In queste domeniche d'estate mi capita di andare al mare usufruendo di un comodo servizio pullman che, partendo dalla mia città, mi scarica a pochi passi dallo stabilimento balneare a Milano Marittima. Un servizio che è utilizzato prevalentemente da decine di africani impiegati nel settore commercio abusivo di falsi griffati.
Non pensate siano dei poveri disgraziati. Generalmente vestiti bene, puliti, ("tirati a cazzuola", come si dice dalle mie parti), donne truccate e ingioiellate e tutti muniti di telefonino, con il quale, in meno di un nanosecondo, si comunicano l'un l'altro la presenza del controllore o della Finanza nei paraggi grazie, evidentemente, a basisti sul territorio.
Perché di solito, su venti, solo due timbrano il biglietto, tre dicono di avere l'abbonamento e gli altri semplicemente montano su con borse enormi o sacchi di plastica pieni di roba senza dire beo. Però, se sul pullman sale il controllore, alla fermata successiva, quando ne salgono degli altri, hanno tutti il biglietto in mano. Questa, a casa mia, è organizzazione.
Ieri ho assistito a questa gustosa scenetta. Dopo che i fratelli erano saliti tutti è arrivato un enorme fagottone portato da una donna che, con fare molto energico e in perfetto italiano, ha intimato all'autista di aprire il portabagagli perché lei non ce la faceva a farlo salire a bordo, il fagottone.
Alla richiesta il conducente, un ragazzo dall'accento partenopeo, ha risposto che, visto il genere di mercanzia, lui non era tenuto ad aprire alcun bagagliaio. La volitiva africana ha insistito ancora un po', ne è nato un breve battibecco che è finito da un lato in senegalese stretto e dall'altro in kitemmuort e alla fine il bagagliaio è rimasto chiuso e la tipa si è adattata a trascinarsi il fagottone appresso.
Una volta partiti si è creato un legame, come quelli che si stabiliscono tra compagni di stanza in ospedale, tra gli unici bianchi a bordo: io, il conducente e una ragazza moldava.
L'autista ci spiegava che, in caso di controllo della Finanza, era lui, come responsabile delle persone e degli oggetti trasportati, a potersi beccare paradossalmente il verbale e la multa e non i passeggeri trasportanti la merce illecita.
Al che gli ho raccontato l'episodio accaduto due settimane prima, sempre sullo stesso pullman.
Stessa configurazione di base: 3-4 bianchi, una ventina di neri. All'arrivo a Milano Marittima, dietro una curva troviamo la Finanza che ci ferma. Gli agenti salgono a bordo e iniziano a perquisire i bagagli dei fratelli. Qualcuno tenta di scappare ma viene fermato con il classico "non sgamare, vieni qua ragazzo". Ascolto questo dialogo provenire da fondo pullman:
Finanziere - "E queste borse di Dolce&Gabbana di chi sono?"
Passeggeri - (muti)
Finanziere - "Allora, ripeto la domanda, di chi è questa valigia con le borse?"
Passeggeri - "Mah, non lo sappiamo, non è di nessuno". (Sembra "Chi è che ti ha accecato, fratello ciclope?" "Nessuno è stato, nessuno!")
Finanziere - "Ah, vabbé".
La yellow flame sequestra come proforma un borsone con dentro quattro cazzabubbole, saluta i pochi bianchi a bordo, scende, raggiunge i colleghi e se ne va. Nessun verbale, nessuna contravvenzione. Sipario, fine del primo atto.
Quando arrivi sulla spiaggia la commedia prosegue. Loro, gli africani, ci provano a stendere la merce in prima fila lungo il mare (lo so che devo trattenermi dall'utilizzare il termine fascista "bagnasciuga"): borse origginali perfettamente imitate soprattutto di Prada e Louis Vuitton, orologi-patacca, portafogli griffati.
Dopo un po', rifacendo la passeggiata in riva al mare al contrario, noti che le bancarelle sono sparite perché nel frattempo sono arrivati i quad con i vigili biancovestiti che le hanno fatte sbaraccare. I fratelli sono acquattati dietro ai gabbiotti dei bagnini e la merce è misteriosamente sparita. Non si sa bene se perché sequestrata dalla Polizia o semplicemente fatta sparire con un incanto patronus dai venditori.
Pare abbiano nascondigli un po' ovunque. Mi dicevano che l'anno scorso le autorità avevano trovato un vero e proprio deposito sepolto sotto la sabbia in una di quelle colonie fatiscenti abbandonate che ancora si affacciano sulla spiaggia. Il telefonino è fondamentale. Un passaparola, un sms, loro scappano nelle retrovie e la merce sparisce.
Andati via i vigili, a volte ritornano (i mercanti), ristendono le lenzuolate di Vuitton e il gioco ricomincia fino a sera.
Mi chiedevo, durante un soggiorno marino a Cesenatico in giugno, come mai lì le bancarelle non vi fossero e gli unici abusivi fossero alcuni sparuti cingalesi che giravano tra gli ombrelloni con le loro collanine. Escludendo l'ipotesi squadroni della morte, come pure quella di una straordinaria efficienza dell'opera di contenimento e repressione del reato, rimane la spiegazione economica. E cioè che a Cesenatico non vi sia un frullo tale di MILF danarose disposte a spendere 90 euro per il Prada-tarocco come a Milano Marittima. Per cui Cesenatico è una piazza sulla quale non conviene investire e amen.
La percezione della presenza del ricco sulla spiaggia ancora tra le più sciccose della Romagna si nota anche dalla sharmelsheikizzazione del territorio. In spiaggia il bianco è continuamente tempestato di richieste perché percepito dal popolo dei mercanti della globalizzazione multicolor come soggetto danaroso da spremere che non aspetta altro che di comperare compulsivamente collanine, braccialettini, cover per i-Phone, gabbiette con finti uccelli gracchianti, aquiloni, radioline moleste, infila-ago (con relativa imposizione di dimostrazione pratica) e naturalmente firme taroccate. Che non vede l'ora di farsi cinque o sei massaggi al giorno, tatuaggi temporanei e treccine rasta.
Come ci ha spiegato Saviano,
il mercato dei falsi è fatto di falsi per modo di dire. Una parte del compenso che va dalle griffes committenti alle organizzazioni criminali che controllano la manifattura a basso costo degli oggetti rivenduti poi a peso d'oro, consiste nel poter produrre una quantità di "falsi" con gli stessi materiali con i quali vengono prodotti gli originali. Da smerciarsi poi nei canali ritenuti più opportuni.
Ecco perché la falsa borsa costa non meno di 70-80 euro, a volte il doppio di quanto paghi l'originale nel circuito outlet e questa è la riprova che si tratta di mercato gestito dalla criminalità organizzata, che utilizza come veicoli "poveri extracomunitari" che, secondo il buonismo piagnone del meraviglioso mondo piddino, si "guadambano solo la ggiornata" e invece sono parte integrante di un sistema florido e ben organizzato di commercio illecito. Capace di tirar fuori una certa spavalderia e strafottenza al momento opportuno. Che agisce praticamente indisturbato sul territorio. Perché sicuramente nessuno ha mai chiesto al senegal chi è il capo che gli fornisce la roba e lo è andato a prendere di conseguenza. E io, come cittadina, mi sento un po' presa per il culo, dico la verità
Addendum. Per non aver fatto una ricevuta di otto euro, una volta e quella volta sola, ho beccato il verbale della GdF e l'azienda ha ricevuto una multa successiva di seicento euro. Ad un bar della mia città è stato contestato che il numero di cioccolatini serviti per cortesia, secondo il principio 1:1 con il caffé, fosse inferiore al numero di caffé venduti. Ergo evasione fiscale, verbale e multa salatissima.
Ieri maxicontrollo nei luoghi di vacanza vip per la serie: "colpire un orefice per educarne cento". Per carità, l'evasione esiste e va repressa ma, secondo me, guardando il quadro generale dell'illecito in commercio in Italia dalla giusta distanza e con la dovuta obiettività, non ci siamo proprio.