Cosa cambia nella politica americana dopo la sconfitta rimediata da Giorgino alle elezioni di mid-term, conclusesi con una significativa avanzata dei democratici che potrebbe far presagire un cambio di gestione alla Casa Bianca tra due anni?
Dal punto di vista presidenziale, indubbiamente l’anatra esce ancora più zoppa dalla tenzone e dovrà trascinarsi ancora per due anni sperando in un ribaltamento nei consensi.
Donnie Rumsfeld ci ha subito rimesso le penne ma al suo posto è andato un vecchio amico e collega di papino alla CIA, quindi non so quanto sia da considerarsi rivoluzionario il cambiamento.
Per quanto riguarda la politica dell’amministrazione non mi attendo ulteriori grandi ribaltoni, dato che, come dice Gore Vidal, in America vi sono due partiti, uno di destra e uno di estrema destra, formati da politici che hanno comunque un’unica agenda da rispettare che è quella del “corporate power”, del potere dei gruppi di pressione, del complesso militare industriale e delle multinazionali. I democratici sono portatori di un’agenda più “compassionevole” di quella repubblicana, in genere, ma niente di più.
Gli americani hanno scelto questa volta di votare in maggioranza per i democratici e, se mi permettete una nota cattiva, il voto pro-asinello dev’essere stato proprio a valanga se questa volta gli amici di Jeb e Dubya non hanno potuto fare i soliti giochetti con le slot-machines elettorali della Diebold.
Tuttavia, più che un premio ai democratici il risultato elettorale potrebbe essere letto come una punizione nei confronti dell’amministrazione Bush, e nella fattispecie, della cricca neocon che ha trascinato il paese in due guerre dall’esito fallimentare causando la morte di migliaia di giovani americani.
Oltre al fattore guerra, nell’avanzata democratica può aver giocato anche la preoccupazione per la deriva liberticida di alcune leggi approvate dal presidente Bush con la scusa della guerra al terrorismo e che sono causa di molta preoccupazione nei settori più genuinamente liberal della società americana.
Molti commentatori italiani si sono affrettati a tessere le lodi dei neo-eletti deputati e senatori, dal primo musulmano che entra alla Camera a discapito del clima anti-islamico, al giovane e nero senatore Barack Obama.
Lodi sperticate sulla fiducia anche alla nuova presidente della Camera, donna e italoamericana, dimenticando che la signora, ad esempio sul Medio Oriente, non si scosta di molto dalla politica neocon e che anche Al Capone era italoamericano.
Ovazione per Hilary Clinton che potrebbe succedere a suo marito al potere presidenziale, caso unico nella storia dopo Jiang Qing, la vedova di Mao. Chissà chi sarebbero gli altri tre nella nuova Banda dei Quattro? Hilary è senz’altro in gamba ma è anche lei espressione di quell’unico calderone oligarchico dal quale nascono i politici statunitensi.
La nota comica dei commenti è giunta come al solito dal TG1 che ha detto testualmente che la signora Pelosi, neo-presidentessa della Camera, sarebbe andata da George e lì sul tamburo gli avrebbe intimato di cacciare Rumsfeld, cosa prontamente eseguita da Bush, segno del nuovo grande potere raggiunto dai democratici.
I telegiornali hanno un’idea molto provinciale degli Stati Uniti, mediata dai film commedia stile anni 50 con le donne che comandano a bacchetta gli uomini e preparano la torta di mele.
In realtà Rumsfeld si è tolto finalmente dai coglioni per ben altri motivi, di cui parlerò domani, che nascono dalla misconosciuta rivolta dei militari USA contro l’amministrazione Bush che cova sotto la cenere da parecchi mesi.
Dal punto di vista presidenziale, indubbiamente l’anatra esce ancora più zoppa dalla tenzone e dovrà trascinarsi ancora per due anni sperando in un ribaltamento nei consensi.
Donnie Rumsfeld ci ha subito rimesso le penne ma al suo posto è andato un vecchio amico e collega di papino alla CIA, quindi non so quanto sia da considerarsi rivoluzionario il cambiamento.
Per quanto riguarda la politica dell’amministrazione non mi attendo ulteriori grandi ribaltoni, dato che, come dice Gore Vidal, in America vi sono due partiti, uno di destra e uno di estrema destra, formati da politici che hanno comunque un’unica agenda da rispettare che è quella del “corporate power”, del potere dei gruppi di pressione, del complesso militare industriale e delle multinazionali. I democratici sono portatori di un’agenda più “compassionevole” di quella repubblicana, in genere, ma niente di più.
Gli americani hanno scelto questa volta di votare in maggioranza per i democratici e, se mi permettete una nota cattiva, il voto pro-asinello dev’essere stato proprio a valanga se questa volta gli amici di Jeb e Dubya non hanno potuto fare i soliti giochetti con le slot-machines elettorali della Diebold.
Tuttavia, più che un premio ai democratici il risultato elettorale potrebbe essere letto come una punizione nei confronti dell’amministrazione Bush, e nella fattispecie, della cricca neocon che ha trascinato il paese in due guerre dall’esito fallimentare causando la morte di migliaia di giovani americani.
Oltre al fattore guerra, nell’avanzata democratica può aver giocato anche la preoccupazione per la deriva liberticida di alcune leggi approvate dal presidente Bush con la scusa della guerra al terrorismo e che sono causa di molta preoccupazione nei settori più genuinamente liberal della società americana.
Molti commentatori italiani si sono affrettati a tessere le lodi dei neo-eletti deputati e senatori, dal primo musulmano che entra alla Camera a discapito del clima anti-islamico, al giovane e nero senatore Barack Obama.
Lodi sperticate sulla fiducia anche alla nuova presidente della Camera, donna e italoamericana, dimenticando che la signora, ad esempio sul Medio Oriente, non si scosta di molto dalla politica neocon e che anche Al Capone era italoamericano.
Ovazione per Hilary Clinton che potrebbe succedere a suo marito al potere presidenziale, caso unico nella storia dopo Jiang Qing, la vedova di Mao. Chissà chi sarebbero gli altri tre nella nuova Banda dei Quattro? Hilary è senz’altro in gamba ma è anche lei espressione di quell’unico calderone oligarchico dal quale nascono i politici statunitensi.
La nota comica dei commenti è giunta come al solito dal TG1 che ha detto testualmente che la signora Pelosi, neo-presidentessa della Camera, sarebbe andata da George e lì sul tamburo gli avrebbe intimato di cacciare Rumsfeld, cosa prontamente eseguita da Bush, segno del nuovo grande potere raggiunto dai democratici.
I telegiornali hanno un’idea molto provinciale degli Stati Uniti, mediata dai film commedia stile anni 50 con le donne che comandano a bacchetta gli uomini e preparano la torta di mele.
In realtà Rumsfeld si è tolto finalmente dai coglioni per ben altri motivi, di cui parlerò domani, che nascono dalla misconosciuta rivolta dei militari USA contro l’amministrazione Bush che cova sotto la cenere da parecchi mesi.
Beh, rivolta misconosciuta mica tanto, da noi se ne è parlato sui giornali in qualche occasione, e probabilmente anche sui soliti giornali americani alla NYT; il fatto è che questo non conta, quando la Fox è diventata il canale all-news più visto negli States e Sky News in Inghilterra, che i militari li fa parlare si, ma solo per dire cose tipo "ritirarci dall'Iraq sarebbe una stupidaggine e vanifica il sacrificio dei nostri soldati".
RispondiEliminaVero che c'è continuità negli interessi USA, ma il voto impone alle classi dirigenti per lo meno la revisione del disegno politico. Il risultato del voto americano mi fa pensare che i marines se ne andranno dall'Irak. L'offensiva militare è un totale fallimento strategico e politico, tanto sul fronte interno (dove la coscienza della sconfitta aliena consensi), quanto sul fronte della politica internazionale, dove tutti corrono ad armarsi di atomica. Ultimo ma non ultimo, l'annuncio del Giappone. Evidentemente, a parte i camerieri atlantisti, l'Unipolarismo sta stretto a tutti. Però i tentacoli della piovra che manovra Servizi Segreti e Terrorismo sono intatti e giocheranno qualche brutta sorpresa... staremo a vedere.
RispondiEliminaMi angoscia il livello scadentissimo del dibattito politico in tutti i paesi democratici. Lo stato più potente del mondo continua a non voler discutere un modello di sviluppo sostenibile e anche in questa competizione elettorale ci propina piattume e cazzate. Penso che la politica economica USA non cambierà tanto presto... E noi, cosa stiamo facendo? Appena tornato dalla risicata luna di miele, il Governo Prodi propone la rottamazione. Mi farei saltare col mio giubbetto esplosivo a Montecitorio! Le nostre città vanno rifatte da cima a fondo: o lo facciamo per tempo, o subiremo l'ineluttabile corso degli eventi, con disagi e danni che non è difficile immaginare... Progettare integralmente il trasporto pubblico, l'equilibrio ambientale, il risparmio energetico , il riciclaggio dei rifiuti avrebbe impegnato vasti investimenti produttivi nella ricerca e nell'industria. No, diciamo alla gente di comprare macchine che inquinano un pochino di meno, e facciamo un regalino a Montezemolo.
Purtroppo i voti per i Repubblicani sono sempre troppi, viste tutte le cagate (scusate il francese) combinate da Bush in questi anni...
RispondiEliminaIo cambierei il nick per il prossimo biennio, no? ;-)
RispondiEliminaA.I.U.T.O.
@ Cima
RispondiEliminaFacciamo meglio, George mi paga i diritti d'autore per fregiarsi del titolo per i prossimi due anni.
Questo mi piace... :-D
RispondiEliminaA.I.U.T.O.