A proposito degli Oscar, chi e cosa si premia oggigiorno? Si premia il merito, la bravura o forse più l'utilità allo scopo, condita con la paraculaggine?
A leggere le cronache del giorno dopo sembrava di aver visto assegnare il Nobel per la Pace, ovvero il supertelegattonemao dell'ONU e delle altre cricche sovranazionali. Premio per la Pace che ormai viene assegnato senza alcun pudore agli imperatori, ai loro famigli che si adoperano per la pace fomentando la guerra (giustamente) e ai vari personaggetti esotici da un quarto d'ora di vita che servono da serve per alimentare il frame del momento. Oltre che, a rotazione, alle varie ONG per i diritti, per i rifugiati, eccetera. Praticamente un premio aziendale, un pacco dono ai figli della vedova nella versione politically correct della Befana fascista.
Anche il Premio Nobel classico, quello serio, ormai non è più se non raramente celebrazione della pura sci-enza e del genio ma è piuttosto l'occasione per chi finanzia la ricerca di marcare il territorio e fornire un indizio per capire quali sono le ricerche che soddisfano gli interessi delle corporation che formano i vari complessi industriali e militari. Interessi che potrebbero benissimo non coincidere con quelli dell'umanità.
Se parliamo di interessi entra in gioco la propaganda ed ecco che, nell'ambito degli Oscar, il cinema, come tutti i mezzi di comunicazione di massa, ha un ruolo importantissimo ed è in grado di tracciare il solco, soprattutto se nella serata ci infili il divo televisivo, la rockstar e tutto quanto fa spettacolo. Che ormai i divi e le dive dell'industria dello spettacolo siano stati arruolati e siano impegnati a pieno regime a fabbricare, con le loro manine sante, i proiettili per la guerra psicologica lo abbiamo visto recentemente anche noi nel nostro piccolo provinciale con l'infimo Sanremo dei nastri multikulticolor.
Il cinema propriamente detto, inteso come forma espressiva della creatività umana dispiegata in ogni sua potenzialità e grado di libertà sta comprimendosi in una gabbia dove gli argomenti da trattare e il modo in cui vengono accomodati provengono tutti dal grande librone di cucina del Grande Fratello: i diritticivili, il meticciato, il biancobbrutto, l'ammoregay, il globbaluormin, i porimigranti. Ciò vale per il cinema commerciale che si autocelebra agli Oscar ma anche per i cosiddetti indipendenti, che finiscono anche loro per istituzionalizzarsi nella melassa buonista.
In fondo è un bene ed è significativo che la pomposa Academy non abbia mai premiato in vita uno di passaggio come Stanley Kubrick. Uno che ha tirato le più dolorose rasoiate all'ipocrisia del mondo.
Chi è stato premiato dunque, ieri sera? Le cronache ci dicono soprattutto il maestro Morricone, il cui Oscar viaggiava con almeno cinquant'anni di ritardo ed è infine giunto a 87 anni dopo il contentino dell'Oscar alla carriera di qualche anno fa, e Leonardo Di Caprio, che ormai ci stava facendo una malattia ed è stato accontentato. Ma il chi non importa, è interessante il come ed il perché di questa immensa paraculata dove il cinema ormai è un dettaglio. Un tenero acquerello oppresso da un'enorme ridondante cornice.
Prima della premiazione c'era stata la prova microfono per i piagnistei delle solite minoranze piagnone. "L'Oscar è troppo bianco!", gridarono i soliti attivisti della negritudine convinta della propria superiorità razziale senza che nessuno ne ravvisi mai il razzismo che sconfina in un hate speech che, se fosse agito al contrario, farebbe scattare tutti gli allarmi. Ebbene, chi è stato chiamato a presentare la serata? Un afroamericano, Chris Rock, che, oltre alla recitazione del mantra sulle "stesse opportunità", ha giustamente ricordato ai fratelli che negli anni 60 c'era la vera discriminazione, non certo oggigiorno.
A leggere le trame dei film nominati e soprattutto la loro presentazione al pubblico, ovvero la motivazione per la quale si dovrebbe andarli a vedere, si capisce che ognuno di essi rappresenta una pedina in un gioco assai equilibrato ed equilibristico di colpetti ai cerchi e alle botti della propaganda. Si parte da buoni propositi ma si finisce nel tritacarne del buonismo e della paraculaggine hardcore.
La migrante che il destino cinico e baro fa ritornare al suo paese in "Brooklyn"; i soliti noti loschi trafficoni di Wall Street di "La grande scommessa", che tutti sanno quanto siano dannosi però nessuno fa mai niente per fermare.
La grande rentrée nell'immaginario collettivo in "The Martian" del mito dell'astronauta, qui abbandonato all'autogrill su Marte dall'equipaggio multikulti (c'è pure il tedesco zuccone) della sua missione e costretto a mangiare patate concimate con la sua pupù, in attesa di essere salvato da un'alleanza tra NASA e agenzia spaziale cinese che in quattro e quattr'otto realizza l'elasticone che sparerà la sua astronave indietro a riprenderlo. Vuoi non salvare un poro migrante con uno Spazio Nostrum interplanetario? La fantascienza qui consiste nell'aver trovato i fondi per l'operazione. E salutiamo anche l'anima di Ridley Scott, volata nella collezione privata di chi riesce a comprarsi tutto.
"The Danish Girl" invece parla del primo trans della storia ma, ovviamente, diventa una grande storia d'amore tra il tizio che diventa tizia e la moglie di tizio che gli rimane accanto nonostante tutto. Ovvero: la celebrazione della femminilizzazione e della bellezza dello scambio di trucchi tra coniugi. Sarebbe una bella storia se non cercassero di farla passare come l'unica forma veramente nobile di amore. Anzi, di ammore. L'ammore vero è quello gay perché è amore sofferto.
Notoriamente noi etero riusciamo a scoparci tutti coloro che ci piacciono, siamo sempre ricambiati, non sbagliamo mai un colpo, nessuno ci lascia e le lacrime d'amore non sappiamo nemmeno cosa siano.
Ma si parlava di piagnoni e a quelli che manovrano i bamboccini sul palco non interessa l'omosessualità vera, quella maschia, da combattimento ed eroica celebrata fin dall'antichità, ma la frociaggine, la passività da eccesso di estrogeni di una società non solo femminilizzata ma perennemente premestruata. I veri omosessuali dovrebbero aborrire questo inno all'estinzione, nonostante l'ipotesi madri surrogate.
Scorrendo i titoli dei video pubblicati sul sito di Repubblica a commento della notte degli Oscar appena conclusasi si capiscono tante altre cose.
"Lady Gaga canta contro la violenza sessuale". E' ovvio. Immaginate una cantante che ne canta a favore?
"Spotlight", il produttore: "Papa protegga i bambini" Poteva mancare la mazzata al cattolicesimobrutto del filmone inchiesta, con la scusa inattaccabile della pedofilia?
Sam Smith dedica la statuetta alla comunità Lgbt. Il cantante inglese fa coming out sul palco avvinghiato al moroso (presumo), ed è premiato per una canzone strappapelipubici utilizzata come colonna sonora dell'ultimo James Bond, che è troppo maschio e forse sarà sostituito con un altro attore più sapiosexual e in linea con lo Zeitgeist della resa incondizionata. Nello stesso film, infatti, ad un certo punto, il grigio burocrate inviato da una losca entità sovranazionale denominata Spectre ad eliminare l'MI6 e creare un unica intelligence globale, commentando con M le reticenze di alcuni servizi segreti nazionali nei confronti della cessione di sovranità (!), dice, tra una velata minaccia e l'altra ai riottosi: "Presto anche il Sud Africa vedrà la luce". Più chiaro di così.
Ed inoltre: il regista premiato Inarritu poteva esimersi dall'affermare "Basta con i pregiudizi sul colore della pelle"? Ancora? Vale anche il bianco o quello non conta?
E Di Caprio, stringendo la concupita statuetta ottenuta chissà dopo quali riti di iniziazione tipo Skulls & Bones, bevuta dal teschio inclusa, e in attesa del corriere che verrà a ritirare l'anima probabilmente venduta al diavolo pur di ottenerla e dopo essere passato anche da Papa Francis per sicurezza (Leo, si scherza), poteva non menarla con il globbaluormin?
Di Caprio per l'ambiente: "La Terra è sotto minaccia" Che bravo bambino, come Obama.