Questo quadro di Egon Schiele si intitola “La morte e la fanciulla” ed è custodito al Museo del Belvedere a Vienna.
In questi giorni nei quali i miei sentimenti, ricordi ed emozioni sono sottoposti alla vivisezione del lutto mi è tornato in mente un episodio che lo riguarda.
Ero a Vienna con mia madre, nell’unico viaggio all’estero che abbiamo mai fatto noi due da sole. Quattordici giorni con i sensi e l’intelletto inondati della sublime bellezza dell’arte e della cultura mitteleuropee. Un ricordo indimenticabile.
Quando mi trovai di fronte a questo quadro, che sintetizza in maniera sconvolgente Eros e Thanatos, la vita e la morte, fui presa da un’emozione intensa, da un dolore cocente e una crisi violenta di pianto, apparentemente inspiegabili. Forse si trattò della famosa “Sindrome di Stendhal”. Qualche giorno più tardi tornai alla galleria e volli rivedere il quadro. Ancora una volta fui sopraffatta dalla stessa emozione al punto, questa volta, da dovermene fuggire via.
Ora è accaduto che mia madre sia morta proprio riproducendo quello stesso abbraccio con mio padre che tentava di soccorrerla.
In questi momenti si cerca disperatamente un conforto sia nella trascendenza, nella religione, nella fede e nel soprannaturale, sia nella razionalizzazione scientifica. Ci si sforza di trovare spiegazioni dove forse non esistono. La morte è un grande mistero che ti porta ai confini tra le dimensioni spazio-temporali ed i mondi possibili e ti sconvolge perché ti costringe a guardare l’inguardabile, soprattutto quando ciò che perdi è l’utero che ti ha generata.
Grazie al mio lavoro ho potuto organizzare e seguire ogni istante dell’ultimo viaggio di mia madre verso l’immortalità di cui godono le persone che hanno molto amato e da molti sono state amate.
Nietzsche diceva: “se guardi troppo in fondo all’abisso, l’abisso guarda te” ma io ho voluto affrontare questa realtà della morte in tutti i suoi aspetti, guardarla dritta in faccia e forse farmene abbracciare come nel quadro di Schiele.
L'ho voluto fino ad assistere alla “chiusura” della bara, un’operazione che di solito viene risparmiata ai parenti e che è mostrata con sconvolgente crudezza ne “La stanza del figlio” di Nanni Moretti. La scena è muta, rotta solo dal rumore dell’avvitatore che fissa le ventiquattro viti. Non c'è, credo, modo più terribile di descrivere il dramma della separazione.
Eppure da questo bagno gelato di realtà ne sto avendo conforto, in questi giorni balordi dove può capitare anche di sorridere e ridere come un'idiota, per esorcizzare il dolore.
Tornerò presto, anche perchè penso proprio, come ha detto Italo, che lei c'è ancora ed più forte di prima. Nonostante quelle ventiquattro viti.
Ero a Vienna con mia madre, nell’unico viaggio all’estero che abbiamo mai fatto noi due da sole. Quattordici giorni con i sensi e l’intelletto inondati della sublime bellezza dell’arte e della cultura mitteleuropee. Un ricordo indimenticabile.
Quando mi trovai di fronte a questo quadro, che sintetizza in maniera sconvolgente Eros e Thanatos, la vita e la morte, fui presa da un’emozione intensa, da un dolore cocente e una crisi violenta di pianto, apparentemente inspiegabili. Forse si trattò della famosa “Sindrome di Stendhal”. Qualche giorno più tardi tornai alla galleria e volli rivedere il quadro. Ancora una volta fui sopraffatta dalla stessa emozione al punto, questa volta, da dovermene fuggire via.
Ora è accaduto che mia madre sia morta proprio riproducendo quello stesso abbraccio con mio padre che tentava di soccorrerla.
In questi momenti si cerca disperatamente un conforto sia nella trascendenza, nella religione, nella fede e nel soprannaturale, sia nella razionalizzazione scientifica. Ci si sforza di trovare spiegazioni dove forse non esistono. La morte è un grande mistero che ti porta ai confini tra le dimensioni spazio-temporali ed i mondi possibili e ti sconvolge perché ti costringe a guardare l’inguardabile, soprattutto quando ciò che perdi è l’utero che ti ha generata.
Grazie al mio lavoro ho potuto organizzare e seguire ogni istante dell’ultimo viaggio di mia madre verso l’immortalità di cui godono le persone che hanno molto amato e da molti sono state amate.
Nietzsche diceva: “se guardi troppo in fondo all’abisso, l’abisso guarda te” ma io ho voluto affrontare questa realtà della morte in tutti i suoi aspetti, guardarla dritta in faccia e forse farmene abbracciare come nel quadro di Schiele.
L'ho voluto fino ad assistere alla “chiusura” della bara, un’operazione che di solito viene risparmiata ai parenti e che è mostrata con sconvolgente crudezza ne “La stanza del figlio” di Nanni Moretti. La scena è muta, rotta solo dal rumore dell’avvitatore che fissa le ventiquattro viti. Non c'è, credo, modo più terribile di descrivere il dramma della separazione.
Eppure da questo bagno gelato di realtà ne sto avendo conforto, in questi giorni balordi dove può capitare anche di sorridere e ridere come un'idiota, per esorcizzare il dolore.
Tornerò presto, anche perchè penso proprio, come ha detto Italo, che lei c'è ancora ed più forte di prima. Nonostante quelle ventiquattro viti.
Credo che il conforto lo si possa trovare solo con il tempo, che, pur non cancellando il dolore, trasforma quella morsa allo stomaco, in una dolce malinconia, i ricordi sono tutto ciò che tengono in vita una persona oltre la sua morte...e tanto più belli e numerosi sono tali ricordi, tanto più si sente vicina la presenza di chi è mancato.
RispondiEliminaTu hai tutti gli strumenti per elaborare questo distacco, sei una persona forte e sensibile allo stesso tempo...sono sicura che presto ti ritroverai a sorridere pensando a tutti i bei momenti che ti ha regalato la tua mamma, e a tutti gli altri che ancora vivrai grazie a lei che ti ha donato la vita.
un bacione
stefy
Amica mia, mi hai fatto venire in mente e nel cuore tante cose...
RispondiEliminaMia madre morì nel 2000 ed io assistetti impotente al suo trapasso.
Forse ti risponderò
Ma devo far decantare il vento di emozioni che infuria adesso...
Amica mia...
Amica mia...
Pensatoio
E' questo che conta:"l’immortalità di cui godono le persone che hanno molto amato e da molti sono state amate." . Conta l'amore, alla fine. Ti macererai, ti soffocherai inghiottendo lacrime. E' inevitabile. Forse ti sembrerà di non poter trovare conforto in nulla. In quei momenti non dimenticarti di questo: il molto amore dato, il molto amore ricevuto.
RispondiEliminaC'è un tempo per il dolore, c'è un tempo per i ricordi che feriscono, c'è poi il tempo dei ricordi che scaldano il cuore. Non avere fretta.
lei continua a vivere sotto altre forme in te e oltre te...
RispondiEliminaNon ci sono parole tali da poter consolare chi ha perso un genitore, anche se la "ruota" della vita ci dovrebbe far attendere l'inevitabilità come normalità. Io da ateo non posso neanche dare la speranza di un paradiso. Ti sono vicino insieme a mia moglie.
RispondiEliminaCara Lameduck, anche io, come te, ho fatto l'esperienza di separarmi definitivamente da chi mi ha ospitato fino al momento in cui sono venuta al mondo...il rapporto tra me e lei è sempre stato, diversamente che per te, molto difficile...eppure, nei giorni della sua agonia, anche se non poteva parlarmi, ho SENTITO che qualcosa tra noi si scioglieva...volevo essere lì con lei, per accompagnarla fino alla soglia, così come lei era stata con me per accompagnarmi qui...è stata una esperienza straordinaria. Ne sono venute molte cose buone per me...Ti auguro possa scoprire presto le tue, di cose buone...ed accadrà, lo so da quello che dici da come lo dici.
RispondiEliminaTi abbraccio forte.
Miriam
@ pibua
RispondiEliminaè tutto vero. Per me è un'esperienza nuova e cerco di lasciarmi passare sopra questa tempesta attaccandomi alle cose belle della vita e alle persone care che mi sono rimaste. Certo il vuoto rimane, tutte le cose che appartenevano ad una persona che non c'è più te la ricordano in continuazione. E' dura ma ce la farò.
Ricambio il bacione.
@Pensatoio
L'impotenza, ecco il senso che ti prende di fronte alla morte. Che poi è solo un effetto collaterale del nostro delirio di onnipotenza... Amico mio...
@ nonnapapera
"non avere fretta". E' verissimo.
@ sermau
ne sono convinta. E credo che ora sia serena, in pace, e che potrà trasmettermi questa serenità in futuro.
@ spartacus
grazie, caro Claudio, e ringrazio anche Diana. Oh, non smettere mai di portare i miei bacetti al piccolo, eh?
@ Miriam
Anche mia madre in questi ultimi due mesi aveva potuto riavvicinarsi molto a mio padre e questo credo l'abbia fatta felice.
Grazie per le parole di conforto... ricambio l'abbraccio.
Se esorcizzare la morte è istintivo, assimilare il lutto è fondante per la nostra personalità, poichè ci dispone drammaticamente ad una crescita non voluta eppure indispensabile. Vuol dire arrangiati con quello che ti resta e se non ti basta fa' che ti possa bastare: cerca l'amore in fondo a te e fallo germogliare (l'immagine della persona cara ci aiuta in questo, come un pegno per il bene che ci ha fatto e gli dobbiamo); perchè c'è il rischio che il dolore, se non ci porta a colmare il vuoto con la misura degli altri, e poi soltanto a riconoscere in loro la nostra umanità, ci renda aridi e disseccati. Non dubito che crescerai ancora
RispondiEliminaSpesso diciamo che "non ci sono parole" per descrivere un lutto, per confortare un'amica; ma non è vero, è solo un nostro limite.
RispondiEliminaLe parole sono lì, a portata di mano, basterebbe saperle scegliere e cadrebbero tutti gli imbarazzi, ci terremmo davvero tutti per mano.
Ecco, basterebbe, ma sovente non siamo capaci. L'abitudine all'ironia ci rende spesso eterei, leggeri, troppo per elaborare parole di conforto.
Mi viene solo in mente che l'amore con cui descrivi tua madre è la manifestazione dell'immortalità di cui parli.
Che poi il vedere che razza di papera in gamba abbia cresciuto la rende sicuramente una madre felice, ovunque si trovi.
Ti abbraccio sempre.
per inciso: Egon Schiele richiama Klimt, in modo non casuale. Ne era consapevolissimo, al punto che volle imitare nella tavolozza il maestro e partecipare alla Secessione Viennese. Ma ne fu sempre l'ombra (nel pieno senso psicologico) cacciando fuori tutti i dubbi e il dolore esistenziale che Klimt invece esorcizzava in uno stile accademico e sereno, con buona pace della coscienza borghese che lo ricambiò con onori e fortuna. Al contrario del Nostro, che fu variamente perseguitato, fino a difendersi in un processo per oscenità.
RispondiElimina@ candido
RispondiEliminasul fatto di crescere non ci sono dubbi. La perdita un genitore ti obbliga a scantarti di brutto e ad assumerti anche nuove responsabilità.
Schiele e Klimt morirono entrambi di "Spagnola" nel 1918, lo sapevi?
@ cima
carissimo, le parole le hai trovate, eccome. Mi hai commossa...
Ho perduto mio fratello in uno strano incidente stradale. Supportai due famiglie per quella perdita. Ero appena sopravissuto miracolosamente a un incidente stradale per colpa di un criminale ignoto. Avrei voluto esserci io sigillato sotto quelle 24 viti! Anche perché non avevo figli, mentre mio fratello ne lasciò una purtroppo.
RispondiEliminaE quando crollai dopo tre mesi rinchiudendomi in casa non trovarono di meglio che bombarmi di psicofarmaci invece di farmi parlare con qualcuno. In realtà avevo bisogno solo di uno psicologo, magari (col senno di poi) un buon prete che non trovai.
Le persone care le cerchi tutta la vita. Sai che sono accanto a te più di prima, ed è questa vicinanza e allo stesso tempo distanza infinita che rischia di far andare fuori di boccino. Ma l'Amore vince tutto, anche la morte. E' veramente così. E devo dire grazie ai padri spirituali che ho avuto in questi cinque lustri.
Hart