica, pensano sempre di essere i più furbi.

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  6. Il comunista vorrebbe dividere in parti uguali la ricchezza si, ma quella degli altri, la sua vorrebbe tenersela senza stretta senza spartirla con nessuno.

    La globalizzazione ha tanti difetti, ha portato benessere e ricchezza alla maggior parte del genere umano.
    Qualcuno ci ha rimesso, e purtroppo quel qualcuno siamo noi, ma il mondo complessivamente non è mai stato così bene.

    Negli anni '60 e '070 i cinesi eravamo noi, tutti questi piagnistei razzisti e provinciali sono stati già pronunciati su di noi quando con i nostri prodotti a basso prezzo mandavamo fallite ditte tedesche e francesi.

    Quale è l'alternativa? impedire alle ditte di delocalizzare? e come? tornando al socialismo reale?
    No, grazie, è una esperienza chiusa, la storia ha già emesso il suo verdetto sul comunismo: è stato un fallimento.

    Ho conosciuto per lavoro alcuni stabilimenti tessili che hanno chiuso. I macchinari sono rimasti li, non hanno portato via niente, il magazzino intatto.
    Cosa ha impedito ai lavoratori licenziati di mettersi in cooperativa e appropriarsi dello stabilimento? la ditta che ha chiuso era più che disposta a cedergli lo stabilimento (difatti lo hanno abbandonato).

    Sono passato due anni dopo, erbacce, ruggine e ragnatele. Gli infissi divelti, le macchine trafugate e rivendute a ferro vecchio.

    Il servo non vuole la responsabilità di essere libero, vuole solo un padrone su cui scaricare le colpe.

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  7. Marcello, secondo me dovevi finire con il sempre classico “non ci sono più le mezze stagioni” per completare il tuo originale quadro politologico.

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  8. @Marcello

    è tipico del papiminchia rifugiarsi nei settarismi ideologici quando non si ha nulla da dire,invece di mettere al centro dei tuoi pensieri il profitto o la crescita ad ogni costo prova a ragionare in termini di umanità o umanesimo che è ancora meglio perchè vedi a questo mondo tutti hanno diritto di vivere una vita degna pure gli scarafaggi che siano rossi,bruni o rossobruni che van tanto di moda

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  9. Io sono una persona pratica.
    Un problema pratico richiede una soluzione pratica.
    Ammettiamo pure che “ a questo mondo tutti hanno diritto di vivere una vita degna pure gli scarafaggi che siano rossi,bruni o rosso bruni”.
    A parte il fatto che trovo molto provinciale preoccuparsi solo degli scarafaggi di casa. Quando a fare la fame erano gli scarafaggi orientali a nessuno fregava niente, mi pare.
    Quale è la tua soluzione? Capisci, non esistono pasti gratis. Quello che per gli altri è un costo per qualcun altro è un guadagno. Se costringi la ditta X a mantenere la sede in Italia, la costringi a perdere di competitività e a chiudere. Se vuoi che resti aperta hai solo tre strade:
    1) costringere i consumatori a comprare solo i prodotti dell’azienda che produce in Italia, boicottando i prodotti esteri (l’autarchia, come la chiamavano i fascisti durante il ventennio). Per farlo occorre uno stato di polizia dove chi viene sorpreso con addosso le calze fatte in Cina viene denunciato dai vicini e arrestato dalla polizia per antipatriottismo.
    2) Imporre i dazi alla frontiera. Purtroppo all’estero non vengono dalla montagna del sapone, se tu metti i dazi a loro, loro li mettono a te, così non vendi e non compri più niente, e si blocca il mercato. Anche qui serve uno stato di polizia che spari alla schiena a chi cerca di scappare all’estero, altrimenti gli imprenditori se ne vanno tutti e ti ritrovi con tutti gli stabilimenti chiusi.
    3) Socializzare le perdite delle imprese italiane. E’ quello che si è fatto fino a oggi: se una ditta è in crisi lo stato (cioè tutti gli altri) fanno una colletta per ripianare il suo bilancio, attraverso incentivi, cassa integrazione, sgravi fiscali, ecc. In questo modo le aziende perdono di competitività (tanto paga lo stato che lavoro a fare?) e ti ritrovi con una frazione sempre minore di lavoratori produttivi che mantengono una maggioranza di inutili carrozzoni statalizzati. Dura finchè i pochi rimasti a lavorare sul serio, sempre più oberati dalle tasse, decidono di mandare tutti a affanculo e di trasferirsi all’estero; e di nuovo ti servono le guardie alla frontiera per impedirgli di scappare.
    Come vedi qualsiasi alternativa al liberismo comporta inevitabilmente uno stato di polizia, con una cortina di ferro che tiene imprigionati i cittadini dentro suoi i confini. Ti piace l’idea dei vopos sulle nostre spiagge? A me no.

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  10. Adetrax23:10

    @Marcello 00.46

    Cosa ha impedito ai lavoratori licenziati di mettersi in cooperativa e appropriarsi dello stabilimento?

    Probabilmente il fatto che fossero privi di soldi / capitale sufficiente, che dal punto di vista economico non conveniva affatto sobbarcarsi il rischio d'impresa che comunque aveva fatto fallire o chiudere il ben più esperto proprietario che probabilmente aveva cozzato per anni e anni contro altri produttori magari delocalizzati o esteri avvantaggiati dall'utilizzo di manodopera a costi da 1/3 a 1/10 di quelli italiani e gravati da molte meno tasse.

    Forse i macchinari erano pure vecchi, non c'era coesione d'intenti fra i dipendenti e soprattutto non c'era sufficiente "fame" per far accettare loro un modello lavorativo cinese, modello che anche in Italia esiste e funziona perfettamente grazie all'omogeneità etnica, culturale e spesso anche tribale o familiare di chi vi partecipa; naturalmente a max. 300-400 euro (totali / lordi) al mese e con gli ormai noti accorgimenti che includono una primitiva forma di toyotismo (es. in cui il relativo "muda", ovvero lo spreco, include anche il tempo "libero" dei lavoratori).

    Si noti che, a livello mondiale, il maggior livello medio (non certamente quello massimo) di QI (a parità di condizioni sociali, ecc.) si trova in Cina e sarebbe molto bello se fosse associabile alla "felicità di lavorare".

    Questo concetto positivo del rapporto persona - lavoro/attività utile è stato molto indirettamente richiamato anche da Marchionne in una nota trasmissione televisiva dell'ottobre 2010 in cui ha, fra l'altro, dichiarato che:

    - lui lavora 18 ore al giorno per senso del dovere (se fosse cinese lo farebbe a prescindere per puro piacere);

    - il sistema italiano è in perdita netta perchè è quasi ultimo in termini di competitività ed efficienza, pertanto, se resta così, non si potranno aumentare i salari (sottointendendo che forse si dovranno addirittura diminuire);

    - l'Europa chiede di sviluppare la Serbia (poi non chiedetevi perchè un'azienda si trasferisce in determinati posti dato che non ci sono solo motivazioni economico-aziendali);

    ecc.

    E' interessante notare che dopo averla bombardata e smembrata dall'ex Jugoslavia ora la vogliono "sviluppare", probabilmente perchè confina con altri paesi che fanno parte dell'Unione Europea.

    Quelli che perdono il lavoro per questi macro processi devono farsene una ragione e cooperare.

    Della serie: non opponetevi, ogni resistenza è futile.

    Certo che i paesi troppo "rurali" / non del tutto inquinati e con strane monete, non ancora uniformate, attirano irresistibilmente le attenzioni dei "portatori di civiltà e liberismo selvaggio".

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  11. Adetrax23:30

    @Marcello 19.25

    Come vedi qualsiasi alternativa al liberismo comporta inevitabilmente uno stato di polizia, con una cortina di ferro che tiene imprigionati i cittadini dentro suoi i confini.

    Tieni però presente che questo "liberismo" industriale non è affatto tanto liberale come vuol far credere, dato che opera con criteri transnazionali molto discutibili, es.:

    - si avvale delle macchinazioni belliche per spianare certe inopportune resistenze all'industrializzazione, all'adozione pervasiva della moneta ed altri strani obiettivi;

    - i morti in conseguenza di queste macchinazioni sono classificati come "effetti collaterali" o "sacrifici necessari";

    - assale e disperde le popolazioni native forzando con mezzi alquanto discutibili il formarsi di fenomeni migratori per poi mitizzare la figura del "povero immigrato" che, udite udite, è ancora privo di conto corrente (un scandalo inaccettabile);

    - depreda e inquina impunemente i territori naturali, soprattutto se considerati "vergini";

    - non accetta il contraddittorio.

    Ti piace l’idea dei vopos sulle nostre spiagge?

    Che esagerazione, però attenzione a dare idee, perchè se bloccassero anche gli ingressi da certe direzioni, ci potrebbe essere un largo consenso. :-)

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  12. @Marcello

    ho notato che sei una persona pratica e che vivi fin troppo nel "sistema".
    Mi chiedi una soluzione,una semplice e "pratica" sarebbe staccarsi dall'egemonia del mercato come è concepito ora anteponendo un benessere collettivo nazionale al profitto individuale,compito per il quale ogni governante viene eletto,di qualsiasi colore esso sia,se poi i governanti oltre a disattendere le aspettative se ne lavano le mani e affidano lo stato ad un rappresentante di elementi o associazioni extranazionali ,secondo le "tue"leggi di mercato, questi fanno i loro di interessi.
    Ci sarebbero altre mille cose da dire,più in dettaglio

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  13. paolo08:30

    soluzioni pratiche? rileggersi i classici russi: Cechov, Dostoevskij, Tolstoj,Kalashnikov...
    La mia non è un'incitazione alla violenza, sia chiaro: è una constatazione sociologica sulla futura importanza delle armi nella dialettica sociale, come mezzo atto a produrre (appropriarsi di) reddito o a difenderlo. Se garba a voi sostenitori del pensiero unico politico-economico (esempio Marcello) nulla osta.
    La "ricerca della felicità" individuale passa per molte strade.

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  14. Vedi Paolo, i contadini russi del secolo scorso vivevano come servi della gleba, venivano considerati ne più ne meno come i capi di bestiame. Se hai letto gli autori che citi ne avrai sicuramente una idea; contadini fermati fuori dalle loro fattoria senza documenti in tasca arrestati e trattenuti in carcere per mesi.
    I mugiki Non avevano alternative alla violenza per cambiare la loro condizione (che poi non è cambiata granché), e comunque se non ci fose stata la 1° guerra mondiale probabilmente non si sarebbero sollevati lo stesso.
    Oggi chiunque voglia aprire un'attività, associarsi in una cooperativa, è non solo libero di farlo, ma anche incentivato a farlo.
    Che scuse hai per rifiutare la libertà che ti è concessa e cercare un kulako a cui sottometterti?

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