E’ bello ed interessante quando la TV pubblica ci informa dei rischi connessi all’acquisto ed utilizzo di prodotti contraffatti, siano essi borse di Vuitton tarocche, preservativi cinesi, pillole di Viagra o caricatori per i cellulari. Peccato che oggi al TG2 si sia sfiorata la comicità involontaria a causa del concomitante scandalo Mattel sulle Barbie al piombo made in China.
Nel servizio si chiedeva alla gente comune se acquistano o avrebbero acquistato prodotti falsi: “No, ma scherza! Figuriamoci, non sia mai detto!” hanno risposto come un sol consumatore gli intervistati. Detto che, a causa del problema della desiderabilità sociale, bias ben noto ai sondaggisti seri, una domanda formulata in quel modo ottiene sempre la risposta che l’intervistato immagina il suo intervistatore desideri, è curioso che quasi tutti abbiano detto che si sarebbero rivolti solo a oggetti di marca. Come i giocattoli Mattel, suppongo.
Tutto questo per dire: se un oggetto è di marca ed è venduto in un negozio con tutti i crismi e non sulla bancarella del senegalese stesa sulla spiaggia, siamo sicuri che sia originale e se è originale ciò è garanzia di sicurezza? Io che sono diffidente, un po’ per genovesità e un po’ per esperienza, dico che abbiamo motivi per non stare tranquilli e per spiegarmi meglio vado a ripescare una vecchia notizia di un anno fa, che il caso Mattel mi ha fatto ritornare in mente.
L’estate scorsa, appunto, sui giornali americani uscì la notizia clamorosa della causa intentata dalla casa di moda Fendi alla multinazionale della distribuzione Wal-Mart. Due colossi del capitale che si prendono a borsettate, insomma.
Cos’era successo? Un cliente di Sam’s Club, una consociata di Wal-Mart, aveva acquistato in una filiale di Hong Kong una borsa Fendi per modici 400 euro, a fronte degli oltre 900 che aveva precedentemente sborsato, per un articolo identico, in Europa. Il rompicoglioni si era attaccato al telefono con le Signore Fendi in persona e aveva protestato vivacemente per la evidente disparità di prezzo riscontrata.
Le Fendi, in pieno allarme rosso, dopo aver sguinzagliato mute di avvocati famelici, accusarono Wal-Mart di vendere borse tarocche come vere e ovviamente di averle sputtanate sul mercato con il prezzo stracciato da vucumprà. Se 400 euri per una borsa vi sembran pochi.
Non si è saputo come è andata a finire la storia ma i casi possono essere tanti. Per esempio le borse potrebbero essere state acquistate in buona fede come vere ed erano invece false. Oppure Wal-Mart può aver tentato la furbata ed essere andato ad acquistarle direttamente dal fabbricante al quale si rivolgono anche le Fendi, magari in Cina, dove costano sicuramente almeno cento volte meno del prezzo finale. Scommettiamo che alla fine si sono messi d’accordo tra avvocati con un bel compromesso della serie “tu fatti i cazzi tuoi che io mi faccio i miei?”
Oltre a questo episodio vorrei ricordare anche un servizio che vidi tempo fa su “60 minutes” il noto programma giornalistico con i controfiocchi della CBS, dove i giornalisti fanno ancora i giornalisti.
Si parlava di delocalizzazione della produzione e un esperto spiegava come era cominciato il problema dei falsi cinesi.
Quando gli imprenditori europei e americani scoprirono che i cinesi si facevano un culo così a lavorare 25 ore al giorno per un piatto di riso scotto, si fregarono le mani e cominciarono a farsi fabbricare le loro cianfrusaglie, comprese quelle di lusso, da loro.
La maglietta, ad esempio, a loro veniva a costare 0,1 e la potevano rivendere a 10 se era una maglietta del cavolo, a 100 o 1000 se l’aveva firmata qualche stilista.
Ad un certo punto i cinesi si guardarono negli occhi a mandorla e dissero: “Se una parte di questa roba ce la vendessimo per i cavoli nostri?” Copiarono i modelli, li realizzarono con materiali più scadenti ed entrarono anche loro in concorrenza, come vorrebbe il galateo del libero mercato. Solo sulla carta però, perché gli onesti imprenditori occidentali, vedendo che le copie quasi identiche dei loro prodotti arrivavano sulla piazza ad un decimo del loro prezzo cominciarono ad urlare e a gridare alla concorrenza sleale. I cinesi si accontentavano di guadagnare meno, tutto lì. Le cose stanno cambiando anche per loro adesso, con il risultato che pur mantenendo il prezzo sempre più basso del nostro calerà ancora di più la qualità dei loro prodotti. Il capitalismo moderno è una malattia altamente contagiosa.
Riformulo la domanda per non perdere il filo: se io acquisto una maglietta Nike fabbricata in Cina o Thailandia perché là il signor Nike la paga meno e ci lucra l’inverosimile, come faccio a sapere se è vera o falsa? La roba firmata che c’è nei negozi e che io alla fine pago comunque per vera è vera o tarocca? E’ vera perché è approvata dal marchio (finchè magari non succede un pasticcio come a Wal-Mart) ma in fondo esce dalla stessa fabbrica che forse produce quella falsa e quindi?
Se vogliamo capirci ancora meglio vi rimando ad un capitolo di “Gomorra” di Saviano, quando lui parla di come il Sistema lavora per l’alta moda.
Dei grandi stilisti, li chiameremo Pinco & Pallino devono realizzare gli abiti di una collezione. Scendono in Campania dove operano le mille fabbrichette associate al Sistema e indicono una gara d’appalto. Chi mi fa il prezzo migliore e mi realizza i capi in meno tempo avrà la commessa. Arrivano con le stoffe e tutto e in abbondanza. Chi vince la gara potrà tenersi il materiale eccedente e con esso realizzare dei capi perfettamente identici agli originali ma in realtà teoricamente falsi, che potrà rivendere nei negozi affiliati al Sistema, cioè, per usare il termine più conosciuto, alla Camorra. E’ proprio il caso di dire che pagano il pizzo, ed anche il velluto e il cachemire.
Il marcio non c’è solo in Danimarca, come diceva Shakespeare, purtroppo. L’invasione dei falsi è il prezzo che le grandi marche pagano per poter continuare a guadagnare oltre ogni misura su un oggetto che deve costare sempre meno alla fonte e sempre di più all’utente finale.
Il signor Mattel, il paraculo, sapeva benissimo che i giocattoli costavano a lui così poco perché erano fabbricati con materiali scadenti e purtroppo per noi consumatori, tossici, e lo sanno anche i signori Nokia che si ritrovano ora con le batterie dei cellulari che si scassano a milioni. E’ la globalizzazione, bellezza.
Tutto questo per dire: se un oggetto è di marca ed è venduto in un negozio con tutti i crismi e non sulla bancarella del senegalese stesa sulla spiaggia, siamo sicuri che sia originale e se è originale ciò è garanzia di sicurezza? Io che sono diffidente, un po’ per genovesità e un po’ per esperienza, dico che abbiamo motivi per non stare tranquilli e per spiegarmi meglio vado a ripescare una vecchia notizia di un anno fa, che il caso Mattel mi ha fatto ritornare in mente.
L’estate scorsa, appunto, sui giornali americani uscì la notizia clamorosa della causa intentata dalla casa di moda Fendi alla multinazionale della distribuzione Wal-Mart. Due colossi del capitale che si prendono a borsettate, insomma.
Cos’era successo? Un cliente di Sam’s Club, una consociata di Wal-Mart, aveva acquistato in una filiale di Hong Kong una borsa Fendi per modici 400 euro, a fronte degli oltre 900 che aveva precedentemente sborsato, per un articolo identico, in Europa. Il rompicoglioni si era attaccato al telefono con le Signore Fendi in persona e aveva protestato vivacemente per la evidente disparità di prezzo riscontrata.
Le Fendi, in pieno allarme rosso, dopo aver sguinzagliato mute di avvocati famelici, accusarono Wal-Mart di vendere borse tarocche come vere e ovviamente di averle sputtanate sul mercato con il prezzo stracciato da vucumprà. Se 400 euri per una borsa vi sembran pochi.
Non si è saputo come è andata a finire la storia ma i casi possono essere tanti. Per esempio le borse potrebbero essere state acquistate in buona fede come vere ed erano invece false. Oppure Wal-Mart può aver tentato la furbata ed essere andato ad acquistarle direttamente dal fabbricante al quale si rivolgono anche le Fendi, magari in Cina, dove costano sicuramente almeno cento volte meno del prezzo finale. Scommettiamo che alla fine si sono messi d’accordo tra avvocati con un bel compromesso della serie “tu fatti i cazzi tuoi che io mi faccio i miei?”
Oltre a questo episodio vorrei ricordare anche un servizio che vidi tempo fa su “60 minutes” il noto programma giornalistico con i controfiocchi della CBS, dove i giornalisti fanno ancora i giornalisti.
Si parlava di delocalizzazione della produzione e un esperto spiegava come era cominciato il problema dei falsi cinesi.
Quando gli imprenditori europei e americani scoprirono che i cinesi si facevano un culo così a lavorare 25 ore al giorno per un piatto di riso scotto, si fregarono le mani e cominciarono a farsi fabbricare le loro cianfrusaglie, comprese quelle di lusso, da loro.
La maglietta, ad esempio, a loro veniva a costare 0,1 e la potevano rivendere a 10 se era una maglietta del cavolo, a 100 o 1000 se l’aveva firmata qualche stilista.
Ad un certo punto i cinesi si guardarono negli occhi a mandorla e dissero: “Se una parte di questa roba ce la vendessimo per i cavoli nostri?” Copiarono i modelli, li realizzarono con materiali più scadenti ed entrarono anche loro in concorrenza, come vorrebbe il galateo del libero mercato. Solo sulla carta però, perché gli onesti imprenditori occidentali, vedendo che le copie quasi identiche dei loro prodotti arrivavano sulla piazza ad un decimo del loro prezzo cominciarono ad urlare e a gridare alla concorrenza sleale. I cinesi si accontentavano di guadagnare meno, tutto lì. Le cose stanno cambiando anche per loro adesso, con il risultato che pur mantenendo il prezzo sempre più basso del nostro calerà ancora di più la qualità dei loro prodotti. Il capitalismo moderno è una malattia altamente contagiosa.
Riformulo la domanda per non perdere il filo: se io acquisto una maglietta Nike fabbricata in Cina o Thailandia perché là il signor Nike la paga meno e ci lucra l’inverosimile, come faccio a sapere se è vera o falsa? La roba firmata che c’è nei negozi e che io alla fine pago comunque per vera è vera o tarocca? E’ vera perché è approvata dal marchio (finchè magari non succede un pasticcio come a Wal-Mart) ma in fondo esce dalla stessa fabbrica che forse produce quella falsa e quindi?
Se vogliamo capirci ancora meglio vi rimando ad un capitolo di “Gomorra” di Saviano, quando lui parla di come il Sistema lavora per l’alta moda.
Dei grandi stilisti, li chiameremo Pinco & Pallino devono realizzare gli abiti di una collezione. Scendono in Campania dove operano le mille fabbrichette associate al Sistema e indicono una gara d’appalto. Chi mi fa il prezzo migliore e mi realizza i capi in meno tempo avrà la commessa. Arrivano con le stoffe e tutto e in abbondanza. Chi vince la gara potrà tenersi il materiale eccedente e con esso realizzare dei capi perfettamente identici agli originali ma in realtà teoricamente falsi, che potrà rivendere nei negozi affiliati al Sistema, cioè, per usare il termine più conosciuto, alla Camorra. E’ proprio il caso di dire che pagano il pizzo, ed anche il velluto e il cachemire.
Il marcio non c’è solo in Danimarca, come diceva Shakespeare, purtroppo. L’invasione dei falsi è il prezzo che le grandi marche pagano per poter continuare a guadagnare oltre ogni misura su un oggetto che deve costare sempre meno alla fonte e sempre di più all’utente finale.
Il signor Mattel, il paraculo, sapeva benissimo che i giocattoli costavano a lui così poco perché erano fabbricati con materiali scadenti e purtroppo per noi consumatori, tossici, e lo sanno anche i signori Nokia che si ritrovano ora con le batterie dei cellulari che si scassano a milioni. E’ la globalizzazione, bellezza.
Del libro di Saviano ricordo anche " il vestito di Angelina ".
RispondiEliminaIl vestito bianco indossato la notte degli Oscar dalla Jolie e fatto da uno che guadagna 800 euro al mese... e che non potrà nemmeno vantarsene perchè non gli crederebbe nessuno.
E' il suo orgoglio di grande sarto.
Stì bastardi dell'alta moda milanese che pagano 40 per un vestito che venderanno minimo a qualche migliaia di euro.
E' lo sfruttamento, bellezza.
E se solo penso ai prodotti alimentari mi vengono i brividi....
RispondiEliminaOttimo post, bravissima!
Cara Lame
RispondiEliminadi una cosa sono sicuro :
tu non sei appezzottata.
Pensatoio
Aggiungerei altre due domande (poi collegate con le tue):
RispondiElimina1) perchè io devo pagare 40 euro se tu la paghi uno? Se in europa la paghi 2 io ti do 40 euro, se in cina la paghi 1 te ne do 20!
2) Domanda sulla falsificabilità un pò alla Karl Popper: e come faccio io a esser sicura che i capi sulle bancarell/vucumprà eccetera sono falsi? Magari provengono sempre dalla Cina, sempre dalle stesse fabbriche!
E' facile fare colonialismo in Cina perchè là costa poco e poi pretendere che loro non utilizzino il vantaggio dello sfuttamento!... Io se avessi un brevetto segreto non andrei da Tizio a produrlo per spender meno, poi magari me lo copia...Lo produrrei io, e sarei sicura che è originale e non arreca danni! Questo dovrebbe fare un imprenditore onesto, pensare alla sicurezza di chi lo paga e comprando i suoi prodotti gli dà da vivere! Ma forse imprenditore-onesto è un ossimoro.
Il problema dei falsi secondo me oggi ha una doppia lettura.
RispondiElimina1^ possibilità:
Uno prende un materiale, produce un articolo e ci mette un'etichetta che non è la sua. Ha prodotto un falso.
2^ Possibilità:
Una Ditta va da uno, gli porta un campione e gli da la sua etichetta. Il risultato finale è meno falso del primo?
Noi lo paghiamo come un originale, ma di originale c'è solo l'etichetta.
Questi i risultati della delocalizzazione del lavoro:
i nostri lavoratori diventano precari, i lavoratori dei paesi del terzo mondo vengono sfruttati, la merce ha una minor qualità e un minor controllo e...
i profitti aumentano
@ hendrix
RispondiEliminapensavo proprio a quel capitolo. Quando l'ho letto non ci potevo credere. Lo sfruttamento nel mondo della moda c'è sempre stato. La mia mamma lavorò da giovane per una nota sartoria e avrebbe potuto raccontartene di aneddoti, fosse ancora con noi.
Un'altra mia parente confezionava maglie ricamate di perline, gliele pagavano 1000 lire l'una (ti parlo di una quindicina di anni fa). Una volta appiccicata l'etichetta (Versace, D&G ecc.) venivano rivendute a 400.000.
@ gg
Io non riesco più a comperare pesce surgelato: Thailandia, Pacifico Sud-Occidentale, Mar Nero, ma che é???
@ pensatoio
E' un grosso complimento! :-D
@ sar@
Mentre una volta il marchio di qualità corrispondeva di solito proprio alla qualità del prodotto (che pagavi molto ma ti durava una vita, per modo di dire), oggi è solo marchio. Mi fermo a guardare i vestiti nelle vetrine: una gonna 500 euro. Poi guardi l'orlo: è storto, le cuciture non sono rifinite, la stoffa è scadente. La cosa buffa però è che pur che abbia il marchio la gente compra (potendo).
@ franca
come dici tu, il problema è proprio riuscire a capire qual'è l'autentico. Se non fossimo schiavi del "logo" questi signori farebbero la fame perchè nessuno accetterebbe di pagare 200 qualcosa che ne vale 2. La propaganda fa si che la maggior parte delle persone debba avere dei marchi addosso ed è disposta a pagare salato per averli. Poi non venitemi a dire che non esiste il lavaggio del cervello!
La manna (per i brand) dei ricavi astronomici su prodotto a basso costo cinesi, indiani e indonesiani sta volgendo al termine.
RispondiEliminaGiusto due settimane fa, uno scandalizzato commentatore economico constatava come le merci cinesi sono aumentate del 6.5% rispetto ad un anno fa, e che quindi non si poteva più contare sui prezzi a basso costo per contenere l'inflazione negli USA. E i brand, beh, quelli inteoria potrebbero continuare come nulla fosse, se non venisse a cadere il presupposto dei bassi salari e dell'assenza di diritti minimi dei lavoratori cinesi... ma l'aumento dei prezzi e' dovuto PROPRIO a questi fattori! Piano piano i lavoratori stanno cottenendo diritti minimi (osteggiatissimi dalle major americane), e aumenti di salario, e l'inflazione cinese si stà riversando all'estero. E forse I cinesi iniziaranno anche a dettare le condizioni di vendita, compresa la creazione di PROPRI marchi.
Saluti
Phitio
@ phitio
RispondiEliminainteressantissimo il tuo commento!
Ho notato che cominciano a comparire negozi con marchio cinese, "Liu joh" è l'ultimo che ho visto e anche i miei cinesini del mercato stanno aumentando i prezzi. Quello che l'anno scorso vendevano a 5 euro quest'anno costa 10-12. Io credo che pure i paesi dell'Est si sveglieranno e pretenderanno anche loro diritti e potere d'acquisto salariale. Ogni bello sfruttamento dura poco? Speriamo. Ciao!
La Cina non e' l' Africa, dove puoi piazzare un tot di signori della guerra locali per mantenere la popolazione nella miseri piu' abietta e contemporaneamente spremere tutte le risorse di base, quali minerali, petrolio, tessili, prodotto agricoli... La Cina al momento e' depositaria di tutto: ha le risorse minerarie, le fabbriche, un mercato interno in sviluppo sostenuto grande come quello dell'europa e ora anche il know how, ogni anno decine di migliaia di ingegneri, softweristi, tecnici, ricercatori escono dalle loro universita, e soprattutto trovano impiego in Cina, mica vanno fuori.
RispondiEliminaGli USA e l'Europa ora non hanno niente per tenere sotto scacco la Cina, a parte gli armamenti nucleari. Ma anche qui ormai i margini sono sottilissimi, per esempio i Cinesi sono ormai in grado di abbattere qualsiasi satellite che sorvoli i suo territorio, ne ha abbattuto uno dei suoi proprio nello stesso momento in cui Bush ed il congresso dicevano che lo spazio era roba loro ;).
Quindi, noi occidentali liberalizzatori a senzo unico da strapazzo che siamo, ora dobbiamo scendere a patti, anche perche meta' della roba che abbiamo non si fa piu' da noi, ma in cina, meta' delle nostre imprese produttive dipendono gira e rigira dall'asia.
Provare per credere: prendete dieci-quindici oggetti a caso di uso comune, e osservate il marchio del "Made in"... shock assicurato.
Quindi, ora aspettiamo l'onda di ritorno di una globalizzazione che impoverira' NOI. Sempre che questa globalizzazione abbia vita abbastanza lunga, cosa che io personalmente non credo affatto.
Per dirla tutta, la globalizzazione fra 10 anni sara' storia, ma per l'appunto questa e' un'altra storia ;)
Saluti
Phitio
@ phitio
RispondiEliminame lo auguro anch'io. Peccato non avere nipoti ai quali raccontare tra 40 anni e tanto, tanto ottimismo:"c'era una volta la globalizzazione".