(Questo post è un remake. L'originale è qui.)
Qualcuno ha scritto su Facebook che oggi siamo tutti bolognesi, un po' come i berlinesi di JFK.
E' il 2 agosto, trentaduesimo anniversario di quello che è stato il più orrendo atto di guerra in tempo di pace compiuto sul nostro territorio. La Pace Calda di quella Guerra Fredda. Un periodo che ancora ci perseguita con i suoi misteri, i suoi compromessi innominabili, gli altissimi tradimenti e soprattutto il silenzio, le bocche cucite, i cadaveri sepolti assieme ai loro segreti. Come dicono coloro che non credono nei complotti? Che non sarebbe possibile mantenere un segreto tanto a lungo se ci sono persone che sanno.
Trentadue anni. Vi bastano? La necessità di mantenere il segreto sui perché è ancora talmente forte che perfino chi, da professionista del terrore, si è lasciato incolpare per coprire ben altri colpevoli, non parla ma irride, insulta, fa la battuta sulla suocera. Oscena allegria da ex guitto prodigio sui morti e sui sentimenti.
E poi l'irrisione suprema del Gran Maestro, la sua lunare spiegazione del mozzicone di sigaretta che si è surriscaldato. E' furbo il mentore dei migliori statisti degli ultimi 150 anni e, come sempre accade con i fratelli massoni, bisogna leggere tra le righe, interpretarne il pensiero. Qui ci dice: è talmente grande la faccenda che non avrete altro che grandi bugie come spiegazioni: le più grandi e clamorose che potete immaginare.
In questo giorno detesto la retorica del "per non dimenticare", frasetta di convenienza che serve soprattutto, in questi casi, a levarsi il pensiero. La detesto soprattutto per la strage di Bologna.
Del resto, se passi accanto ogni giorno, per tre anni, di fianco all'incubo, come ho fatto io nei miei anni da universitaria di ritorno, come fai a dimenticare, anche se vorresti? Durante una delle mie visite a Milano passai per Piazza Fontana ma non fu la stessa cosa. Una grande emozione si, ma diversa.
La stazione, con la ferita ancora aperta che ti squarcia l'anima osservandoti dal primo binario e quell'orologio sul piazzale fisso sulle 10.25 che ti impedisce di pensare ad altro sono terribili per chi deve affrontarli ogni giorno.
Non è l'unica bomba esplosa in Italia ma è quella che ci ha fatto più male. Il due agosto è uno di quegli eventi scioccanti dopo i quali il mondo non è più quello di prima e nemmeno la nostra vita è più la stessa. E' il nostro 11 settembre.
Forse è per questo che, nonostante la frequentazione assidua per tre anni non sono riuscita ad affezionarmi a Bologna, ai suoi portici, al suo essere insopportabilmente torrida d'estate e gelida d'inverno; al suo traffico e smog che ti levano il respiro. Alla sua bonomia un po' sussiegosa ed alla sua cucina grassa e untuosa. L'unica cosa che mi si era attaccata, di Bologna, era la parlata, così diversa dalla nostra romagnola. Per il resto mi dava ansia, passare da quella stazione mi ricordava il fatto di vivere in un paese terribile dove, un giorno qualunque, avrei potuto saltare in aria anch'io, a potere piacendo. Non sono mai riuscita ad amarla, povera innocente Bologna. Per colpa di quell'orologio e di quel silenzio assordante.
Trentadue anni. Vi bastano? La necessità di mantenere il segreto sui perché è ancora talmente forte che perfino chi, da professionista del terrore, si è lasciato incolpare per coprire ben altri colpevoli, non parla ma irride, insulta, fa la battuta sulla suocera. Oscena allegria da ex guitto prodigio sui morti e sui sentimenti.
E poi l'irrisione suprema del Gran Maestro, la sua lunare spiegazione del mozzicone di sigaretta che si è surriscaldato. E' furbo il mentore dei migliori statisti degli ultimi 150 anni e, come sempre accade con i fratelli massoni, bisogna leggere tra le righe, interpretarne il pensiero. Qui ci dice: è talmente grande la faccenda che non avrete altro che grandi bugie come spiegazioni: le più grandi e clamorose che potete immaginare.
In questo giorno detesto la retorica del "per non dimenticare", frasetta di convenienza che serve soprattutto, in questi casi, a levarsi il pensiero. La detesto soprattutto per la strage di Bologna.
Del resto, se passi accanto ogni giorno, per tre anni, di fianco all'incubo, come ho fatto io nei miei anni da universitaria di ritorno, come fai a dimenticare, anche se vorresti? Durante una delle mie visite a Milano passai per Piazza Fontana ma non fu la stessa cosa. Una grande emozione si, ma diversa.
La stazione, con la ferita ancora aperta che ti squarcia l'anima osservandoti dal primo binario e quell'orologio sul piazzale fisso sulle 10.25 che ti impedisce di pensare ad altro sono terribili per chi deve affrontarli ogni giorno.
Non è l'unica bomba esplosa in Italia ma è quella che ci ha fatto più male. Il due agosto è uno di quegli eventi scioccanti dopo i quali il mondo non è più quello di prima e nemmeno la nostra vita è più la stessa. E' il nostro 11 settembre.
Forse è per questo che, nonostante la frequentazione assidua per tre anni non sono riuscita ad affezionarmi a Bologna, ai suoi portici, al suo essere insopportabilmente torrida d'estate e gelida d'inverno; al suo traffico e smog che ti levano il respiro. Alla sua bonomia un po' sussiegosa ed alla sua cucina grassa e untuosa. L'unica cosa che mi si era attaccata, di Bologna, era la parlata, così diversa dalla nostra romagnola. Per il resto mi dava ansia, passare da quella stazione mi ricordava il fatto di vivere in un paese terribile dove, un giorno qualunque, avrei potuto saltare in aria anch'io, a potere piacendo. Non sono mai riuscita ad amarla, povera innocente Bologna. Per colpa di quell'orologio e di quel silenzio assordante.
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