Capita a volte di leggere qualcosa di epico. Uno scritto particolarmente felice che riassume tutto ciò che ci sarebbe da dire e che soprattutto si vorrebbe leggere sui giornali ed ascoltare nei notiziari sugli argomenti di attualità che non siano i fottuti Mondiali di Calcio vinti dai soliti crucchi, gli occhioni manga della ministra, le riforme, il chiscopachi estivo, l'addio di Conte, quisquilie atte a nascondere l'iniezione letale che sta per essere praticata alla democrazia italiana grazie ai maledetti piddini.
Non è un caso che un articolo omerico come questo di John Pilger, che riprendo tradotto in italiano grazie al sempre mai abbastanza ringraziabile "Voci dall'Estero", provenga da un autore australiano e non italiano. Gli italiani, parafrasando un Gaber da censura, sono troppo invischiati nei propri sfaceli, non reagiscono più se non a comando, salivando come i cani di Pavlov in risposta alla stimolazione propagandistica. Assomigliano sempre di più ai loro ministri e ministre dalle espressioni lobotomizzate, dai cervellini rossi fritti e marinati nella catatonia.
Di quante cose gravi ci sarebbe da discutere in questi giorni. Discutere però, se non ancora proibito, è quanto meno sconsigliato. Meglio il generatore automatico di risposte predigerite e rigurgitate.
L'Ucraina? Paga il suo tenere per Putin, l'amico di e quindi cattivo perché nemico soprattutto di quegli altri.
Gaza e i suoi già duecento morti per i tre poveri ragazzi israeliani assassinati, non si saprà mai da chi perché questo è il mondo dove il terrorismo non rivendica più i suoi delitti e "chi è stato" è sempre di più un dettaglio? Se muoiono i palestinesi è solo colpa dei palestinesi e se non sei ancora completamente e sociopaticamente indifferente al tremendo filmato dell'uomo aggrappato in obitorio al cadaverino del figlioletto con la testa spaccata in due, significa che bisogna lavorarci ancora un po'.
Gaza? Ma scherzi, ricicliamo il vecchio pezzo lacrimogeno sul dramma speculare, anche se obiettivamente improponibile come confronto, degli insediamenti dei coloni sottoposti alla minaccia dei Qassam, che in confronto ai droni e agli esplosivi DIME sono bott a mur.
Tutto deve essere ricondotto al principio del "si sono dati fuoco da soli" tanto caro a fogliacci per fortuna in coma dépassé come l'Unità, su cui lo spettro di Gramsci sta giustamente danzando e festeggiando, tifando per il duo-cougar Ferrari-Santanché affinché se ne aggiudichi in affidamento le ceneri.
Vi lascio a Pilger, God bless him.
"Su Israele, l'Ucraina e la Verità" di John Pilger — 11 luglio 2014 da CounterPunch
L'altra sera ho visto 1984 di George Orwell rappresentato sul palcoscenico, a Londra. Nonostante abbia fortemente bisogno di un'interpretazione contemporanea, l'avvertimento lanciato da Orwell riguardo al futuro è stato rappresentato come un oggetto d'epoca: remoto, non minaccioso, quasi rassicurante. È come se Edward Snowden non avesse rivelato nulla, come se il Grande Fratello non fosse oggi uno spione digitale e Orwell stesso non avesse mai detto: "Per essere corrotti dal totalitarismo non è necessario vivere in un paese totalitario."
Acclamata dai critici, questa sapiente rappresentazione ha dato la misura del nostro tempo culturale e politico. Quando si sono riaccese le luci, le persone stavano già uscendo. Sono sembrati impassibili, o forse avevano altre cose per la testa. "Che delirio," ha detto una giovane donna mentre accendeva il cellulare.
Mentre le società avanzate diventano de-politicizzate, i cambiamenti sono tanto sottili quanto spettacolari. Nei discorsi quotidiani, il linguaggio politico si capovolge, come Orwell profetizzava in 1984. La parola "democrazia" è un artificio retorico. La pace è "perpetua guerra". "Globale" significa imperiale. Il concetto di "riforme", un tempo pieno di speranza, oggi significa regressione, perfino distruzione. "Austerità" è l'imposizione del capitalismo estremo sui poveri e i doni del socialismo dati ai ricchi: un sistema ingegnoso nel quale la maggioranza copre il debito di pochi.
Nelle arti, l'ostilità all'espressione della verità nella politica è un articolo della fede borghese. "Il periodo rosso di Picasso," diceva un titolo dell'Observer, "e perché la politica non fa buona arte." Considerate che questo era in un giornale che promuoveva il bagno di sangue in Iraq come una crociata liberal. L'opposizione di Picasso al fascismo durante tutta la sua vita è solo una nota a margine, proprio come il radicalismo di Orwell è svanito nel premio letterario che si è appropriato del suo nome.
Alcuni anni fa Terry Eagleton, allora professore di letteratura inglese all'Università di Manchester, aveva calcolato che "per la prima volta da due secoli a questa parte, non c'è poeta, drammaturgo o romanziere britannico che sia pronto a mettere in questione i fondamenti del modo di vivere occidentale." Non c'è uno Schelly che parli per i poveri, un Blake per i sogni utopistici un Byron che maledica la corruzione della classe dominante, un Thomas Carlyle o un John Ruskin che rivelino il disastro morale del capitalismo. William Morris, Oscar Wilde, HG Wells, George Bernand Shaw, non hanno degli equivalenti oggi. Harold Pinter è stato l'ultimo a sollevare la propria voce. Tra le voci insistenti del consumismo femminista, nessuna fa eco a Virginia Woolpiklpf, che aveva descritto "le arti di dominazione sulle persone ... del potere, dell'omicidio, dell'acquisizione di terre e di capitale".
Al National Theatre una nuova commedia, "Gran Bretagna", fa satira sullo scandalo delle intercettazioni telefoniche che ha visto processati e condannati dei giornalisti, tra cui un ex editore delle Rupert Murdoch's News del World. Descritta come una "farsa con le zanne [che] mette l'intera cultura incestuosa [dei media] sul banco degli imputati e la sottopone ad una ridicolaggine spietata", il bersaglio della commedia sono i personaggi "beatamente divertenti" del tabloid della stampa britannica. È cosa buona e giusta, e molto familiare. Che dire dei media non-tabloid che si considerano credibili e rispettabili, e tuttavia svolgono un ruolo parallelo come braccio del potere dello stato e delle corporazione, come ad esempio nella promozione di guerre illegali?
L'inchiesta di Leveson sulle intercettazioni telefoniche ha accennato a questo tema innominabile. Tony Blair ne stava dando dimostrazione, lamentandosi con Sua Maestà del fastidio che i tabloid davano a sua moglie, quando è stato interrotto da una voce proveniente dalla tribuna del pubblico. David Lawley-Wakelin, un produttore cinematografico, ha chiesto che Blair fosse arrestato e processato per crimini di guerra. Ci fu una lunga pausa: lo shock della verità. Il signor Leveson balzò in piedi e ordinò che colui che diceva la verità fosse mandato fuori, e si scusò con il criminale di guerra. Lawley-Wakelin finì sotto processo, Blair rimase libero.
I complici di lungo corso di Blair sono più rispettabili degli intercettatori delle telefonate. Quando la presentatrice della BBC, Kirsty Wark, lo intervistò per il decimo anniversario dell'invasione dell'Iraq, gli concesse un momento che egli poteva solo sognare; gli permise di soffermarsi sulla "difficile" decisione presa per l'Iraq invece che chiedergli conto del suo crimine epico. Ciò ha rievocato la processione di giornalisti della BBC che nel 2003 dichiaravano che Blair poteva sentirsi "vendicato", e la successiva "fondamentale" serie della BBC, "Gli Anni di Blair", per la quale David Aaronovitch fu scelto come scrittore, presentatore e intervistatore. Da servitore di Murdoch che ha fatto campagna a sostegno dell'attacco militare in Iraq, Libia e Siria, Aaronovitch ha saputo adulare sapientemente.
Fin dall'invasione dell'Iraq – esempio di atto di aggressione non provocata che un giudice di Norimberga, Robert Jackson, ha definito "il supremo crimine interazionale, che differisce da altri crimini di guerra per il fatto che contiene in se stesso la somma di tutti i mali" – Blair e il suo portavoce e principale complice, Alastair Campbell, hanno ricevuto abbondante spazio sul Guardian per poter riabilitare la propria reputazione. Descritto come una "star" del partito laburista, Campbell ha cercato le simpatie dei lettori usando la propria depressione e facendo mostra del suo interesse per la tirannia militare egiziana, sebbene questo non rientri nei suoi attuali compiti di consigliere di Blair.
Ora che l'Iraq è smembrato, a seguito dell'invasione di Blair e Bush, il titolo del Guardian dichiara: "Rovesciare Saddam è stato giusto, ma lo abbiamo fatto troppo presto". Questo capitava in concomitanza con un articolo in primo piano, il 13 giugno, di un ex funzionario di Blair, John McTernan, che tra l'altro era al servizio del dittatore iracheno installato dalla CIA, Iyad Allawi. Nel chiedere una ripetizione dell'invasione di un paese che il suo precedente padrone ha contribuito a distruggere, non ha fatto per nulla riferimento alla morte di almeno 700.000 persone, all'esodo di quattro milioni di rifugiati e al tumulto di sètte in un paese che precedentemente andava fiero della sua tolleranza di costumi.
"Blair incarna la corruzione e la guerra," ha scritto un cronista radicale del Guardian, Seumas Milne, in un focoso pezzo del 3 luglio. Questo è noto al mestiere come un "bilanciamento". Il giorno seguente, la rivista ha pubblicizzato a tutta pagina un bombardiere Americal Stealth. Sulla minacciosa fotografia del bombardiere c'erano le parole: "F-35. Grande per la Gran Bretagna". Quest'altra incarnazione di "corruzione e guerra" costerà al contribuente britannico 1,3 miliardi di sterline, dopo che il suo modello F- precedente ha massacrato un po' di persone in giro per il mondo in via di sviluppo.
In un villaggio dell'Afghanistan, abitato dai più poveri tra i poveri, ho filmato Orifa, in ginocchio sulle tombe di suo marito, Gul Ahmed, un tessitore di tappeti, di altri sette membri della famiglia tra cui sei bambini, e di due bambini che erano stati uccisi nella casa a fianco. Una bomba "di precisione" da 500 libbre è caduta dritta sulla loro casa di fango, pietre e paglia, lasciando un cratere largo 15 metri. Lockheed Martin, il costruttore dell'aereo, ha avuto l'onore di aver trovato posto nella pubblicità del Guardian.
L'ex Segretario di Stato e aspirante Presidente degli Stati Uniti, Hillary Clinton, è stata di recente all'Ora delle Donne sulla BBC, la quintessenza della rispettabilità mediatica. La presentatrice, Jenni Murray, ha presentato la Clinton come un faro della realizzazione femminile. Non ha ricordato ai suoi ascoltatori l'assurdità detta dalla Clinton secondo cui l'Afghanistan è stato invaso per "liberare" le donne come Orifa. Non ha chiesto nulla alla Clinton sulla campagna di terrore condotta dalla sua amministrazione, che usa i droni per uccidere donne, uomini e bambini. Non ha fatto menzione della vana minaccia della Clinton, formulata mentre faceva campagna per essere il primo presidente donna, di "eliminare" l'Iran, e nulla a proposito del suo sostegno alla campagna illegale di intercettazione di massa e alla caccia agli informatori.
La Murray ha fatto giusto una domanda da dito sulle labbra. Ha chiesto se la Clinton ha perdonato Monica Lewinsky per aver avuto una relazione con suo marito. "Il perdono è una scelta," ha detto la Clinton, "per me è assolutamente la scelta giusta." Questo ha riportato alla mente gli anni '90, gli anni consumati dallo "scandalo" Lewinsky. Il Presidente Bill Clinton stava allora invadendo Haiti, e bombardando i Balcani, l'Africa e l'Iraq. Stava anche distruggendo le vite dei bambini iracheni; l'Unicef riportò la morte di mezzo milione di bambini iracheni di meno di cinque anni, come risultato dell'embargo imposto dagli USA e dalla Gran Bretagna.
I bambini sono spariti dai media, proprio come le vittime delle invasioni sostenute e promosse da Hillary Clinton – in Afghanistan, Iraq, Yemen, Somalia – sono sparite dai media. Murray non ne ha fatto cenno. Una fotografia di lei e della sua distinta ospite, raggiante, è apparsa sul sito web della BBC.
In politica come nel giornalismo e nell'arte, sembra che il dissenso inizialmente tollerato nel "mainstream" sia regredito a dissidenza: un metaforico clandestino. Quando ho iniziato la carriera nel britannico Fleet Street, negli anni '60, era accettabile criticare il potere occidentale come una forza predatoria. Leggete i celebri resoconti di James Cameron sull'esplosione della bomba ad idrogeno sull'atollo Bikini, sulla barbarica guerra di Corea e sui bombardamenti americani nel Vietnam del Nord. La grande illusione di oggi è quella di essere nell'epoca dell'informazione quando, in realtà, siamo in un'epoca in cui l'incessante propaganda corporativa è insidiosa, contagiosa, efficace e liberale.
Nel suo saggio del 1859 Sulla Libertà, al quale i moderni liberali tributano i loro omaggi, John Stuart Mill scriveva: "Il dispotismo è un legittimo metodo di governo quando si ha a che fare coi barbari, purché la finalità sia il loro miglioramento, e i mezzi siano giustificati dall'efficace raggiungimento di quella finalità." I "barbari" erano grandi porzioni dell'umanità la cui "implicita obbedienza" era pretesa. "È un mito bello e comodo che i liberali siano pacifisti e i conservatori siano guerrafondai," ha scritto lo storico Hywel Williams nel 2001, "ma l'imperialismo alla maniera dei liberali può essere più pericoloso a causa della sua natura priva di limiti precisi: la sua convinzione di rappresentare una forma di vita superiore." Aveva in mente il discorso di Blair, nel quale l'allora primo ministro prometteva di "rimettere ordine nel mondo intorno a noi" secondo i suoi "valori morali".
Richard Falk, rispettata autorità di diritto internazionale e Relatore Speciale dell'ONU in Palestina, una volta descrisse uno "schermo di immagini positive dei valori occidentali e dell'innocenza, autolegittimato e a senso unico, raffigurato come sotto minaccia per legittimare una campagna di illimitata violenza politica." Esso è "così ampiamente accettato da risultare pressoché inattaccabile".
La clientela e i sostenitori premiano i guardiani. Su Radio 4 della BBC, Razia Iqbal ha intervistato Toni Morrison, Premio Nobel afro-americano. La Morrison si chiedeva perché la gente fosse “così arrabbiata” con Barack Obama, il quale è così “cool” e vuole costruire una “economia forte e un’assistenza sanitaria”. La Morrison è stata orgogliosa di aver parlato al telefono con il suo eroe, che aveva letto uno dei suoi libri e l’aveva invitata alla sua inaugurazione.
Né lei né la sua intervistatrice hanno menzionato le sette guerre di Obama, inclusa la campagna di terrore coi droni, nella quale intere famiglie, i loro soccorritori e chi era in lutto per loro, sono stati assassinati. Quel che sembrava contare era che un uomo di colore “bravo a parlare” è riuscito ad arrivare ai vertici del potere. Nei Dannati della Terra, Frantz Fanon scrisse che la “missione storica” dei colonizzati era quella di servire come “linea di trasmissione” per coloro che comandavano e opprimevano. Nell’era moderna, l’impiego delle differenze etniche nel sistema di potere e di propaganda occidentale è considerato essenziale. Obama incarna esattamente questo, sebbene sia stato il governo di George W. Bush – la sua cricca guerrafondaia – il più multietnico della storia presidenziale.
Mentre la città irachena di Mosul cadeva nelle mani degli jihadisti dell’ISIS, Obama diceva che “Gli americani hanno fatto enormi investimenti e sacrifici per dare agli iracheni l’opportunità di inseguire un destino migliore.” Quanto è “cool” questa bugia? Quanto è stato “bravo a parlare” Obama nel discorso all’accademia militare West Point il 28 maggio? Facendo il suo discorso sulle “condizioni del mondo” alla cerimonia di laurea di quelli che “prenderanno la leadership dell’America” nel mondo, Obama ha detto “Gli Stati Uniti useranno la forza militare, unilateralmente se necessario, quando i nostri interessi fondamentali lo richiederanno. Le opinioni internazionali sono importanti, ma l’America non dovrà mai chiedere il permesso...”
Ripudiando la legge internazionale e i diritti delle nazioni indipendenti, il presidente americano si appella ad una divinità sulla base del potere della sua “indispensabile nazione”. È un ben noto messaggio di impunità imperiale, sebbene sempre rassicurante da sentire. Evocando l’ascesa del fascismo negli anni ’30, Obama ha detto “Credo nell’eccezionalità dell’America con ogni fibra del mio essere.” Lo storico Norman Pollack a scritto: “Per quelli che marciano col passo dell’oca, rimpiazzate la militarizzazione apparentemente più innocua dell’intera cultura. E per il leader altisonante abbiamo il riformatore mancato, spensieratamente all’opera, che pianifica ed esegue omicidi, sorridendo tutto il tempo.”
In febbraio gli USA hanno imbastito uno dei loro “coloriti” colpi di stato contro un governo eletto in Ucraina, sfruttando le sincere proteste contro la corruzione a Kiev. Il consigliere di Obama per la sicurezza nazionale, Victoria Nuland, ha scelto personalmente il leader di un “governo provvisorio”. Lo ha soprannominato “Yat”. Il vicepresidente Joe Biden è andato a Kiev, così come il direttore della CIA John Brennan. Le truppe d’assalto per il loro colpo di stato erano fascisti ucraini.
Per la prima volta dal 1945, un partito neo-nazista e apertamente anti-semita controlla i punti chiave del potere statale in una capitale europea. Nessun leader dell’Europa occidentale ha condannato questo risveglio del fascismo nella zona di confine nella quale i nazisti di Hitler uccisero milioni di russi. Essi avevano il supporto dell’Esercito di Insurrezione Ucraino (UPA), responsabile del massacro di ebrei e russi, chiamato “vermin”. L’UPA è l’ispiratore storico dell’odierno partito Svoboda e del suo associato Settore Destro. Il leader di Svoboda, Oleh Tyahnybok ha chiesto la purga della “mafia russo-ebraica” e di “altra feccia” tra cui gay, femministe, e gente di sinistra.
Fin dal collasso dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno circondato la Russia di basi militari, aerei da guerra nucleari e missili, come parte del progetto di allargamento della Nato. Rinnegando la promessa fatta al presidente sovietico Mikhail Gorbachev nel 1990, secondo cui la Nato non si sarebbe espansa “di un solo centimetro verso est”, la Nato ha, in realtà, occupato militarmente l’est Europa. Nel Caucaso ex-sovietico, l’espansione della Nato costituisce il più grande sviluppo militare dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Un piano di azione per l’appartenenza alla Nato è il regalo di Washington fatto al regime di Kiev. In agosto l’Operazione Tridente Rapido porterà truppe americane e britanniche sul confine russo dell’Ucraina, e il piano Brezza di Mare spedirà navi da guerra statunitense entro il raggio visivo dei porti russi. Immaginate la reazione se questi atti di provocazione o intimidazione fossero fatti sui confini americani.
Nel reclamare la Crimea, che Nikita Kruschev separò illegalmente dalla Russia nel 1954, i russi si sono difesi come fanno da almeno un secolo. Più del 90 percento della popolazione della Crimea ha votato per il ritorno del territorio nella Russia. La Crimea è la sede della Flotta del Mar Nero, e la sua perdita sarebbe fatale per la Marina Russa e sarebbe un premio per la Nato. In un modo che ha confuso i falchi a Washington e a Kiev, Vladimir Putin ha ritirato le truppe dal confine ucraino e sollecitato i russi residenti nell’Ucraina dell’est ad abbandonare il loro separatismo.
Tutto ciò è stato capovolto alla maniera orwelliana, e in occidente si è parlato di “minaccia russa”. Hillary Clinton ha paragonato Putin a Hitler. Senza ironia, i commentatori tedeschi di destra hanno fatto lo stesso. Nei media, i neo-nazisti ucraini vengono presentati come “nazionalisti” o “ultra-nazionalisti”. Ciò che temono è che Putin stia abilmente cercando una soluzione diplomatica e possa avere successo. Il 27 di giugno, per reagire all’ultimo atto accomodante di Putin – la sua richiesta al parlamento russo di abrogare la legislazione che gli dava il potere di intervenire a nome dei russi residenti in Ucraina – il Segretario di Stato John Kerry ha mandato un altro dei suoi ultimatum. La Russia doveva “agire entro le prossime ore, letteralmente” per far terminare la rivolta nell’est dell’Ucraina. Nonostante Kerry sia ampiamente riconosciuto come un pagliaccio, il vero scopo di questi “avvertimenti” è quello di conferire alla Russia lo status di pariah, e di sopprimere le notizie sulla guerra che il regime di Kiev sta facendo contro la sua stessa gente.
Un terzo della popolazione ucraina parla Russo ed è bilingue. Da tempo stanno cercando di ottenere una federazione democratica che rifletta le diversità etniche in Ucraina e sia al contempo autonoma e indipendente da Mosca. Molti non sono né “separatisti” né “ribelli”, ma solo cittadini che vogliono vivere in sicurezza nel proprio paese. Il separatismo è la reazione agli attacchi che la giunta militare di Kiev sta svolgendo contro di loro; attacchi che hanno provocato l’esodo di circa 110.000 persone (secondo le stime ONU) attraverso il confine verso la Russia. Tipicamente si tratta di donne e bambini traumatizzati.
Come i bambini iracheni sotto embargo e le donne e ragazze “liberate” dell’Afghanistan, terrorizzati dai signori della guerra della CIA, questi gruppi etnici dell’Ucraina sono spariti dai media occidentali, le sofferenze e le atrocità commesse contro di loro vengono minimizzate o taciute. Nei media mainstream occidentali manca il senso della proporzione degli attacchi svolti dal regime. Questo non è privo di antecedenti. Rileggendo l’eccellente “La Prima Vittima: il corrispondente di guerra come eroe, propagandista e creatore di miti”, di Phillip Knightley, rinnovo la mia ammirazione per Morgan Philips Price, del Manchester Guardian, l’unico reporter occidentale rimasto in Russia durante la rivoluzione del 1917, che ha riportato la verità su una disastrosa invasione degli alleati occidentali. Imparziale e coraggioso, Philips Price è stato l’unico a rompere ciò che Knightley definiva un “silenzio oscuro” anti-russo nell’Occidente.
Il 2 maggio di quest’anno, a Odessa, 41 russi sono stati bruciati vivi nella sede dei sindacati, con la polizia che stava davanti a loro. Ci sono delle orribili riprese a dimostrarlo. Il leader del Settore Destro, Dmytro Yarosh, si è riferito al massacro come a “un altro giorno luminoso nella storia della nostra nazione”. Nei media americani e britannici questa è stata descritta come una “fosca tragedia” risultata dagli “scontri” tra i “nazionalisti” (neo-nazisti) e i “separatisti” (persone che raccoglievano firme per un referendum per l’Ucraina federale). Il New York Times ha seppellito la cosa, cassando come propaganda russa gli avvertimenti riguardo le politiche fasciste e anti-semite condotte dai nuovi clienti di Washington. Il Wall Street Journal ha maledetto le vittime – “Il micidiale incendio in Ucraina è stato probabilmente acceso dai ribelli, dice il governo”. Obama si è congratulato con la giunta militare per la sua “moderazione”.
Il 28 giugno il Guardian ha dedicato la maggior parte di una pagina alle dichiarazioni del “presidente” del regime di Kiev, l’oligarca Petro Poroshenko. Di nuovo si applica la regola dell’inversione orwelliana. Non c’è stato un colpo militare, non c’è una guerra contro le minoranze in Ucraina, e i russi sono da incolpare per qualsiasi cosa. “Vogliamo modernizzare la nazione,” ha detto Poroshenko. “Vogliamo introdurre la libertà, la democrazia e i valori europei. Qualcuno non vuole questo. Qualcuno è contro di noi per questo.”
Nel suo resoconto, il reporter del Guardian, Luke Harding, non mette alla prova queste dichiarazioni, né menziona le atrocità di Odessa, o gli attacchi aerei e di artiglieria fatti dal regime su aree residenziali, o l’uccisione e il rapimento di giornalisti, o il bombardamento di un giornale dell’opposizione, o la minaccia di “liberare l’Ucraina dallo sporco e dai parassiti”. I nemici sono “ribelli”, “militanti”, “insorti”, “terroristi”, e fantocci del Cremlino. Ripensate alle storie dei fantasmi di Vietnam, Cile, Est Timor, sud-Africa, Iraq. Notate le stesse etichette. La Palestina è la calamita di questo perenne inganno. L’11 luglio, a seguito dell’ultima azione israeliana, un massacro a Gaza armato dagli americani – sono morte 80 persone tra cui 6 bambini in una sola famiglia – un generale israeliano ha scritto nel Guardian, sotto al titolo, “Una necessaria dimostrazione di forza”.
Negli anni ’70 incontrai Leni Riefenstahl, e le chiesi dei film che glorificavano il nazismo. Usando in modo rivoluzionario la telecamera e le tecniche di illuminazione, Leni aveva prodotto una forma di documentario che aveva ipnotizzato i tedeschi. È stato il suo “Trionfo della Volontà” che ha presumibilmente dato il lancio al maleficio di Hitler. Le ho domandato della propaganda nelle società che si ritengono superiori. Lei replicò che i “messaggi” nei suoi film non dipendevano da “ordini dall’alto”, ma dal “vuoto sottomesso” della popolazione tedesca. “Ciò includeva anche la borghesia liberale ed istruita?” le chiesi. “Chiunque,” rispose, “e, naturalmente, anche gli intellettuali.”
John Pilger è autore di Freedom Next Time. Tutti i suoi documentari possono essere visti gratuitamente sul suo sito web http://www.johnpilger.com/