lunedì 8 ottobre 2007

A quarantaquattro anni luce dal Vajont



Queste immagini si riferiscono a due momenti precisi della nostra storia. La prima mostra Longarone, un paese di montagna in provincia di Belluno, sovrastato dall'allora modernissima diga del Vajont, il 9 ottobre 1963. La seconda immagine mostra sempre Longarone il giorno dopo, all'indomani che un pezzo del monte Toc, staccandosi e piombando sul bacino della diga aveva formato un onda che ricadendo sul paese lo aveva completamente distrutto.
Tra la prima e la seconda immagine ci sono 2000 morti di differenza e, a 44 anni di distanza, di indifferenza.

Dopo il grande clamore degli anni passati grazie al bellissimo spettacolo di Marco Paolini, l'interesse su quella che è stata la più grande tragedia che un'opera pubblica abbia mai provocato in Europa, rischia di scemare perfino in occasione della ricorrenza del 9 ottobre.
Il Comitato Sopravvissuti del Vajont rischia di chiudere per mancanza di fondi. Il grande archivio web che raccoglie i materiali sulla tragedia è stato sottoposto a "sequestro preventivo" il mese scorso da parte del Tribunale di Udine (se qualcuno sa il perchè mi piacerebbe saperlo).
Si parla di rimettere di nuovo l'acqua nell'invaso, in un'area traumatizzata da quello che non fu una fatalità ma un disastro colposo che non poteva non accadere ma nessuno evitò che accadesse. L'ultimo sfregio in ordine di tempo riguarda il cimitero delle vittime.

Nel 2003 furono appaltati i lavori per il rimodernamento del sacrario dove riposano coloro tra le vittime che poterono avere una degna sepoltura, mentre quasi 500 non furono mai più ritrovate. Gli arredi originali del vecchio cimitero furono rimossi e le lapidi accatastate o rotte, la collocazione delle salme stravolta.
Il risultato, inaugurato il 9 ottobre del 2004, e costato sei miliardi di lire è questo. Un'orrenda distesa di cippi che si guardano (cosa sono, monitor?) che ha oltraggiato i famigliari delle vittime , i quali non sono nemmeno stati consultati prima dei lavori.
Un cippo uguale per tutti meno che per il Vescovo Muccin, al quale è stata assegnata una tomba tradizionale e meno anonima. Il Comitato si è chiesto il perchè ed ha protestato per questo trattamento di favore per il prelato. 'A livella, evidentemente, non funziona a Longarone.
Per giunta i cippi non riportano nemmeno più la famigerata data del 9 ottobre 1963.
Se c'era una cosa che stringeva il cuore e dava l'idea della tragedia a chi, come me, ebbe modo di visitare il cimitero di Fortogna prima del suo stravolgimento, era leggere su tutte le lapidi, pur diverse tra loro, la stessa data di morte. Duemila nomi, volti, età, spazzati via nello stesso momento ma ognuno con la sua storia che era lì pronta per essere raccontata se avevi la pazienza di soffermarti ad ascoltarla.

Ora sembra un cimitero di guerra, con i cippi tutti uguali dove vedi solo dei nomi che non ti raccontano la storia di ogni soldato con la sua faccia di ragazzino andato via troppo presto. Come ti sembrerebbe più orrenda la guerra se potessi guardare in volto ogni soldato morto.
In questo modo, anche per gli innocenti del Vajont, vale questa versione stravolta e disumana della livella, dove le vittime sono uguali ma nel senso che diventano un numero, una statistica. Forse per fare meno impressione. E a parte il vescovo, ovviamente.




12 commenti:

  1. L'Italia è il paese della memoria perduta.

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  2. Anonimo19:06

    Una cosa è sicura: il 9 ottobre porta sfiga, 40anni fa moriva il Che.

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  3. Anonimo01:29

    A volte ho l'impressione che il Grande Fratello sia solo la nostra ignavia...

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  4. Mi viene da vomitare pensando che vivo in questo paese. Dove una "burocrazia" prima ammazza la gente e poi ne fa sfregio.
    Mi vergogno !
    Marco

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  5. Anonimo15:16

    Hendrix sei uno dei pochi ad averlo ricordato.
    Grazie davvero!

    per anonimo:puoi andare a cagare negli agli!!!se va bene non sai neanche chi è stato il grande Chè.

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  6. Qui la sfiga non c'entra proprio niente.
    L'Italia è fenomenale per produrre certe tragedie impensabili (ma pensate prima) e poi peggiorare la situazione quando si crede di aver ormai raggiunto il fondo.
    A Sarajevo ho visto migliaia di lapidi tutte con lo stesso anno, non c'erano più campi liberi in città per i nuovi defunti, immagino che il tuo stomaco in quei momenti, provasse la stessa stretta che ho provato io...

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  7. Anonimo19:23

    Non c'è giustizia senza una memoria, meno male che c'è qualcuno che ci ricoda cosa è accudto.

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  8. Anonimo20:52

    Di nulla, papera. Da quando ho visto l'opera di Paolini, il Vajont è fisso nella mia personale top ten di indignazione permanente. Insomma, quei fatti che il tempo non impolvera ed è sempre come fossero successi ieri.
    Ce ne sono, ahinoi...

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  9. E come dimenticare le parole di Dino Buzzati sul "Corriere della Sera", venerdì 11 ottobre 1963:

    Un sasso è caduto in un bicchiere, l’acqua è uscita sulla tovaglia. Tutto qua. Solo che il sasso era grande come una montagna, il bicchiere alto centinaia di metri, e giù sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi. E non è che si sia rotto il bicchiere; non si può dar della bestia a chi lo ha costruito perché il bicchiere era fatto bene, a regola d’arte, testimonianza della tenacia e del coraggio umani. La diga del Vajont era ed è un capolavoro. Anche dal punto di vista estetico.

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  10. @ guccia
    quello che mi sconvolse del cimitero del Vajont era che sembrava un cimitero qualunque ma quella data ti rincorreva come un incubo da una tomba all'altra e sulle lapidi c'erano famiglie intere, con le fotografie. La nonna con i nipotini in braccio. Tutti morti nello stesso momento.
    Ora tutto questo impatto emotivo si è perso nel lavoro sicuramente strapagato di un architetto di grido.

    @ debora
    Pur essendo già nata all'epoca ed avendo un flebilissimo ricordo di quell'annus horribilis (un mese dopo ci fu la morte di JFK), confesso che ho "scoperto" la tragedia del Vajont solo in seguito alla mia visita al cimitero, a Paolini e al bellissimo libro di Tina Merlin qualche anno fa.

    @ dalianera
    grazie per questa citazione.

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  11. Ho conosciuto la tragedia del Vajont anche io molto tardi, vedendo una "fiction" sulla Rai. Ricordo la rabbia nel vedere come i cittadini di Longarone avessero espresso tante paure che il monte Toc, notamente friabile, potesse cedere. Ma i grandi ingegnero, le grandi menti, hanno voluto credere di essere superiori e di poter imbrigliare la natura. Immagino che dagli anni sessanti l'ingegneria sia progredita e forse ora, se parlano di riaprire la diga, i lavori sarebbero fatti meglio. Ma conoscendo il modo approssimativo in cui spesso in Italia fanno le cose, la paura non può non esserci.

    Il comitero è osceno.

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